In questo spazio riservato agli editoriali, riportiamo, a beneficio dei lettori della rivista telematica Olio Officina Magazine, l’editoriale a firma del Direttore, Luigi Caricato, apparso sul numero 6 del trimestrale in edizione cartacea e in lingua italiana e inglese OOF International Magazine, di cui potete ammirare in chiusura a questo articolo la copertina realizzata Eduardo Bardi. Buona lettura
La pubblicità non consiste soltanto nell’invenzione di uno slogan e in uno spazio vuoto da riempire. È la ricerca di un interlocutore con il quale interagire e al quale comunicare qualcosa di interessante di noi e di quel che facciamo o produciamo.
Se fosse solo uno slogan, resterebbe solo seducente e accattivante come tale, ma non compiutamente efficace al punto da trasmettere “ïl” messaggio.
L’avviso promozionale non è una comunicazione tra le tante possibili, ma, appunto, “il” messaggio, “la” comunicazione cui intendiamo concentrarci e che intendiamo trasferire a un determinato pubblico, ma non a chiunque e senza una rigorosa logica.
Affinché si giunga a un risultato concreto, occorre che vi sia una progettualità ben congegnata e strutturata nel tempo. Non può esserci alcuno spazio lasciato all’improvvisazione. Tutto va pianificato.
Il mondo dell’olio gli spazi pubblicitari li occupa assai raramente. Lo fa molto spesso male, non adottando il linguaggio giusto, non rivolgendosi all’interlocutore più opportuno e nei modi più appropriati.
Il mondo dell’olio si trincera dietro al passato e alla tradizione perché non sa effettivamente cosa, come e quando comunicare. Non ha vere novità da trasmettere, si avvale di “luoghi comuni”, non riuscendo a ricreare e riproporre con linguaggio nuovo una materia prima alimentare di per se stessa antica e, nello stesso tempo, marginale e periferica, poco attrattiva rispetto a un più ampio e strutturato progetto alimentare.
Altri alimenti, e soprattutto quelli che si combinano tra loro, attraggono molto di più. Si percepisce nettamente tutta la loro complessità e il fascino che ne deriva. Occorre allora cercare di inventare qualcosa di inedito e iniziare a occupare spazi, anche alternativi e discontinui rispetto al passato, con approcci originali e inconsueti.
Gli spazi pubblicitari non ci si limita ad acquistarli, ma si creano con l’immaginazione e lo studio metodico del contesto in cui si opera, studiando attentamente il pubblico al quale ci si rivolge. Gli spazi per essere davvero spazi ben occupati, con le giuste parole, le giuste immagini, devono essere concepiti come l’estensione della propria identità.
Si pubblicizza in fondo ciò che siamo, ciò che è il frutto del nostro modo di essere e agire, ciò che è espressione concreta di quanto realizziamo. La pubblicità fa perno sulla concretezza, se vi è dietro un “corpo vuoto” camuffato da un “corpo pieno” non si raggiunge l’obiettivo.
Alcuni esempi di casi di successo ci sono, ma di fatto, nella realtà, le imprese olearie credendo poco nel valore della pubblicità, disdegnandola, a volte rifiutandola, perché ritenuta a torto non essenziale, voce trascurabile del bilancio, anche quando poi la fanno, finiscono con il non risultare convincenti, proprio perché manca una predisposizione a farla.
L’olio deve invece poter uscire allo scoperto, farsi conoscere, entrando in un’ottica altra e non più routinaria così come è finora conosciuto, percepito e vissuto.
Andando al di fuori dai consueti canoni, l’olio può diventare una rock star, ma ci vorrebbe un Andy Warhol che riesca a stravolgere l’immagine desueta, cristallizzata nell’ottica di una tradizione che si ripete stancamente uguale a se stessa, come un logoro cliché.
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