Olivo Matto

L’ingordigia e l’inadeguatezza

Luigi Caricato

Lo spreco è sempre il frutto di una inadeguatezza. E’ l’espressione più immediata di una mancanza di sensibilità. E’ sempre un non riconoscere e un non percepire il valore delle cose.

Si spreca quando si ha troppo, e non ci si cura di quel che abbiamo davanti. Non si spreca mai quando si ha fame, o quando, in ogni caso, si è nella estrema necessità di aspirare, con tutte le nostre forze, con tutto il nostro pensiero, a qualcosa che ci manca, o che comunque non abbiamo più a disposizione e di conseguenza ci manca ancora di più proprio perché l’abbiamo già avuto e provato.

Se non si entra in questa sfera di idee, a nulla serve contrastare e combattere lo spreco. Mettersi dalla parte di chi avversa lo spreco significa entrare nel vivo della questione e viverla sulla propria pelle come se fosse una esperienza personale. Significa immedesimarsi nell’altro che non ha, nonostante si sprechi tanto, nonostante si sprechino tante risorse vive, e non solo il cibo.

Si spreca, a volte anche involontariamente, molto spesso inconsapevolmente, perché non si sente l’impulso della sopravvivenza che urla dentro la parte più animale di noi, ma soprattutto non si avverte tale istinto a non sprecare perché ci manca il rispetto delle cose. Mia nonna, che ha vissuto la guerra, mi imponeva di baciare il pane, e guai se l’avessi messo capovolto. Doppio bacio sempre sul pane. Mio nonno paterno, che ha vissuto le due grandi guerre, e la prima direttamente sul fronte del campo di battaglia, aveva la chiara percezione di cosa si intenda per fame. La mancanza di cibo ci fa meglio percepire ciò che costituisce di per sé un valore.

Che sia cibo o altra risorsa poco importa, la propensione allo spreco è un atteggiamento interiore. Se non si ha una sensibilità spiccata, si continua a sprecare cibo e ogni altro bene senza nemmeno rendersene conto. Il guaio odierno è che non esiste una consapevolezza del valore delle cose. Il cibo, materia prima più tangibile di altre, è il primo richiamo in assoluto, il primo campanello d’allarme, anche perché quando si ha fame, e non si ha nulla da mettere spotto i denti, diventa un serio problema resistere agli impulsi selvaggi della fame, tanto più che non siamo più abituati al digiuno, al valore stesso della purificazione interiore ed esteriore che avviene dopo un opportuno momento di digiuno e astinenza dal cibo.

Quanto alla mia professione di oleologo, di chi studia e approfondisce la materia olio da olive, posso ben dire che già la stessa predisposizione a non prestare la benchè minima attenzione a ciò che la natura offre, è di fatto il primo passo verso lo spreco. Così, noi sprechiamo senza rendercene conto, incapaci di cogliere il valore delle cose, anche di quelle apparentemente più insignificanti.

Così, entrando nel vivo della produzione agricola, e nello specifico nella produzione di olive e olio, non ci si rende ancora conto di come si trascurino elementi di grande valore come lo sono per esempio le foglie di olivo. I residui della potatura si cercano di smaltire sopportando costi notevoli ma senza trarne alcun beneficio. Sarebbe più opportuno che si valorizzassero le foglie per trarne possibili guadagni per impieghi su più fronti, come d’altra parte avviene con grande successo in Francia, molto più sensibile nel trattare le foglie come valore, anche economico, da non disperdere.

Lo stesso vale per altri aspetti analoghi. Purtroppo non si riesce a dare valore, importanza e centralità ai sottoprodotti di produzione. Le acque di vegetazione, per esempio. L’acqua contenuta nelle olive da cui si estrae l’olio può essere un problema da gestire, e di conseguenza anche un costo, ma in realtà sarebbe una preziosa risorsa, ancora poco esplorata o comunque sottovalutata. La maniera più semplice ed economica nella gestione e nello smaltimento di tale sottoprodotto, è stato finora lo spargimento del liquido nelle campagne, sui terreni agricoli, ma vi sono in essa composti che possono invece essere estratti per ricavarne reddito e vantaggi salutistici, visto che vi sono preziosi compomenti.

Anche le sanse, il residuo solido della estrazione delle olive, oltre a essere destinate ai sansifici per ricavarci l’olio residuo, possono essere utilizzate a scopo energetico, negli impianti di biogas, oppure, una volta lavorate, impiegate per garantire una sana alimentazione degli animali. Resta tuttavia lo sconcerto nello scoprire come di anno in anno l’olio di sansa di oliva venga inutilmente demonizzato dagli estimatori di oli d’eccellenza, come se fosse qualcosa di “sporco”, quasi di inadatto all’alimentazione, cosa non vera, perché è un alimento nobile a pieno titolo, pur espirmendo una qualità non pari al più celebre olio extra vergine di oliva.

La medesima demonizzazione accordata all’olio di sansa di oliva viene riservata pure all’olio di oliva – che come tutti sanno, e come è opportunamente indicato in etichetta, è un prodotto “composto da oli d’oliva raffinati e da oli d’oliva vergini” – e, nondimeno, stesso trattamento penalizzante viene assegnato pure all’olio vergine di oliva – altro prodotto di qualità, seppure collocato a un gradino immediatamente inferiore rispetto all’olio extra vergine di oliva, ma pur sempre valido quale prodotto d’uso quotidiano, preziosissimo in cottura.

Diventa di conseguenza necessario osservare come il ricorrente atteggiamento discriminatorio verso certe produzioni, crei di fatto una indiretta e inevitabile sottocultura che invita e invoglia continuamente allo spreco. Quando invece, al contrario, tutto ciò che si presenta in natura, e che l’uomo con la sua sperimentata sapienza è in grado di elaborare, è da accogliere sempre a braccia aperte, come preziosa risorsa ed elemento di crescita.

L’atteggiamento di demonizzazione verso certi alimenti considerati a torto meno nobili, di fatto rappresenta alla perfezione il segno regressivo dei tempi, dimostrando con ciò una sostanziale incapacità nel concepire una opportuna quanto lecita stratificazione e segmentazione delle varie qualità di un prodotto – anche perché, in fondo, i consumi, in base al diverso tipo di utilizzo cui sono destinati, non possono certo concentrarsi tutti su produzioni qualitative di altissimo pregio. Come a dire: non è assolutamente immaginabile che le dinamiche dei consumi correnti si possano muovere solo nel ristretto ambito d’azione di prodotti simbolo come un prezioso quanto regale calice di vino “Sassicaia”. Ciò che di conseguenza manca in una società dell’ingordigia qual è quella attuale in Occidente, è il senso della misura, ma soprattutto il non concepire uno spazio garantito al cibo della quotidianità, sano e genuino, autentico, e proprio per questo democratico, di una qualità coincidente con quanto richiede il legislatore.

Concludo con quanto ho già espresso in apertura, ricorrendo alla medesime parole: lo spreco è sempre il frutto di una inadeguatezza. E’ l’espressione più immediata di una mancanza di sensibilità. Ed è sempre il segno dell’incapacità di riconoscere e assegnare il giusto valore a ogni bene con cui di volta in volta, e in vario modo e atteggiamento, ci confrontiamo.

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