È veramente molto strano assistere a tutte queste luci accese, come fari abbaglianti, per evidenziare il valore del made in Italy in campo alimentare. Molto strano e incongruente, se proprio vogliamo essere sinceri con noi stessi.
La notizia dell’acquisizione di un altro gioiello del made in Italy, l’azienda Acetum Spa, da parte del gruppo internazionale Associated British Foods plc – acquisizione che significa, di fatto, una serie di marchi importanti, oltre alla nota azienda, omonima, fondata a suo tempo da Cesare Mazzetti e Marco Bombarda – segna un’altra grande perdita per il tanto osannato made in Italy.
Sono le leggi del libero mercato, certo, quindi nessuno scandalo, se queste acquisizioni avvengono ormai con gran frequenza. Però induce a riflettere tanta prosopopea in tante, troppe, comunicazioni a favore del made in Italy alimentare. L’impressione è che siano tutte cartucce sparate a salve, solo per lanciare fumo negli occhi e illuderci che l’Italia sia ancora parte attiva e vincente nel campo alimentare.
Ora, senza intenzioni polemiche, mi chiedo soltanto se abbia ancora senso insistere con questa snervante cantilena del made in Italy, quando in verità stiamo progressivamente perdendo il controllo delle imprese, abbandonando al proprio destino i propri marchi storici e più quotati.
Non solo, c’è pure da osservare che molte imprese italiane sono purtroppo costrette – non per volontà, ma per necessità – a importare alimenti dall’estero, anche perché l’agricoltura nostrana non ha materie prime alimentari a sufficienza per soddisfare le esigenze del proprio fabbisogno interno, figuriamoci per le esportazioni.
Non è per gettare luce negativa e lamentarsi, anzi, sarebbe il caso che ci fosse uno scatto d’orgoglio e aspirare a una svolta, ma, vista la situazione reale che abbiamo sotto gli occhi, non è forse il caso di riflettere sulla realtà che stiamo vivendo, prima ancora di lanciare assurde e anacronistiche campagne di comunicazione fondate sul nulla, se poi in concreto si sta irrimediabilmente perdendo il controllo del presunto made in Italy?
Cosa vogliamo che sia il made in Italy, solo Km 0 come taluni si ostinano a sostenere?
Ha senso tutto questo esagerare sul made in Italy se poi di fatto nemmeno chi lavora in campagna – ma lo stesso vale per chi lavora nelle cucine dei ristoranti, o nei forni, o in altri ambiti dell’agroalimentare – è italiano nel senso stretto del termine?
La verità la conosciamo tutti, l’Italia viene evocata solo per autoconvincersi che siamo i migliori al mondo – e in fondo lo eravamo, e chi lavora impegnandosi con grande efficacia ancora lo è, ma il sistema tuttavia traballa, presenta pesanti contraddizioni.
Forse non sarebbe il caso di ammettere che qualcosa si stia sgretolando e cercare in qualche modo di decidere cosa si voglia effettivamente fare, non dico per il futuro che è ancora lontano, ma per l’oggi, per il presente?
Cosa ci sta succedendo?
Cosa stiamo diventando?
Cos’è, in fondo, il made in Italy?
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