Olivo Matto

Gli irrimediabili danni di Coldiretti all’agricoltura

Luigi Caricato

Chi mi conosce sa bene che non riesco mai a soprassedere di fronte alla dilagante deriva intellettuale ed etica messa in atto da Coldiretti. Di solito taccio, ma quando si supera il limite della decenza non riesco a far finta di nulla.

Qualcuno può legittimamente ritenere che io sia contro Coldiretti in quanto espressione di una controparte. In verità, non è così. Anche perché di fatto non esiste un contro potere. Tutto è nelle mani di Coldiretti.

Anche gli stessi italiani – tranne le rare eccezioni, ma restano nel caso una esigua minoranza – sono da ritenere ontologicamente coldirettiani. Consapevoli o meno, prendono per oro colato tutto ciò che viene diffuso attraverso i media in maniera acritica.
Non esiste, a dire il vero, nemmeno un giornalismo che tenga testa alla nota lobby agricola. Se esistono giornalisti contro la mafia, non ne esistono ancora di quelli che si oppongano al pensiero unico imposto da Coldiretti. Si tratta di un potere evidentemente molto saldo, proprio perché esercitato capillarmente e ovunque, in qualsiasi luogo di potere.

A parte questa lunga e noiosa premessa, tuttavia necessaria per chi mi legge per la prima volta, voglio solo mettere in evidenza una notizia che ho letto sulle pagine del quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno” lo scorso 11 novembre.

Il titolo, dalle forti connotazioni populiste, è di quelli che non fanno certo onore a una testata storica: La truffa dell’olio, così gli ulivi spagnoli «diventano» pugliesi.
Insomma, se Coldiretti vanta un primato assoluto nell’appiattire coscienze e cervelli, mandandoli all’ammasso, ci sono anche giornali che si dimostrano alquanto collaborativi.

Nel sommarietto – dove in genere si cerca di trasmettere un messaggio altrettanto evocativo e suggestivo, efficace per quanti decidano di non proseguire nella lettura – si legge, testualmente: “Dopo l’allarme batterio, piantati molti alberi della varietà iberica «Arbequina»: per questo il prodotto spagnolo diventerà italiano in modo fraudolento”.
Ora, voi che avete confidenza con il mio modo di pensare sganciato da condizionamenti, ditemi pure, con tutta onestà, come debba comportarmi leggendo questi annunci dall’intonazione a metà tra l’apocalittico e il populistico.
Debbo essere sincero o voltarmi dall’altra parte e far finta di niente, come è stato sempre fatto finora, dando rilievo ed enfasi alle spacconate di Coldiretti?

Iniziando a leggere l’articolo in questione, Marco Mangano sveste subito i panni del giornalista per indossare quelli del narratore, esordendo con un incipit che abitualmente si addice più alle cronache sui narcotraffici che non a un articolo di pedante cronaca olivicola.
Mangano esordisce così: Si gonfia il fiume d’olio d’oliva «di carta».
Insomma, dopo di noi il diluvio, e così, come ormai ci siamo purtroppo abituati da decenni, siamo alle solite: truffe truffe truffe, con la solita denuncia-solfa, buona per nascondere la debordante fuffa con cui ci si deve confrontare quando si affrontano i temi agricoli.

Il pensiero unico di Coldiretti, come al solito, vince sempre. Anche perché gli italiani, quando si parla di agricoltura, rinunciano in toto al pensiero, e, qualsiasi cosa, anche la più perversa venga loro detta, è sempre presa per buona e per vera.

Cosa emerge dall’articolo a firma di Marco Mangano? L’inverosimile. Ovvero che con l’incremento degli ulivi della varietà spagnola Arbequina si giunge inevitabilmente a una “semplificazione nelle frodi: basterà un garbato gioco documentale e tutto filerà liscio come l’olio”.

Mangano ci sa fare con le parole, e così si lancia nelle sue argomentazioni alquanto ovvie: “le analisi parleranno chiaro («L’olio è ricavato da olive di varietà Arbequina»), ma il delitto sarà perfetto poiché si potrà affermare che il prodotto è made in Puglia, essendo presenti nella regione alberi di questa varietà. E il nettare d’olive spagnolo arriverà a fiumi per poi essere spacciato per italiano. Un ceffone al «made in», alla territorialità da tutelare e al patrimonio varietale da promuovere. Il fenomeno – annuncia Marco Mangano – coinvolge in modo trasversale tutte le province“.

Insomma, la fine dell’olivicoltura italiana sembra ormai segnata. Oltretutto, la Puglia rappresenta, in funzione delle varie annate, tra il 40 e il 60 per cento della produzione nazionale.

La parola magica, spesso evocata, è frode. La si annuncia ad ogni occasione, soprattutto quando c’è da risolvere una seria e irrisolta crisi che insegue da anni il settore. Mai una gioia per il combattente giornalismo nostrano. Purtroppo si deve ricorrere allo stratagemma delle frodi e delle truffe, pur avere le morbose attenzioni dei lettori.

Se avete notato, tutto viene obbligatoriamente inquadrato in chiave negativa. A imporlo è Coldiretti. C’è il pensiero unico che va contro il pensiero riflessivo. Lo dice Coldiretti? Allora viene prontamente rilanciato dai media, sempre attraverso una narrazione a effetto. Il piano è geniale. Gli italiani d’altra parte si prestano immancabilmente a essere presi per i fondelli.

Non poteva in tutto ciò mancare la voce del presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele.
Riporto pertanto alla lettera un brano dell’articolo di Marco Mangano per “La Gazzetta del Mezzogiorno”: «A parità di condizioni assistiamo a una brusca virata da varietà della Puglia, capitale europea della produzione di olio, a varietà straniere, con l’ovvia conseguenza che l’olio derivato non sarà distinguibile da quello spagnolo e non potrà fregiarsi dei marchi comunitari Igp Puglia e Dop. Da studi effettuati – conclude Cantele – le peculiarità degli oli da Arbequina risultano inferiori agli italiani per caratteristiche varietali e natura genetica, l’approvvigionamento delle piante è legato solo ad alcuni vivai e le attrezzature per la raccolta delle olive sono molto onerose».

Insomma, sembra di incappare in uno dei tanti articoli di pura propaganda, come ai vecchi tempi del Soviet supremo. Basta condire un po’ la notizia e gli allocchi che credono a qualsiasi cosa venga loro propinata non mancano di certo.

Il pensiero si fa ardimentoso quando si legge, testualmente: “Una mano di aiuto è arrivata anche dal Psr Puglia 2014-2020: numerose le domande di aiuto per il finanziamento di impianti superintensivi di Arbequina“.

Vi siete fatta un’idea di quanto scrivono i giornali? Non vado oltre, perché sono il primo ad annoiarmi. A essere sincero, sto sprofondando in un sonno perpetuo, tanto da chiedermi il perché stia ancora scrivendo questo articolo. E mi chiedo anche se abbia ancora un senso, oggi, muovere una severa critica a qualcosa che si reputa sostanzialmente una sciocchezza madornale. Ha senso scrivere ancora di questo declino del Paese o è forse più opportuno tacere e non farsi del male, visto che Coldiretti non perdona nulla?

Una cosa però mi chiedo, per chiudere con questa storiella degli olivi Arbequina. Il Gianni Cantele presidente di Coldiretti Puglia è forse lo stesso Cantele dei vini con cantina a Guagnano in provincia di Lecce? Se è proprio lui, mi può spiegare allora il perché i vini che portano il suo cognome facciano perno su un vitigno a nome Chardonnay?
In fondo, una persona con la testa sulle spalle sa bene che questo vitigno che ha ormai legittimamente invaso l’intero territorio italiano, oltre che quello mondiale, non sia certo una varietà di origini italiana. E allora? Perché questa discriminazione nei confronti dell’Arbequina, o verso qualsiasi altra cultivar di olivo alloctona, non italiana?

Perché un olivicoltore che voglia investire in un oliveto moderno e razionale, sia per abbattere i costi di produzione, sia per ottenere nel contempo un’alta qualità dell’olio, non può decidere liberamente di piantare olivi della pregiata cultivar Arbequina in santa pace? Perché non può farlo, visto che il viticoltore Cantele può decidere quel che gli pare fottendosene allegramente degli olivicoltori della sua regione?

Perché “La Gazzetta del Mezzogiorno”, che non è certo un giornale nato ieri, deve prestarsi, in modo così deprimente, a cavalcare la facile ondata di populismo che sta devastando l’Italia?

Perché un giornale storico e di grande tradizione si ritrova a fare da megafono al pensiero unico e perverso di Coldiretti?

Perché una testata giornalistica su cui i pugliesi hanno posto per decenni la propria fiducia non si prende l’impegno di sostenere e far crescere imprenditorialmente gli agricoltori del proprio territorio, in particolare sostenendo quelli che hanno voglia di voltare pagina e imprimere così una sferzata di cambiamento alla Puglia e al resto del Paese, senza essere sempre succubi di una lobby agricola che sta invece condizionando l’Italia rendendola sempre peggiore e sempre meno competitiva?

Chi pagherà per gli irrimediabili danni resi da Coldiretti all’agricoltura? Forse qualcuno dotato ancora di buon senso, oltre che di libertà di pensiero, può iniziare a interrogarsi sui motivi di un declino ormai inarrestabile dell’economia agricola.

Non prendiamoci in giro. Nell’ultima olivagione, quella del 2016, abbiamo prodotto così poco olio da averne dovuto importare l’ottanta per cento dall’estero. E questo accade non perché ci siano aziende olearie paragonabili per atteggiamento ai narcotrafficanti, ma perché è tutta l’olivicoltura italiana che sta conoscendo un declino senza precedenti in quanto non si è mai saputa rinnovare nel corso dei decenni.

Tutto questo arretramento accade perché si abbandonano via via tutti gli oliveti vetusti, per i loro alti costi di produzione.

Tutta questa perdita di valore accade perché di olivi non se ne piantano più di nuovi, mancando da un lato imprenditori coraggiosi e dall’altro banche che siano vicine alle esigenze di chi vive sulla propria pelle il disagio di un Paese alla deriva.

E poi tutto questo declino c’è in quanto vi sono quelli che pur decidendo di investire si trovano davanti i vari Cantele, e i vari Mangano che danno spazio ai Cantele, che riescono solo a portare fuori strada le persone e ad avanzare un pensiero che è tutto tranne che pensiero.

Chi pagherà mai per gli immensi e irrimediabili danni resi da Coldiretti all’agricoltura italiana? Ditemi un po’ voi, perché io mi sto annoiando terribilmente, sin dalla prima riga di questo barboso e soporifero articolo.

Non se ne può più delle solite storie che si ripetono perennemente uguali da decenni.
È sempre la solita solfa e io non ne posso più. Perciò, non costringetemi a scrivere simili articoli. Reagite anche voi, se avete ancora una coscienza civica e un cervello raziocinante.

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