Lo sappiamo bene come sia complicata, debole, divisa, frammentata, sfilacciata e contradditoria l’Italia olearia. È sufficiente osservare il caos degli ultimi anni per rendersene conto. Oggi le attenzioni sono però tutte concentrate sull’accordo di filiera Federolio/Unaprol/Coldiretti, che ovviamente è stato l’atto che ha fatto traboccare il vaso, mettendo sottosopra tutti gli equilibri già sostanzialmente precari e instabili, e facendo di conseguenza venire allo scoperto gli animi più irrequieti dei vari protagonisti del comparto, soprattutto a seguito alla rottura avvenuta nei mesi scorsi nell’ambito dell’Interprofessione.
Venuta meno l’unità delle varie anime della filiera, ci si è diretti in ordine sparso verso accordi tra le diverse parti, spiazzando però tutti e creando disagi difficili da gestire, dopo che si sono sparigliate le carte e aver assistito al rovesciamento dell’ordine consueto degli schieramenti.
Un osservatore esterno non capirebbe le dinamiche di simili movimenti compulsivi. Mentre un tempo vi era una divisione tra mondo della produzione e aziende di marca, ora gli scenari futuri sono del tutto imprevedibili. Di certo c’è soltanto che di questo passo a venir meno è l’intero comparto oleario italiano e la sua credibilità.
Con tutta la franchezza che mi contraddistingue, posso ben dire che non sono affatto contento di come si stiano sviluppando le contrapposizioni tra le parti. A leggere le tante note stampa diffuse in questi giorni sembra di stare in un stato di guerriglia paragonabile al conflitto israeliano/palestinese. E non esagero nel metter il dito nella piaga.
Ciò che più di tutto vorrei è l’unità e la coesione, ma sembra un obiettivo oggi più che mai impossibile da raggiungere. Un tempo si ipotizzava la fusione tra Assitol e Federolio, ma con gli animi attuali un simile passo sembra irrealizzabile. Tra i miei desideri improbabili vi è pure l’unità tra le organizzazioni olivicole, perché il puntare ad avere un’unica sigla che raggruppi tutti gli olivicoltori può solo salvarci da un declino che sembra inarrestabile. Lo stesso vale per le organizzazioni dei frantoiani, ma anche in questo caso è pura utopia.
Non sono pessimista per natura, ma non intravedo vie d’uscita dalle sabbie mobili in cui siamo precipitati. Il senso di responsabilità dovrebbe risollevarci e dare seguito a uno scatto d’orgoglio, ma questa ipotesi mi sembra una pura illusione già solo auspicarla.
Che fare, allora?
Io non ho soluzioni facili. Se già solo per ciò che scrivo ottengo calunnie e ingiurie, oltre a vedermi addebitate appartenenze che non si confanno al mio spirito libero, posso ben intuire il destino che ci tocca. Si è diffuso un sentimento populistico che non giova a nessuno. Le contraddizioni che stiamo vivendo sono frutto di azioni irresponsabili di alcuni soggetti che negli ultimi hanno giocato con il fuoco, demonizzando il comparto e soprattutto gettando fango e discredito all’indirizzo delle imprese, con l’aggravante della complicità di alcuni soggetti delle Istituzioni.
Queste divisioni non giovano a nessuno, e tutti lo sanno. Ciò che tuttavia non comprendo, è il motivo per cui non si possa tentare una strada del tutto inedita, affidandosi a una figura diversa da quelle abituali, scegliendo un soggetto non legato alla politica e al mondo sindacale, e nemmeno alle imprese, e che sia appunto pienamente e profondamente super partes, e che tenti di ricreare e rifondare una vera interprofessione, ma questo, so bene, è solo un sogno, come so bene pure che la realtà che ci attende nei prossimi anni è ben più amara di quella che già stiamo vivendo. Anche se a dire il vero facciamo ancora in tempo a riprenderci il nostro futuro, se solo ci fosse la volontà.
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