Abbiamo oggi una certezza in più rispetto al passato, su cui non vi sono dubbi né posizioni contrastanti. In merito alla conoscenza degli oli, sono stati compiuti enormi passi in avanti, fino a conseguire oli extra vergini di oliva di alto profilo qualitativo e dai tratti sensoriali peculiari e unici.
Gli ultimi trent’anni hanno segnato un progresso senza pari, che non ha conosciuto precedenti analoghi in altre epoche. Tutto ciò lo si deve in via esclusiva alla introduzione di una tecnologia più all’avanguardia, in campo e in frantoio, oltre che negli stabilimenti nei quali si conserva e si confeziona l’olio prima di essere distribuito.
Il processo di meccanizzazione delle operazioni colturali, l’ideazione di nuovi stili agronomici, la rivoluzione avviata nei frantoi, l’attenzione ai momenti più critici legati alla conservazione dell’olio, hanno permesso di ottenere oli migliori e differenti, del tutto nuovi e discontinui rispetto a qualche decennio or sono, e sicuramente più durevoli, con una shelf-life più estesa.
Non che in altre epoche non si riconoscesse il valore di un prodotto di qualità, gli antichi romani sono stati grandi maestri al riguardo. Lo si nota dalla loro impareggiabile classificazione merceologica, cui ricorrevano per contraddistinguere e discriminare l’eterogeneità degli oli da olive.
Provo grande ammirazione per il loro talento. Non a caso il diritto romano ha posto le basi della giurisprudenza contemporanea. Nella loro classificazione merceologica avevano individuato l’essenza più profonda della qualità, stratificandola in più distinte voci, che riporto fedelmente per dare una idea esatta e concreta della loro capacità di intraprendere, all’alba dei tempi, la complessità di un prodotto come l’olio da olive, declinato al plurale e ontologicamente poliedrico.
“Oleum ex albis ulivis”, era l’olio di altissimo pregio ottenuto da olive di colore verde.
“Oleum viride”, altrettanto di qualità, veniva ricavato da olive appena invaiate, prossime a una incipiente maturazione.
“Oleum maturum”, di qualità inferiore, ottenuto da olive nere e già mature.
“Oleum caducum”, di qualità mediocre, estratto da olive raccolte da terra, cadute per avanzata maturazione.
“Oleum cibarium”, di infima qualità, ottenuto da olive aggredite da parassiti e destinato in parte all’alimentazione degli schiavi, in parte ad altri usi.
Non hanno avuto gli attuali vantaggi di una tecnologia evoluta, tanto che a noi va solo il merito di aver codificato e reso fruibili su vasta scala le brillanti intuizioni di allora. Ciò che invece tutt’oggi manca non è la qualità delle produzioni, ma la qualità dei consumi. Si utilizza l’olio a crudo e in cottura senza conoscere e interpretare la complessità di tale materia prima. Una materia prima viva perché l’olio è un corpo vivo e come tale destinato a essere curato passo passo nel modo più opportuno.
Molti paradossalmente conservano male l’olio, lo maltrattano perfino, non comprendendo che le peculiarità distintive siano sempre a rischio. Per quanto possa essere di alta qualità, la qualità di un extra vergine è vulnerabile e va protetta e salvaguardata, interpretandone gli abbinamenti. Il lato più inesplorato sono le modalità di impiego dell’olio. Oggi lo si utilizza e basta, versandolo talvolta con dosaggi esagerati, senza prevederne le dinamiche complessive in prospettiva, oltre alle conseguenze sul gusto di una pietanza.
Ecco allora il tema portante del numero 4 di OOF International Magazine: il “codice degli abbinamenti”. Cosa accade quando l’olio incontra il cibo? Molto resta da fare, ma siamo sulla buona strada.
L’editoriale a firma di Luigi Caricato è stato pubblicato sul numero 4 del trimestrale cartaceo OOF International Magazine. Per chi non ha ancora avuto modo di leggere la rivista bilingue italiano/inglese, può avere maggiori informazioni (o abbonarsi) cliccando QUI
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