Che non tutto vada bene per il comparto oli da olive lo si vede dai fatti.
Non è più solo la ormai strutturale crisi in cui versa da decenni il settore agricolo, non disponendo di un numero sufficiente di oliveti, tali da soddisfare l’esigenza interna di prodotto e avendone nel contempo ormai tanti di vetusti da non riuscire ad abbattere i costi di produzione ed essere competitivi sul mercato internazionale.
Non è nemmeno la Xylella fastidiosa in sé, il vero dramma dell’olivicoltura italiana, giacché dinanzi alla negligenza istituzionale alla fine ci penseranno comunque la natura e il tempo a risolvere l’avanzata del batterio, seppure con grandi e gravi danni che peseranno in maniera significativa sull’economia.
Anche se non piacerà ammetterlo, il vero e irrisolto problema dell’Italia olivicola e olearia è rappresentato dalla irreversibile e caparbia ostilità da parte delle pubbliche istituzioni, incapaci di valorizzare le risorse del proprio Paese.
Non è un atto d’accusa pretestuoso e velleitario. Nessuno ne parla, non per mancanza di coraggio, ma perché tutti in fondo temono possibili ritorsioni ai danni della propria azienda e del proprio onesto lavoro.
Il danno alla reputazione aziendale – dopo aver investito per anni, per decenni e a volte per oltre un secolo, risorse, tempo e professionalità – mette in continua allerta gli imprenditori, e chiunque, di fatto, può subire ingenti danni, soprattutto d’immagine, pur lavorando correttamente e secondo logiche orientate esclusivamente al conseguimento della qualità e al rispetto dei lavoratori e a pieno beneficio del consumatore.
Non è un attacco frontale, sguaiato e irriverente alle istituzioni, nel clima del populismo dilagante che sta mettendo in ginocchio il Paese, ma sono considerazioni amare, dolenti e tragiche, che mi corre l’obbligo di rendere note a chi legge.
Che piaccia o meno, la realtà è che tutte le imprese olearie conoscono sulla propria pelle lo stato di continua incertezza e tensione che vivono ogni giorno con ansia e trepidazione, pur essendo impeccabili nel loro operato, quando si affacciano all’orizzonte i pur giusti e doverosi controlli sul prodotto confezionato. Il danno che deriva rispetto ai competitori esteri è enorme.
Non si tratta di demonizzare le attività di controllo che sono non soltanto necessarie e utili, ma sempre auspicabili, proprio perché a beneficio dell’integrità e purezza del prodotto, a tutela delle aziende che lavorano nell’ambito del comparto e a garanzia, doverosa e fondamentale, del consumatore.
Ciò che manca, al di là delle buone intenzioni, è la certezza della professionalità degli organismi di controllo, soprattutto quando ci si confronta con un prodotto intrinsecamente fragile e precario qual è l’olio extra vergine di oliva, soggetto com’è a rischi enormi per cattiva conservazione e negligenze da parte della catena distributiva.
Se si fa un uso distorto di uno strumento meraviglioso e di fondamentale importanza qual è il panel test nella valutazione qualitativa di un olio, il rischio è che questo strumento venga utilizzato non a vantaggio del prodotto e delle aziende ma ossessivamente contro, o per semplice imperizia, nella maggior parte dei casi, o, talvolta, per vizio (consapevole o inconsapevole) ideologico.
Le contestazioni sul panel sono ormai pane quotidiano per le imprese – piccole, medie o grandi che siano, senza distinzione – e non importa se si lavori bene e con coscienza, perché il rischio, per tutti, rimane sempre alto e l’incertezza e l’alea diventano un serio problema.
La valutazione sensoriale degli oli non può essere fatta con intenti persecutori. Non riconoscere la fragilità e instabilità della materia prima è segno di grande ignoranza che a volte si nutre anche di boria e tracotanza.
Sembra che vi sia non l’invasione degli alieni, ma dei difetti di riscaldo e morchia, che sembrano ormai essere, tra gli attributi negativi di un olio, i più gettonati tra i controllori, tanto che i nasi della burocrazia sembrano quasi ossessionati dai difetti.
Il panel test da risorsa preziosa ed efficace, a vantaggio di prodotto, produttori, confezionatori e consumatori, sta diventando ormai un incubo, nonostante la qualità degli oli sia nettamente migliorata negli ultimi decenni. Se vi sono contestazioni massicce sugli oli extra vergini di oliva, troppe, ripetute, insistenti, è segno evidente che vi sia qualcosa che non va, nel sistema dei controlli, che sta fallendo miseramente e che, di questo passo, comporta grandi rischi e un grave dispendio di energie e risorse.
Resta da chiedersi in che cosa stiano sbagliando le istituzioni italiane sull’olio, ma ci si deve anche interrogare con la massima urgenza sulla reale professionalità di chi è preposto, in quanto organismo di controllo, a un compito così delicato che richiede oggettività e che nella maniera più assoluta non può essere più lasciato in balìa dell’alea della soggettività e (forse, anche) del vizio ideologico.
Il dubbio sulla corretta esecuzione del panel test rimane, tanto più che non si comprende nemmeno il motivo per il quale le revisioni siano fatte con grande ritardo e con modalità discutibili.
Un altro dubbio – che spero sia solo un azzardo della fantasia, perché mi rifiuto anche solo lontanamente di crederci – è che si tratti di un modo per far cassa attraverso le sanzioni, proprio come avviene ormai da tempo con le multe comminate agli automobilisti con l’inganno, concepite solo per risanare i fin troppo precari bilanci. Spero, e mi auguro vivamente, che non sia per ragioni così disonorevoli.
Resta infine da chiedersi a chi possa giovare questo stato di perenne incertezza, con il panel test usato come corpo contundente, puntato sulle aziende alla stregua di una spada di Damocle.
È paradossale che in tempi in cui la qualità degli oli da olive è di fatto nettamente migliorata ovunque, vi siano ripetute contestazioni che, in anni passati, nemmeno tanto lontani, neppure si potevano immaginare possibili.
C’è qualcosa di molto anomalo. La soluzione al problema – perché un problema esiste – sta unicamente nel valutare la professionalità e correttezza dei controllori. Questa valutazione deve essere effettuata da parte di un organismo terzo, non istituzionale, e magari esterno all’Italia, perché ormai delle istituzioni, quelle nostrane, c’è poco da fidarsi: non sono più credibili. È un dato di fatto, non una pura ipotesi.
Il problema, sia ben chiaro, non è nel panel test, che è uno strumento meraviglioso e formidabile, e tale deve restare ed essere ogni volta perfezionato, ma in chi lo utilizza in maniera maldestra e, spero tanto, non con intenti ideologici.
L’unica speranza, è che si giunga il prima possibile a strumenti di valutazione più oggettivi, non più basati sul solo operato umano, molto discutibile. Una valida soluzione sembra essere la quantificazione dei composti organici volatili.
Nel frattempo, c’è solo da sperare nel buon senso di chi ricopre incarichi istituzionali, affinché non agisca utilizzando il panel test con un approccio forzatamente inquisitorio, accusatorio e punitivo.
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