Olivo Matto

La grande paura per ciò che non è Italia

Luigi Caricato

La grande paura per ciò che non è Italia

Sul mio profilo facebook ho pubblicato un ricordo di sei anni fa, sollecitato dal noto social network. Ho ripreso e rilanciato, in particolare, la copertina di un mio libro del 2001, pubblicato per Bibliotheca Culinaria: L’incanto dell’olio italiano. Era tutto perfetto, in quell’elegante volume illustrato: copertina e aperture di capitolo con foto di Gianni Berengo Gardin, prefazione di Giuseppe Pontiggia, postfazione del cardinale Salvatore De Giorgi.

Un signore ha scritto un commento, il seguente: “Ultimamente, se non sbaglio, lei ha virato verso altri paesi”.

Ed ecco la mia risposta, che voglio condividere sul mio blog “Olivo Matto”, perché molto pertinente.

Non ultimamente, ma da sempre. Ci sono due opzioni nella vita. La prima: restare chiusi nel proprio orticello, e via via rinchiudersi sempre di più, restrigendo l’area, circoscrivendola, così da stare al sicuro da contaminazioni (per quanto possibile). La seconda opzione, consiste nell’aprirsi all’universo mondo, e allargare ogni volta e sempre di più il proprio raggio d’azione, il proprio sguardo, lasciandosi contaminare e arricchire da quanto c’è di nuovo e di diverso. Io, tra le due opzioni, scelgo la seconda. Non viro verso altri Paesi, sono ovunque. Non ho confini, e non ne vorrei. La grande, e giovane, pianista cinese che vive a New York, Yuja Wang, in una recente intervista su “Repubblica”, lo scorso 22 luglio, ha riferito di sè: «Vuole che le dica se mi sento più cinese o più americana? Io sono globale, spaziale, internazionale: appartengo al mondo». Ecco, anch’io non mi sento chiuso in un solo ambito, ma appartengo al mondo. Nel 2015 è uscito per Mondadori il mio Atlante degli oli italiani, e, come si può notare, non trascuro certo il mio Paese; forse è il mio Paese che non conosce se stesso, e che soprattutto ignora la propria storia (al punto da aver paura di ciò che viene da fuori, di ciò che sta al di là dei confini) a non avere alcuna cura della propria identità. Perché avere amore per la propria patria significa non riempirsi di parole insignificanti, puro slogan come il made in Italy, ma significa fare, operare, essere presenti e agire, salvaguardare, amare la propria terra con i fatti, non con le frasi fatte. No, se io debbo finire male come quelli di Coldiretti, che invocano ogni santo giorno l’autarchia così puerilmente come accadeva al tempo del fascismo, no, le dico proprio di no, non mi piego: la mia intelligenza, la mia identità, ogni cellula del mio corpo si oppone alla stoltezza di chi invoca l’italianità a ogni pie’ sospinto, allo stesso modo con cui una parte, la più conservatrice tra gli uomini primitivi, impugnava la clava e non sentiva altre ragioni, opponendosi a coloro che volevano andare oltre la clava. Non può vincere la clava, ma la ragione e il sentimento. Se un tempo per gli uomini primitivi era stato difficile trovare una propria stella che li proiettasse al futuro, perché non avevano ancora acquisito altri elementi, e sollecitazioni esterne, che richiedevano scambi di ragionamenti, confronti dialettici, interscambi, interazioni, integrazioni, contaminazioni, e, in una sola parola: cultura, alla fine, la storia del’umanità sappiamo tutti come è andata a finire. La civiltà è stato il frutto di tante tensioni che hanno dato frutti magnifici, seppure sempre imperfetti, ma egualmente perfettibili. Non possiamo opporci a una visione aperta, perchè una società globale richiede aperture, non chiusure.

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