Olivo Matto

L’odio per le aziende di marca

Luigi Caricato

La brutta reputazione delle grandi imprese olearie in Italia è stata alimentata ad arte da chi per decenni non ha mai saputo costruire nulla di concreto, pur disponendo di risorse finanziarie ingenti e con ciò avendo la concreta possibilità di agire curando i propri personali interessi.

Debbo ammettere che la costruzione della cattiva reputazione che ruota attorno alle grandi imprese olearie è forse l’unico solido successo conseguito da coloro che, a parte le parole accusatorie, non hanno mai saputo generare, in oltre tre decenni, quella ricchezza necessaria a un settore barcollante. Così, i detrattori delle aziende di marca, pur avendo attinto ingenti somme di danaro pubblico, senza tuttavia mai riuscire a dimostrare la propria capacità di fare impresa, anche recentemente, proprio in vista delle generose elargizioni di fondi pubblici che ci saranno a breve, pare si stiano attrezzando per fallire nuovamente, come nel passato. Tanto che i fondi pubblici potrebbero di fatto rivelarsi l’ennesima occasione sprecata per il settore.

In questo quadro, se l’unica strategia, per alcuni, è colpire la controparte senza mai avanzare nulla di concreto a favore del comparto oleario, qualche problema evidentemente esiste, e non si comprende come le stesse istituzioni consentano questo iato profondo tra i diversi attori della filiera.

Solo l’Italia può dimostrarsi in grado di distruggere con grande efficacia il buon nome delle proprie aziende olearie, quelle che in oltre un secolo hanno fatto la storia commerciale del Paese. Il masochismo che ha attraversato l’Italia in tutti questi anni è ormai proverbiale. C’è una sorta di istinto che porta alla distruzione della filiera, con il dichiarato intento di distruggere alle basi le pur solide fondamenta che hanno portato al successo un intero settore.

Il venir meno progressivo della credibilità delle nostre aziende di marca, nel clima di odio che si è instillato tra i piccoli produttori, e costruito con pazienza certosina negli ultimi dieci anni, ha portato oggi i suoi nefasti frutti.

Se avete infatti notato, da qualche mese a questa parte, proprio ora che sono in ballo le cosiddette intese di circostanza, dovute però alle elargizioni di pubblico denaro, in vista del Piano olivicolo nazionale, è tornata la pace tra i vari attori. Per lo meno, non esistono attriti evidenti. Non vengono più diffusi comunicati stampa redatti ad arte, dove si leggevano fino a poco tempo fa idiozie paradossali, del tipo “il 90 per cento dell’olio in circolazione non è extra vergine”, o stupidaggini simili. Ora sembra essere tornata la pace, ma è solo a breve termine, fino a che è necessario far finta di andare tutti d’accordo, per gestire i finanziamenti pubblici, poi tutto tornerà come prima, peggio di prima.

Sapete perché ho scritto queste riflessioni, oggi che tutto invece sembra tranquillo? A scaturirle è stato l’incontro con una intellettuale, professionalmente estranea al mondo dell’olio. Abbiamo sorseggiato insieme un aperitivo, quando lei, sfogliando un giornale, si è soffermata sulla pubblicità di una nota e prestigiosa azienda di marca italiana, davanti alla quale mi ha spontaneamente confidato: “certo è che su questa azienda ne sono state dette tante, non c’è da fidarsi”, alludendo a voci infondate ma che evidentemente, dopo tanti comunicati stampa e servizi televisivi, hanno contribuito a ledere progressivamente la buona immagine di questa e di altre aziende olearie italiane, anche con l’aiuto di qualche settore deviato dello Stato.

Così, più le aziende sono grandi e di successo, più crescono e diventano grandi e strutturate, più la loro immagine viene considerata riprovevole, come se violassero l’etica per il gusto di fare affari imbottigliando falsi e disgustosi extra vergini. Ecco, riflettendo sul coro di voci calunniose diffuse negli anni ai danni delle aziende di marca, oggi è possibile constatare come l’odio verso tali imprese sia ormai inculcato anche tra la gente comune, che ora è più diffidente. Sta dunque qui l’unico vero successo conseguito da coloro che sono di fatto riusciti splendidamente a rovinare una reputazione che le aziende di marca pur si sono conquistate con le proprie forze sul campo.

Tutto questo odio è stato inculcato al solo scopo di mascherare il vero insuccesso, ovvero l’aver gestito copiosi finanziamenti pubblici in tanti anni, senza mai essere riusciti nel frattempo a creare valore e a garantire ricchezza alle tante piccole imprese olivicole e frantoiane. Così, l’insuccesso di alcuni ha comportato la denigrazione di chi il successo lo ha invece guadagnato con i propri meriti sul campo.

Che piaccia o meno, questa è l’immagine dell’Italia olearia che emerge ad oggi, e che ostinatamente non accenna minimamente a cambiare.

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