Olivo Matto

La fine ingloriosa di Enoteca Italiana

Luigi Caricato

La tanto temuta chiusura dell’ente Mostra mercato nazionale dei vini di pregio, ovvero di Enoteca Italiana a Siena, un punto di riferimento per tanti decenni, è stata salutata come una notizia alquanto triste per il mondo del vino italiano, un evento oserei definirlo luttuoso, che segna la fine di un’epoca. Eppure c’è molto da riflettere su tale decisione, soprattutto sul perché si ponga la parola fine rispetto a un progetto di per sè importante e fondamentale.

Al di là dei risultati, l’immagine di cui godeva Enoteca Italiana era altissima. E sono stati tanti coloro che vi hanno dedicato tempo ed energie, all’insegna di una volontà di rendere unica e speciale, attraverso tale strumento operativo, l’Italia enoica.

Se proprio vogliamo essere più espliciti, possiamo nel contempo riconoscere quanto effettivamente manchi in Italia una struttura analoga per il mondo dell’olio; e spesso infatti si guardava a Enoteca Italiana come a un modello da imitare e replicare, estendendolo al comparto oleario nostrano. E invece, ora non solo il mondo dell’olio non si avvale a tutt’oggi di una simile organizzazione, ma ha anche perso un modello da seguire.

Il Consiglio della Provincia di Siena ha votato a maggioranza lo scioglimento dell’ente Mostra mercato nazionale dei vini di pregio. Dopo 84 anni dal Regio decreto del 1933 che ne ha istituito la funzione, la sua storia sembra non avere più futuro. Il Consiglio comunale di Siena, altro socio storico dell’ente, ne ha deliberato a sua volta, e a maggioranza, la chiusura. Non c’è più storia, dunque. È finito un ciclo. Resta però da chiedersi il perché di tale decisione.

Leggendo lo statuto fondativo di Enoteca Italiana, si scopre che il ruolo di tale ente era di fare conoscere, valorizzare e promuovere i vini e la realtà vitivinicola nazionale. Molto in verità è stato fatto, ma tutto ciò che è stato fatto non è stato sufficiente perché se ne impedisse l’ingloriosa fine. Ma, a essere pienamente realistici, occorre porsi anche delle domande: se si chiude una realtà così importante, vuol dire che qualcosa di questa realtà non ha funzionato. Non tanto nel gradimento delle iniziative, e nelle molte proposte nate e sviluppate nel corso degli anni, ma – siamo concreti – nella gestione amministrativa di tale ente, qualcosa, pare evidente e logico, non ha funzionato. Non possiamo ingannarci. Occorre essere realistici. Se chiude una realtà storica che in tanti ci invidiano per averla ideata e creata in tempi così lontani, è perché si è intrapreso un percorso fallimentare, non perché l’idea in sé e la struttura non siano stati all’altezza degli obiettivi. Oggettivamente, se sono troppi i debiti, non si può andare oltre, sarebbe un gravissimo errore. Ecco allora che occorre partire proprio da qui, chiedendosi come sia stato possibile che si siano accumulati enormi debiti, nonostante l’ente abbia ricoperto un ruolo centrale nel mondo del vino.

La crisi del Monte dei Paschi di Siena, generosissimo e compiacente nel versare liquidità a quanti estendevano il braccio invocante, è stato sicuramente tra i colpi fatali. Eppure, continuo a chiedermi come sia possibile che altrove operino realtà analoghe, pur senza questo bagaglio di anni, ma risultando per contro ben più efficaci di Enoteca Italiana. Forse, è il caso di ammettere che di errori ne sono stati commessi, e tanti. Se le strutture di altri Paesi sono state concepite in maniera snella e in grado di gestirsi in piena autonomia, perché amministrate e dirette saggiamente da grandi manager capaci di creare ricchezza e non di invocare continuamente emolumenti pubblici, come è finora avvenuto in Enoteca Italiana, la differenza sostanziale tra il resto del mondo e l’Italia sta tutta qui. C’è che gli altri Paesi hanno, dalla loro, la fortuna di disporre di manager e dirigenti di grande spessore, noi, invece, abbiamo avuto dalla nostra solo uomini politici, magari anche volenterosi e appassionati, ma che si sono occupati di gestire una realtà non adatta alle loro caratteristiche professionali e dunque senza averne piena competenza.

In tutto ciò, il guaio peggiore è che tutti coloro che piangono oggi per la chiusura di Enoteca Italiana, non si chiedono nemmeno lontanamente il motivo per cui tale realtà non venga rimessa subito in sesto e presa in gestione da professionisti altamente qualificati, ovvero da manager veri, non da uomini e donne della politica, senza esperienza di gestione.

Non giudico le persone che hanno lavorato in Enoteca Italiana, perché saranno state sicuramente brave persone, limpide e immacolate, ma il loro modo di gestire sì, lo giudico. Siamo davvero certi che abbiano svolto egregiamente il proprio compito? O è stata soltanto una gestione non dico spensierata, ma non manageriale questo sì, come d’altra parte avviene con tutti gli altri enti fino ad oggi in Italia?

Non è forse il caso di riflettere? All’estero tutto funziona e ogni risorsa procura reddito e attrae attenzioni, oltre a dare luogo ad alti fatturati. Perché allora in Italia questo non accade? Dobbiamo insistere nel piangerci addosso o al contrario muoverci, mettendoci il danaro personale, quello dei privati, delle imprese, e fare concretamente qualcosa?

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