Sono ormai quattro decenni che ho a che fare con le aziende olivicole italiane. Sappiamo tutti che le loro dimensioni, per superficie coltivata a olivi, non sono tali da consentire di raggiungere il successo commerciale, proprio perché troppo minuscole e per giunta anche frazionate le proprietà. Questa è un limite sul quale però non vorrei soffermarmi, perché già noto e ampiamente dibattuto.
Mi preme invece mettere in evidenza un altro aspetto. La scarsa capacità di emergere e farsi largo, nel gran numero di competitori. Tante micro aziende, tutte a inseguire il successo commerciale, senza farcela. È una competizione che non regge, perché non tutti sono attrezzati per farcela. Lo sfuso non regge più, se non si è organizzati e non si hanno olivi a sufficienza per fare volumi. Quanto all’olio confezionato, sono troppi coloro che si presentano con una propria bottiglia, ma poi?
Il fatto è che occorre diventare davvero bravi ed emergere con la propria identità, con coraggio e determinazione. Non basta produrre olio di buona qualità, occorre anche saperlo vedere bene.
L’errore di molti olivicoltori è di mettersi in contrapposizione con altre aziende, fino ad arrivare addirittura a odiare le più grandi per il loro successo, non importa quanto grandi, basta anche solo poco più grandi della propria. L’accusa mossa è per lo più di barare, di non avere comportanti etici, ma è un atteggiamento sbagliato, fuori luogo, senza senso, irragionevole, quando sarebbe invece preferibile diventare produttori ai quali è il mercato a chiedere l’olio, pagandolo non solo il giusto, ma di più, molto di più.
Cerchiamo allora di trovare un esempio di come si possa fare qualcosa di importante anche se si è piccoli, seppure sempre con l’idea di crescere, perché restare piccoli non ha alcun senso, anche perché, se si vuole restare piccoli si è solo dei perdenti.
È difficile emergere, sul piano commerciale, perché occorre essere bravi e non tutti sono all’altezza di entrare in un ambito commerciale non facile se non si è sufficientemente attrezzati. Non basta la passione se non c’è managerialità e soprattutto capacità di invenzione, di ideare qualcosa di veramente nuovo.
L’esempio. Non lo voglio individuare nel campo dell’olio per non mettere sotto i riflettori un’azienda. Lo faccio individuando un esempio che finga da modello trovandolo in un settore un tempo marginale, qual era quello della grappa, e penso in particolare a un personaggio scomparso da alcuni anni: Romano Levi, un produttore di grappe divenuto un produttore cult.
È sufficiente guardare il sito dell’azienda per rendersi conto di come si sia mosso, fino a considerare , tra le sue varie referenze, la “Donna selvatica”, che realizzò in 999 opere uniche e in altrettante etichette per una collezione di grappe divenute nel corso degli anni celebri per i collezionisti di tutto il mondo, oltre a essere apprezzate per la loro alta qualità. Romao Lev è l’esempio di come essere un’azienda non grande ma grande nella sua concezione e capacità di affermarsi con originalità.
Ora, nessuno si illuda di ritenere l’esempio inappropriato solo perché la grappa non è l’olio, in quanto la grappa è un bene durevole, mentre l’olio ha una durata breve, e pertanto non regge l’esempio scelto. Non è così. Il fatto è che occorre andare al di là del prodotto, ma proiettarsi in un logica imprenditoriale, che è oi ciò che di fatto manca a molte imprese olivicole (e pure frantoiane, per molti versi).
Essere bravi e unici, questo è il proposito che deve muovere e animare coloro che aspirano a non rimanere piccoli e comportarsi di conseguenza.
Nel comparto, tra gli olivicoltori e i frantoiani, non vi sono personaggi del calibro di Romano Levi. Trovarne di così illuminati è difficilissimo, anche se in realtà ci sono, ma spesso debbono mettersi in ombra, al riparo da invidie e accuse talvolta anche infamanti – perché il successo non è gradito.
La delusione più grande, è quando in un settore già pieno di grandi e irrisolti problemi, pensare che vi siano lotte intestine incomprensibili e inaccettabili tra tutti, senza distinzione, essendo tutti l’uno contro l’altro armati. Sono invece ammirevoli quegli imprenditori che cercano di parare ogni colpo e di andare avanti nonostante tale quadro.
È un errore grave l’impossibilità di avere un comparto coeso e in armonia tra i vari soggetti. Un errore grave perché tutti hanno comunque un proprio ruolo e spazio nel comparto, basta solo cercarselo e renderlo sempre più efficace e significativo.
Un po’ di sana riflessione, e di autocritica, non guasta. Se uno non ha la stoffa fa altro, oppure si organizza. Chi intende commercializzare l’olio con un proprio marchio, deve lavorare prima su se stesso e poi su tutto il resto. Ci vuole managerialità. È l’unica strada da percorrere. Se non si è in grado, si cerca allora di far altro, essere per esempio un ottimo olivicoltore e stringere accordi con un’azienda che non esita certamente dallo stringere un accordo di partnership con chi può garantirgli una fornitura di un prodotto di alta qualità. Non c’è altra strada, se non si è in grado di stare sul mercato, allora ci si concentra a produrre delle ottime olive, sane, perfette, da vendere, oppure da ricavarci l’olio e venderlo a chi sa commercializzarlo, stringendo però accordi, non facendolo senza una progettualità.
Alle aziende manca proprio questo, avere consapevolezza del proprio ruolo e agire di conseguenza, senza pensare di far tutto se non si è in grado di farlo bene.
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