Olivo Matto

O ci liberiamo dei burocrati, o si dirà addio all’Italia dell’olio

Luigi Caricato

O ci liberiamo dei burocrati, o si dirà addio all’Italia dell’olio

Io non so se gli organi istituzionali siano all’altezza del compito. Finora ho sempre espresso piena fiducia nei loro confronti, e con tutta sincerità mi auguro si dimostrino davvero capaci di non farsi condizionare dai meccanismi perversi della politica e dai gruppi di potere, i quali purtroppo agiscono come al solito indisturbati, condizionando oltre misura le dinamiche del comparto olio di oliva. Il caso controverso e contradditorio della legge “Salva olio italiano”, considerata norma vigente nel territorio italiano ma sospesa a livello comunitario, la dice lunga su un Paese che ha solo la capacità di complicare la realtà e mettere in seria crisi la buona tenuta del sistema. Nel caos interpretativo che si è venuto a creare, mi auguro prevalga sopra ogni cosa il buon senso, onde evitare spiacevoli conseguenze. Anche perché, in questa Italia incline a legiferare con troppa disinvoltura e una ingiustificata fretta, può ormai capitare di tutto. C’è una vocazione al disordine, una sorta di inquietudine, una irrazionalità che nessuno cerca di fronteggiare, tanto meno l’attuale ministro Mario Catania, sfacciatamente di parte, soprattutto ora che aspira alla carica di parlamentare e non ha alcun interesse nel fare chiarezza e sospendere una norma dagli sviluppi incerti. Questa, signori miei, è l’Italia, un Paese irresponsabile che agisce in maniera miope, senza avere cura della propria economia, incurante del futuro e degli equilibri già incerti all’interno della filiera. E’ un Paese, spiace dirlo, che si serve delle leggi per dividere anziché unire. Cosa ci si può attendere di buono se il fine della legge doveva essere la “salvezza” dell’olio italiano, mentre il primo effetto è una conflittualità che non giova a nessuno e mette in grave rischio il comparto oleario italiano? Intanto, ciò che emerge alle prime avvisaglie, sono le libere interpretazioni di alcuni uffici, dove ciascuno alzandosi al mattino pensa di essere nel giusto, senza nemmeno avvertire la necessità di un confronto aperto, senza condizionamenti di discutibili posizioni partigiane. Questa è l’Italia, piaccia o meno. Una proposta choc: perché non delocalizzare il comparto dell’olio italiano? Non è un’assurdità. Vi sono Paesi in cui i più bravi imprenditori olivicoli possono benissimo investire ricavando guadagni certi. Sono già diverse le aziende di italiani che ricavano oli in Paesi del Maghreb e altrove, con costi di produzione bassissimi, e con la possibilità concreta di innovare senza che vengano disturbati. Noi italiani siamo bravi, ma siamo vittime della politica e di un gruppo di potere che ne condiziona il futuro. La speranza è di produrre e valorizzare in tutte le nostre regioni olivicole nostrane, esaltando il vasto e variegato germoplasma olivicolo, ma per raggiungere tale fine nobile, è necessario liberarci dalla zavorra dei burocrati che intendono solo sottrarre energie e risorse positive. Finché affosseremo il comparto, non ci sarà futuro. Occorre solo sperare che le grandi marche di proprietà italiana non delocalizzino per davvero, altrimenti: addio Italia dell’olio. Lo strapotere dei burocrati sta spegnendo ogni libera e sana iniziativa e solo in pochi se ne rendono davero conto.

Luigi Caricato

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