Olivo Matto

Dove sta andando il comparto oleario italiano

Luigi Caricato

Dove sta andando il comparto oleario italiano? In tutte le direzioni, chi verso destra, chi verso sinistra, ma muovendosi per lo più in senso circolare, quindi tornando allo stesso punto di partenza. Così accade che quando ci si muove ruotando intorno agli stessi punti, inevitabilmente si finisce con lo scontrarsi. Ripercorrere le strade già battute serve a poco, perché non si ampliano le conoscenze, non si va incontro al futuro, ma si resta prigionieri di quanto già acquisito, senza assumersi il rischio di andare incontro al nuovo e agli imprevisti che ne possono derivare.

Si invoca troppo spesso la tradizione come fosse una parola magica, ma la tradizione non è nella fissità ma in qualcosa in continuo mutamento. Dinanzi a una repulsione verso tutto ciò che è il nuovo, l’Italia olearia offre di sé una immagine stantìa, terribilmente plastica, di immobilità – a parte le dovute (quanto rare) eccezioni. Piaccia o non piaccia, è così. Questo quadro riflette, in fondo, lo stato dell’Italia oggi. Fotografa ciò che avviene in molti (se non tutti) i settori dell’economia e della società. Siamo senza meta, e chi ne ha una viene brutalmente avversato da chi sta dall’altra parte.

Le brutte figure che stiamo collezionando all’estero non hanno precedenti. In patria non si fa che parlare delle virtù dell’olio made in Italy (che di fatto non esiste, visto che dobbiamo per forza importarne intorno al 70%, per soddisfare il fabbisogno di prodotto), mentre all’estero facciamo il possibile per offrire di noi una cattiva immagine, perfino dicendo che è tutto sotto il controllo della mafia. Già, l’olio con il sangue della mafia. Insomma, siamo l’Italia dei soliti teatranti, e qualcuno ci prende per davvero sul serio. E’ una grande disfatta. Solo che questa volta a essere pesantemente in crisi sono le Istituzioni.

A gettare fango sull’Italia sono alcuni organismi di controllo che combattono molto spesso una battaglia ideologica al fianco di una organizzazione agricola che fa il possibile per sostenere, in base a come si alzano al mattino, o che la metà degli extra vergini italiani siano finti, o che, addirittura, sia ben l’80% degli extra vergini a essere frutto di imbrogli. Ora, mettetevi nei panni di chi ascolta o legge questa gente (che per me blatera). C’è da rinchiudersi in casa e non uscirne più. Per la paura. Infatti, paradossalmente, proprio nel periodo d’oro del mondo oleario italiano, con qualità delle produzioni decisamente migliori rispetto al passato, alcuni soggetti nemici dell’Italia (anche tra le stesse Istituzioni) gettano fango sulle imprese nostrane, sostenendo l’ipotesi di immettere in commercio oli adulterati, o comunque non rispondenti alla categoria merceologica di appartenenza.

Nello stesso tempo, altri organismi di controllo sostengono che i dati sulle frodi siano dati fisiologici, e che non esista un fenomeno frodi. E’ tutto nella norma, insomma. Non che le frodi non ci siano, ma rappresentano un dato estremamente contenuto, sotto il 5%. Purtroppo però circolano tante storie assurde, che se solo si estendessero con la medesima tenacia con cui si concentrano sugli oli da olive, anche ad altri prodotti alimentari, sarebbe la fine del made in Itay.

L’accanimento è nei confronti delle grandi imprese è paradossale. Se sei grande, in Italia, devi abbassare la guardia, altrimenti sei preso di mira. Ti entrano in azienda le forze dell’ordine, con tanto di armi, come se fosse una retata, e anche con elicotteri che sorvolano l’azienda, mentre, se per puro caso ti va bene, si limitano a sputtanare il buon nome di un marchio che ha impiegato decenni o secoli per guadagnare e consolidare una reputazione, sostenendo con eccessiva spensieratezza che in bottiglia vi è tutto tranne che l’extra vergine: olio vergine di oliva, se non addirittura olio lampante, non commestibile; e, visto che ci siamo, tutto, tranne che olio italiano, magari anche siriano, come hanno sostenuto alcuni signori. Perché, si sa, in anni di duro conflitto in Siria, c’è tutto il tempo e la serenità per raccogliere le olive, molirle, prendere l’olio e farlo passare indenne dalla frontiera verso l’Italia, facendo magari uno scambio merci, olio da olive contro armi.

Siamo dei grandi commedianti, questa è la verità. Incapaci di gestire un’economia, e impegnati a contrastare quelli che l’economia la portano avanti, preferiamo infangarci da soli, con grande euforia dei concorrenti spagnoli che si ritrovano la strada spianata. Ecco, di questo passo, il futuro io già lo immagino, con coloro che fantasticano con il Km 0, mentre le aziende reali, insoddisfatte, migrano all’estero, come quella parte di italiani che già lo fa in altri settori, alla ricerca disperata di un Paese normale che li accolga. Forse è anche un bene che alcune aziende olearie abbiano già delocalizzato, aprendo sedi di produzione all’estero, anche perché in Italia non si piantano più olivi, manca l’olio, e, paradosso nel paradosso, i magistrati leccesi stanno facendo il possibile per mettere alla prova il Paese.

Così la Xylella che già affligge gli alberi secolari per lo più abbandonati, può probabilmente estendersi di regione in regione, fino a esiti disastrosi. La migliore soluzione, come sempre, è andare via dall’Italia, ma non è una sconfitta, è anzi una opportunità. Anche i ristoratori, in questa fase delirante del Paese, sono stati imbrigliati nella rete dell’accanimento di alcuni organi dello Stato. Non che la ristorazione non abbia responsabilità, visto che la primitiva pratica del rabbocco delle bottiglie d’olio è stata per anni prassi comune, ma la sola idea di pensare di reprimere con dure sanzioni tale pratica la trovo rivoltante, segno di una pesante sconfitta culturale. Nessuno infatti pensa di educare, di costruire qualcosa, di formare dei professionisti. Si ritiene che tutto possa risolversi con l’introduzione di nuove leggi, reprimendo. Nessuno invece che si preoccupi di formare, istruire, educare. Tutti che si ritengono maestri, pronti a giudicare e mai a giudicare il proprio operato.

Così, tanto per fare un esempio, abbiamo inondato l’Italia di attestazioni di origine – cosa buona e giusta, per carità – ma senza approdare a nulla, facendone una pura esibizione di muscoli, senza tuttavia giungere a nulla di concreto, visto che nel caso dell’olio, le Dop sono commercialmente risibili, in quanto – a parte alcune aree già note, pochi le certificano, e altrettanto pochi sono i consumatori che dimostrano interesse nell’acquistarle, dal momento che percentualmente nemmeno le si notano. Vi piaccia o meno, questa è l’Italia olearia.

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