Olivo Matto

Il comparto oleario ha forse bisogno di oleologi?

Luigi Caricato

L’importanza degli enologi per il vino è acclarata. Nessuno può dubitare di quanto una simile professionalità sia importante e fondamentale. Non è un caso che una realtà associativa come Assoenologi possa dirsi ben fiera, anche perché sono stati finora ben 130 gli anni al servizio della categoria degli enologi e del vino italiano. E non è un caso che il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella ritenga sia stato un “colpo di genio”. Ed è quanto si legge nell’editoriale a sua firma apparso sul numero di dicembre 2021 del mensile l’Enologo.

Ha pienamente ragione Cotarella quando scrive “Se oggi esiste la figura dell’enologo lo dobbiamo ad Arturo Marescalchi e Antonio Carpenè”. E quando precisa: “La loro intuizione di varare nel 1891 la Società degli enotecnici italiani, fu semplicemente geniale, soprattutto se rapportata all’epoca”.

Ebbene, considerando quel che gli enologi hanno reso in tutto questo tempo al mondo del vino, si può forse sostenere lo stesso di un altro prodotto di grande valore e dalla consolidata storia qual è l’olio ricavato dalle olive? Direi proprio di no.

Negli anni Novanta coniai il termine “oleologo” per dar voce, spazio e autorevolezza alla figura del professionista che studia e affronta tale alimento lavorando su qualità e peculiarità del prodotto da immettere sul mercato.

L’oleologo è una voce che oggi compare nei vocabolari, ma che di fatto non trova alcuna applicazione concreta al pari dell’enologo per il vino.

È solo un titolo onorifico quanto però, nella realtà, aleatorio.

Cosa significa tutto ciò?

Si tratta forse di una maledizione divina che impedisce a un comparto come quello oleario di avere il riconoscimento del proprio ruolo e disporre di conseguenza di realtà associative che lo rappresentino e tutelino, come potrebbe essere il caso – mettiamo per ipotesi – della istituzione di una possibile ed eventuale Assooleologi?

Niente da fare, non si prospetta nemmeno all’orizzonte una simile probabilità.

Perché? Per un irrisolto ritardo culturale del comparto, che non ne sente minimamente alcuna necessità di impegnarsi in tal senso.

Piaccia o meno, è così.

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