In questo spazio riservato agli editoriali, riportiamo, a beneficio dei lettori della rivista telematica Olio Officina Magazine, l’editoriale a firma del direttore, Luigi Caricato, apparso sul numero 10 del trimestrale in edizione cartacea e in lingua italiana e inglese OOF International Magazine, di cui potete ammirare in chiusura di questo articolo la copertina realizzata da Barbara Lupo. Buona lettura
Il 2020 a me piace molto come numero, perché si ripete due volte il 20: 20-20. Non mi soffermo più di tanto sul significato, anche perché non sono un esperto di numerologia, ma posso solo dire che l’accoppiata del 20 mi attira, perché ha un suo fascino e un misterioso perché. So tuttavia con certezza che il 20 rappresenta la dualità, questo sì: è l’unione tra due elementi; e allora penso subito, per associazione, a due aspetti per me molto importanti, in quanto accomunano e intrecciano la mia vita personale e pubblica, che, guarda caso, proprio in questo 2020 è coincidente.
Da una parte ricorrono i 60 anni dall’introduzione della categoria merceologica “olio extra vergine di oliva”. Per chi lo ignora – e sono certamente in tanti – il tutto nacque a partire da una legge italiana del 13 novembre 1960. La numero 1407, per essere precisi. In quell’epoca, definire “extra vergine” un olio ricavato dalle olive sarà stato un po’ come suonare il gong in una chiesa gremita di fedeli assorti nell’atto in cui il sacerdote eleva l’Eucarestia. Fu infatti devastante l’impatto con il nuovo nome dell’olio: forse impreciso, imperfetto, fuori luogo, inappropriato, non saprei dire. Certamente il nuovo nome fu introdotto senza che ci fossero ancora gli oli extra vergini di oliva in quantità tali da giustificarne l’operazione. Ovvero, con tutta la sincerità del caso, non è che in quegli anni ci fosse stata quella grande quantità di olio che noi oggi possiamo definire di alta qualità. Il nuovo nome era stato concepito in prospettiva futura, evidentemente. La parola “vergine” attribuita all’olio di per ssé spiazzava, ma di fatto risaliva a molti anni prima, al 1936 per l’esattezza, a seguito dell’emanazione del Regio decreto numero 1986 del 27 settembre. Proprio in quegli anni, in cui a funestare l’Italia c’era il fascismo, l’olio ricavato dal frutto dell’olivo assunse il nome di “olio sopraffino vergine di oliva”. Anche in quel tempo, come oggi, un lungo treno di parole, quando sarebbe stata sufficiente una espressione più elementare, realistica e immediata: “succo di oliva”.
Pensate che gli antichi arabi avevano visto giusto, rispetto ai nostri contemporanei: optarono per la voce az-zait, ovvero “succo di oliva”. Gli spagnoli vantano questa derivazione dalla lingua araba: aceite, che sta, appunto, per “succo di oliva”; e oggi, insieme con “virgen extra de oliva”, aceite suona molto pleonastico. Non solo: quanto a inutile ridondanza, i burocrati dell’Unione europea non sono certo da meno. Ogni burocrate, è giusto che lo sappiate, è sempre una maledizione che scende su di noi a seguito del peccato originale. Ogni burocrate sulla faccia della Terra che legifera è il seme del male che si insinua nelle attività umane, devastandone tutta la originaria bellezza. Oggi loro malgrado le aziende olearie sono costrette a inserire in etichetta, in prossimità del lungo treno di parole proprio della categoria merceologica “olio extra vergine di oliva”, anche la seguente – superflua, e, credetemi, perversa, prima ancora che pleonastica – indicazione: ovvero, “olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”. Già, tutta questa inutile precisazione suona di per sé offensiva, in aggiunta al deplorevole abuso di avverbi. Non capisco come gli imprenditori del ramo oleario siano così succubi dei burocrati. Comunque, a parte queste divagazioni che mi perdonerete, sappiamo ormai che nel 2020 si celebra il sessantesimo anniversario di una categoria merceologica che vale oggi in tutto il mondo. Allora, mi chiedo e vi chiedo: cosa può cambiare, a distanza di tanti decenni, la presenza in etichetta di questo lungo nome? E soprattutto: cosa resta da fare in relazione a un olio che forse meriterebbe una ridiscussione e ridefinizione dei suoi molteplici nomi commerciali?
Non dimenticate che finora vi sono ben quattro distinte categorie merceologiche legate ai differenti “oli da olive”. Non esiste solo l’extra vergine e non sto qui a elencare tutte le altre voci, per non sottrarre spazio vitale al pensiero. E proprio a proposito di pensiero voglio comunicarvi l’altro aspetto per me molto importante: i dieci anni del progetto culturale di Olio Officina.
Olio Officina sono io, ma con me ho sempre sperato di avere al mio fianco tanti altri soggetti – che ci sono, ci sono; seppure non quanti io ne desideri – che come me credano nell’olio ricavato dalle olive come a un prodotto culturale prima ancora che a una merce. Non so se ci sono riuscito, in questo mio proposito: concepire l’olio da olive come un marcatore culturale. In realtà, tutti pensano solo all’economia, al mero profitto, di per sé molto importante, perché non si vive senza accumulare guadagni, ma ignorare l’olio da olive quale soggetto culturale come lo intendo io, sarebbe una dura e immeritata sconfitta per il prodotto stesso che in queste pagine ogni volta viene celebrato in ciascun numero della rivista. Una pubblicazione periodica che con il 2020 però cambia.
Cosa cambia? Si assisterà intanto al passaggio da trimestrale a semestrale, e diventerà la rivista di tutti i condimenti, senza escluderne nessuno. Il numero 10 di OOF International Magazineporta già in copertina l’indicazione autunno-inverno. Il numero 10 sarebbe già dovuto uscire in autunno, appunto, ma per far coincidere il numero 10 con i dieci anni del progetto Olio Officina ho preferito slittarne l’uscita. Perdonate il gioco del numero 10, molto adolescenziale, è vero; sappiate però che a noi (a me) piace essere così: a volte anche spiazzanti. Il numero dieci simboleggia la perfezione, ma è anche l’annullamento di tutte le cose. Quindi, sempre in guardia: 10 = 1+0 = 1. Il dieci significa ricominciare di nuovo, non ripetersi mai: ricominciare di nuovo anche perché la perfezione sta tutta nel cercare la perfezione senza sosta. C’è sempre un nuovo inizio. Il dieci – che coincide con il numero della rivista che state sfogliando (e spero leggendo), ma anche con il decennale di Olio Officina – è dunque il numero del cambiamento. È un invito a rimettersi in gioco ogni volta. Il dieci è un numero triangolare, perché è la somma di due o più numeri triangolari. Non a caso i primi tre numeri (triangolari: 1 + 3 + 6) danno come risultato il 10. Ma il dieci è molte altre cose, e altro ancora. Ora però mi fermo qui; non voglio tediarvi oltre, soffermandomi sul 20-20 del 2020, per esempio; perché altrimenti mi accuserete di dare i numeri – considerazione tutt’altro che falsa, a dire il vero. O no?
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