Olivo Matto

Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini

Luigi Caricato

Fresco di stampa per Sellerio, appena è uscito il nuovo romanzo di Yasmina Khadra, lunedi 10 maggio, sono corso in libreria e l’ho preso subito, sentendone una necessità fisica urgente e improcrastinabile.

Pur avendo tanti libri in attesa, non potevo assolutamente rimandare la lettura, e così ho divorato in pochissimo tempo le 306 pagine.

Da cosa derivi questa mia urgenza ve lo dico senza tanti giri di parole. E’ la forza e il coraggio nel denunciare le ingiustizie a rendermi Khadra così familiare e tanto vicino alle mie esigenze di lettore che vuole trovare nei libri qualcosa che dia un senso alla vita. La stessa sensazione la provo per un altro mio autore di riferimento, il cinese Mo Yan, premio Nobel 2012 per la letteratura, e autore anch’egli particolarmente incline a scrivere sulle ingiustizie perpetrate dagli uomini ai danni dei propri simili.

Un avvertimento, però. Khadra è un autore che si legge volentieri. E’ una scrittura potente e fascinosa, moderna e snella, con tanto ritmo. Il titolo, Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini, attrae molto e suscita curiosità. Consiglio di leggerlo, perché ne vale veramente la pena. Forse non scalerà le classifiche, ma le letture di best sellers non è che ci facciano poi così bene.

Khadra è un autore che seguo da tempo, a partire da L’attentatrice. Riesce a scavare nel profondo delle coscienze affrontando temi delicati con grande efficacia. Ho instaurato immediatamente una piena sintonia con l’autore, pur non avendo mai avuto occasione di conoscerlo o sentirlo. Ho pertanto apprezzato tantissimo l’intervista pubblicata sul settimanale La lettura del Corriere della Sera la scorsa domenica. E sapete perché? Ogni sua parola pronunciata sentivo di averla pronunciata anch’io, seppure in un altro ambiente, in un altro contesto. Ecco l’importanza di avere autori universali. Khadra è un algerino che vive in Francia, ma ciò che racconta in fondo è ciò che per certi versi noi viviamo in prima persona anche in Italia.

Interessante quanto ha dichiarato al giornalista Stefano Montefiori, a proposito della “sua” Algeria: “… a partire dagli anni Settanta la gente ha cominciato a stufarsi, non c’era lavoro. E0 stato detto loro non ti preoccupare di niente, ci pensiamo noi, abbiamo il petrolio, e con quello possiamo garantire la prosperità, il benessere. Il popolo algerino è diventato un popolo assistito, e questo assistenzialsimo continua ancora oggi. Anche l’ultimo organismo statale creato per aiutare i giovani imprenditori alla fine serve solo a comprare il silenzio di una generazione. Non c’è controllo né razionalità nella concessione dei fondi. Si tratta di comprare la pace. Anzi, il silenzio”.
Ecco, in queste parole, mi sembra di scorgere il fedele ritratto di ciò che noi siamo stati e che, in fondo, siamo ancora: vittime di predatori e corruttori che hanno comprato il nostro silenzio.

Noi purtroppo non abbiamo il coraggio di guardarci dentro e ammettere le nostre responsabilità. L’Italia sta precipitando in una continua e progressiva involuzione e tutti siamo pronti a puntare il dito contro chi ci governa senza avere il coraggio di guardare dentro noi stessi. Perché anche noi, in fondo, abbiamo le medesime colpe di chi ha gestito il potere. Il nostro silenzio ha favorito il meticoloso lavoro di chi ci ha depredato e umiliato. Ci è mancato il coraggio di opporci al degrado di questi ultimi decenni e ora ne subiamo la bruciante sconfitta.

Al centro del romanzo di Khadra campeggia la figura di un personaggio negativo – in algerino è il rboba, ovvero colui che decide all’ombra con la particolarità di riuscire a nuotare in acque torbide senza mai bagnarsi – e così, detenendo il potere, tale personaggio oscuro e terribile, tiene tutti sottomessi.

La storia – si tratta di un noir – ha un esito drammatico quanto imprevisto. E anche se si tratta di una narrazione, in realtà è come se fosse una storia vera, ed è anche paradigmatica per quel che racconta. Fa venire i brividi, per i tanti ammazzamenti che si susseguono in maniera cruda e feroce, ma poi c’è più di un motivo per rincuorarsi. E, forse, anche queste letture, seppure siano pura finzione, servono comunque a darci motivazioni.

Khadra non è tuttavia un autore che scrive storie fini a se stesse, tutto ha un preciso significato. A partire dal prologo introduttivo al libro, che riporto integralmente.

Ci sono quelli che di un barlume fanno una torcia e di una fiaccola un sole, rendendo grazie per tutta la vita a chi li onora per una sera; e ci sono quelli che gridano al fuoco appena intravedono una parvenza di luce in fondo al tunnel, trascinando in basso ogni mano che si tende verso di loro.
Questi ultimi in Algeria vengono chiamati “Beni Kelboun”.
Geneticamente nefasti, i Beni Kelboun hanno una loro trinità personale:
mentono per natura,
truffano per principio,
nuocciono per vocazione.
Questa è la loro storia.

La storia che racconta Khadra è, tout court, la storia che viviamo quotidianamente anche noi. C’è il degrado, certo, la sconfitta amara e terribile, ma il riscatto è sempre all’orizzonte, ed è tra l’altro sempre possibile, come dimostra il comportamento di uno dei personaggi meno centrali ma che si svela determinante e inaspettatamente decisivo. Ci vuole solo un atto di coraggio, oltre a scelte coraggiose che solo gli spiriti liberi possono permettersi.

Non aggiungo altro. Provate solo a leggere il libro, perché vi stupirà. A partire dal titolo, Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini, molto esemplificativo. Io non vi anticipo nulla della storia narrata. Prendete dunque il romanzo, e capirete.

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