Oggi ho desiderio di letteratura. Riapro perciò un libro più volte letto e sottolineato, L’olivo e l’olivastro, del siciliano Vincenzo Consolo. Riporto in particolare un brano sul destino dell’uomo, diviso tra l’elemento bestiale, l’olivastro, e l’elemento umano, l’olivo. Da una parte il selvatico, dall’altra il coltivato. Anni fa per il mensile “Olivo & Olio”, quando la direzione era affidata a Giuseppe Fontanazza, intervistai lo scrittore autore di Retablo e de Il sorriso dell’ignoto marinaio. Ho una promessa da farvi. Appena recupererò l’intervista, tra i miei tanti ritagli di articoli scritti, sarà mia cura riproporvela.
E’ l’uomo più solo sulla terra, senza un compagno, un oggetto, l’uomo più spoglio e debole, in preda a smarrimento, panico in quel luogo estremo, sconosciuto, che come il mare può nascondere insidie, violenze.
Ulisse ha toccato il punto più basso dell’impotenza umana, della vulnerabilità. Come una bestia ora, nuda e martoriata, trova riparo in una tana, tra un olivo e un olivastro (spuntano da uno stesso tronco questi due simboli del selvatico e del coltivato, del bestiale e dell’umano, spuntano come presagio d’una biforcazione di sentiero o di destino, della perdita di sé, dell’annientamento dentro la natura e della salvezza in seno a un consorzio civile, una cultura), si nasconde sotto le foglie secche per passare la notte paurosa che incombe.
E’ svegliato al mattino dalle voci, dalle grida gioiose e aggraziate di fanciulle, di Nausicaa e delle sue compagne. Esce dal riapro e si presenta a loro, il sesso schermato da una fronda, come per simbolica autocastrazione, per non allarmare le vergini, come umile supplice, dimesso.
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