Olivo Matto

Ettore Franca: lo “strumento” panel lascia ancora qualche perplessità

Luigi Caricato

Ettore Franca: lo “strumento” panel lascia ancora qualche perplessità

Quest’oggi su Olio Officina ho accolto una lettera del produttore toscano Stefano Ranaldi, lettera delicatissima, che pone seri interrogativi sull’operato dei gruppi panel. Siete pronti per affrontare l’argomento? Il produttore, un ingegnere, abituato a ragionare sui dati e non solo sulle sensazioni, si è chiesto, molto legittimamente, chi controlli se le qualità professionali del panel, e quindi del capo panel, non si siano deteriorate o, semplicemente, variate nel tempo. Il suo interrogativo è tanto più urgente in ragione del fatto che lui stesso ha vissuto in prima persona una disavventura alla quale chiede una risposta razionale. “Non sembra che il giudizio tra un extra vergine Igp Toscano e un olio vergine d’oliva corrisponda a uno spazio troppo grande per essere considerato ‘errore del sistema umano e sensoriale’ di tipo normale, soprattutto quando il panel è sempre lo stesso?” Alla questione posta da Ranaldi – ed è un interrogativo, credetemi, a cui non ci si può sottrarre – segue l’argomentata e lucida risposta del presidente e fondatore di Olea, Ettore Franca, sulla quale è bene riflettere per avviare un dibattito che si sta rivelando necessario quanto urgente. Nella prima parte dell’intervento, il presidente Franca entra nel vivo della questione formazione degli assaggiatori. E afferma che “un assaggiatore è credibile solo se il suo curriculum è continuamente aggiornato con l’allenamento che oggi sembra l’aspetto su cui soprassedere una volta conquistati i certificati delle vento vedute”. Non solo, Ettore Franca aggiunge che in alcuni casi più che “mirare al miglioramento del settore”, sembra che si assecondi “la lobby dei capi-panel fra i quali alcuni, forse, perseguono qualche interesse intravisto o fiutato”.

Ettore Franca

L’INTERVENTO DI ETTORE FRANCA

Caro Luigi,

dopo più di venti anni dell’adozione del panel, lo “strumento”, nonostante i miglioramenti apportati, lascia ancora qualche perplessità.

Si deve cominciare ripercorrendo il modo della formazione degli aspiranti assaggiatori che frequentano corsi il cui scopo è quello di “riconoscere la idoneità fisiologica all’assaggio”.

In 36 ore, tanto chiede la normativa, i “nostri” devono dimostrare d’essere in grado di valutare quantitativamente l’intensità, in campioni standardizzati, di tre difetti (avvinato, riscaldo-morchia, rancido) e la sensazione di “amaro”.

Ogni prova viene ripetuta quattro volte e, se nel loro insieme gli “errori” non superano una certa soglia di punteggio, l’aspirante assaggiatore è ritenuto “idoneo”.

Le prove sono integrate da lezioni teoriche che trattano aspetti dell’olivicoltura, della chimico-fisica dell’olio, dell’insorgenza dei difetti, degli attributi positivi, della legislazione, ecc.

Alcune associazioni che tengono quei corsi, trovano il modo per discutere vari altri attributi, positivi o meno, ragionando su una gamma il più ampia possibile di prodotti.

Nelle vaghe indicazioni proposte dalla legge, lo sviluppo del programma è affidato alla serietà di chi organizza il corso e alla credibilità dei docenti, spesso autonominati tali.

L’Ente che commissiona il corso, incarica l’una o l’altra organizzazione dopo aver valutato i curricula; i controlli sono rari e relativi quasi sempre solo agli aspetti burocratici mentre, purtoppo, mancano sia la valutazione dei risultati che un’analisi sull’utilità della ricaduta.

Chi ha ottenuto l’attestato di idoneità, chiaramente, non è un “assaggiatore”.

Per diventarlo deve sobbarcarsi l’onere di raccogliere i certificati di partecipazione a “20 sedute d’assaggio”.

Queste, prima della norma attuale, chi aveva tenuto il corso, volontariamente e d’intesa con un Ente pubblico che avrebbe certificato l’iniziativa, organizzava le “20 sedute” condotte e guidate da assaggiatori di consolidata esperienza.

Chi aveva frequentato le “20 sedute” e raccolti i 20 certificati, chiedeva l’iscrizione all’albo nazionale degli assaggiatori e, se voleva, poteva entrare a far parte di un panel avviando la sua carriera di “giudice” sottoponendosi agli ulteriori specifici dettati.

Per esperienza e profonda convinzione, OLEA, che presiedo, ritiene che non bastino le “20 sedute” per cui, sistematicamente con cadenza di una-due al mese, dedicate a “vecchi” e i “nuovi” assaggiatori, venivano – e vengono – condotte sedute di allenamento usando sia schede “ufficiali” sia quelle appositamente elaborate da OLEA per scopi didattici e di approfondimento.

Sono incontri d’amicizia e occasioni per mantenere fresca la sensibilità, chiarire problemi, affinare le sensibilità, discutere ragionando ogni volta su 5-10 oli.

OLEA, ben da prima dell’adozione dei panel, ha agito sapendo bene che un assaggiatore è credibile solo se il suo curriculum è continuamente aggiornato con l’allenamento che oggi sembra l’aspetto su cui soprassedere una volta conquistati i certificati delle “20 vedute”.

Recenti norme hanno affidato esclusivamente ai capi-panel tutti i passaggi della preparazione degli assaggiatori. I corsi per il riconoscimento dell’idoneità fisiologica possono essere svolti solo sotto supervisione di un capo-panel che organizza, gestisce, valuta e firma gli attestati; le “20 vedute” devono essere condotte e certificate da un capo-panel (anche quelli che in un pomeriggio, in cambio di 200 euro di ogni partecipante, “passavano” 20 oli, ciascuno dei quali era considerato una seduta? Capi-panel anche quelli che, necessariamente, non serve siano “grandi” assaggiatori o non sono validi didatti?

Non ultima “pensata”, sembra che le sedute si dobbano svolgere in sale-panel certificate!

Purtroppo, spesso, la forma non è l’unico indice di sostanza.

Personalmente, il tutto mi pare una surfetazione burocratica che, più mirare al miglioramento del settore, sembra assecondare la lobby dei capi-panel fra i quali alcuni, forse, perseguono qualche interesse intravisto o fiutato.

Ma veniamo al problema posto dal produttore Stefano Ranaldi.

Della storia triennale non mi sono chiari alcuni passaggi.

Relativamente alla richiesta circa “… chi controlla se le qualità professionali del panel e quindi del capo panel non si siano deteriorate o semplicemente variate nel tempo”, bisogna chiarire subito che, come stabilisce D.M. 28/02/2012, “… i comitati di assaggio ufficiali e professionali o interprofessionali (panels) devono partecipare alle valutazioni organolettiche di verifica previste per il controllo periodico e per l’armonizzazione dei criteri percettivi” e lo stesso D.M., all’art. 7, comma 1, indica che “… il comitato di assaggio ufficiale, operante presso il CRA-OLI (che ha sede a Castel Sant’Angelo di Pescara), organizza le operazioni di valutazione organolettiche di verifica, anche in collaborazione con Enti di provata professionalità nel campo delle analisi sensoriali, conformemente alle linee guida previste dal C.O.I. per il riconoscimento dei laboratori sensoriali degli oli di oliva vergini”.

Sistematicamente, ai vari panel che intendono operare, vengono inviati dei “ring-test” così strutturati e valutati:

1) cinque sono i campioni da valutare; due di questi sono repliche dello stesso campione;

2) l’assegnazione della categoria di oguno dei campioni è stata stabilita dagli 11 Comitati di assaggio ufficiali (il CRA-Oli di Pescara, la SSOG di Milano e gli ICQ-RF di Roma, Perugia, Catania, Salerno, Dogane di Roma, Bari, Genova, Verona e Palermo);

3) viene espulso dal riconoscimento nazionale chi commette più di due errori nell’attribuzione delle categorie relative ai cinque campioni del ring-test;

4) viene espulso dal riconoscimento nazionale chi non presenta i risultati entro la data indicata.

Attualmente operano, riconosciuti, 55 Comitati di assaggio “professionali” (41) o “interprofessionali” (14). Rispettivamente sono:

a) AMEDOO di Bari; APROL di Grosseto; APROL di Perugia; AGRIS Sardegna di Cagliari; AIPO di Verona; AJPROL di Taranto; Amm.ne Provinciale di Siena 1; Amm.ne Provinciale di Siena 2; ARSIAM di Larino (CB); ARSSA di Mirto Crosia (Cs); ARSSA di Pescara; ASSAM–Marche; Ass.ne Prim’olio di Palmi (RC); ASSOPROL di Perugia; ASSOPROLI di Bari; CCIAA di Arezzo; CCIAA di Caserta; CCIAA di Catania; CCIAA di Chieti; CCIAA di Firenze 1; CCIAA di Firenze 2, CCIAA di Firenze 3; CCIAA di Firenze 4; CCIAA di Firenze 5; CCIAA di Foggia; CCIAA di Genova; CCIAA di La Spezia; CCIAA di Livorno; CCIAA di Lucca; CCIAA di Napoli; CCIAA di Pisa; CCIAA di Pistoia; CCIAA di Ragusa; CCIAA di Roma; CCIAA di Salerno; CCIAA di Savona; CCIAA di Teramo; CCIAA di Trieste; CCIAA di Viterbo 1; CCIAA di Viterbo 2; CNO–Calab di Cosenza;

b) Dipartimento di Scienze degli Alimenti UniversitàBologna; FEDEROLIO 1 di Imperia; FEDEROLIO 2 di Imperia; Farchioni Oli spa di Gualdo Cattaneo (PG); Im 2-ALO di Imperia; LACI di Pescara; MULTILAB Az. Spec.le CCIAA di LECCE; ONAOO-CCIAA di Imperia; Oliveti d’Italia di Andria (BA); pH s.r.l. di FIRENZE; Regione Basilicata; Regione Siciliana; SAMER–Az. Spec.le CCIAA di Bari; UNAPROL di Roma.

I risultati dell’8° ring-test 2013 sono stati valutati secondo le norme ISO 5725 (Accuracy ‘trueness and precision’ of measurement methods and results) e “Statistical techniques for collaborative tests” elaborato nel 1990 da Youden W.J. e Steiner E.H. Ass.tion of Official Analytical Chemists.

Inoltre, anche secondo il “Test di Dixon”, con quale si individuano quanti sistematicamente forniscono valori più alti o più bassi rispetto gli altri; il “Test di Cochran”, che verifica l’omogeneità dei risultati entro il panel, e il “Test di Grubb” che verifica l’omogeneità fra i panels.

L’elaborazione statistica dei dati del ring-test 2013, sostenuto dai 55 comitati, ha fatto rilevare un’ottima ripetibilità all’interno di ciascuno e una buona riproducibilità fra loro. E’ stata rimarcata anche una quasi uniformità nell’identificazione del difetto predominante con una valutazione dell’intensità sufficientemente omogenea per una classificazione univoca dei campioni. Pertanto, i risultati utilizzati per la valutazione delle performances, consentono di mantenere il riconoscimento MiPAAF ai 55 panels.

Nello specifico esposto dal lettore, la collocazione di un campione nella classe merceologica “vergine di oliva” piuttosto che in quella degli “extravergine di oliva” è chiaramente un errore dell’uno o degli altri panel ai quali è stato inviato lo stesso campione.

Non dovrebbe accadere ma … può accadere.

La sottovalutazione da una parte, o la supervalutazione dall’altra, di un certo attributo considerato “difetto”, se la sua mediana – cioè almeno la metà dei giudici – risulta appena sopra lo zero … porta all’errore, disdicevole ma … umano. Chiaramente non va bene.

Dell’uno e dell’altro giudizio cercherei di approfondirli chiedendo spiegazioni ai capi-panel che hanno firmato i certificati.

Il problema dell’IGP-Toscano è diverso.

L’attribuzione della classe merceologica degli “extravergine di oliva” di un DOP o IGP è scontata; come scontata dev’essere l’assoluta mancanza di difetti.

Ma riconoscere un olio quale IGP (o DOP) pretende non tanto la classificazione ma, soprattutto, implica la verifica di quanto impone il relativo disciplinare.

Parametri chimico-fisici devono rientrare nei ranges stabiliti e altrettanto è richiesta la presenza degli attributi organolettici che differenziano quel prodotto da tutti gli altri e lo caratterizza per una sua tipicità che, esasperata, si vorrebbe “unicità”.

Non capisco come il campione inviato a diversi panel, da alcuni è stato riconosciuto IGP, da altri no. Non critico il risultato ma la procedura.

Come per tutte le DOP, la richiesta di riconoscimento non viene fatta dal produttore che si rivolge a un panel di suo maggior o minore gradimento.

La domanda viene inoltrata all’Ente certificatore, che presiede a quella DOP o IGP e a lui spetta indirizzare il campione sia ad un laboratorio chimico che ad un panel, l’uno e l’altro di sua scelta. Non è, quindi, il panel che attribusce il riconoscimento; è l’Ente certificatore che dichiara la DOP o la IGP.

Spero d’aver chiarito qualcosa.

Ettore Franca

Presidente Olea

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