Olivo Matto

Omaggio a Giambattista Mastropierro, persona virtuosa e sapiente agronomo

Luigi Caricato

Omaggio a Giambattista Mastropierro, persona virtuosa e sapiente agronomo

Oggi sono immerso nell’amarezza più profonda. Ho saputo, seppure in ritardo, della scomparsa, lo scorso 12 giugno, di una figura simbolo del sistema cooperativo italiano. L’agronomo Giambattista Mastropierro – cinquanta quattro anni, presidente della cooperativa olearia Goccia di Sole a Molfetta – ha combattuto invano una battaglia contro il grande male. Si dice così: il grande male, per non chiamare per nome la malattia che non concede facili vie d’uscita: il tumore. Mastropierro non ha vinto la battaglia, e se Dio esiste è davvero stupido a perdere una figura così pulita, meritevole di grande stima. A volte non si comprende la profonda ingiustizia in cui versa il creato, ma questo è un discorso che non è il caso di affrontare qui e ora. Certe volte viene comunque da dubitare della bontà del creato, questo sì. Sembra un Dio cattivo o, peggio, debole, se non sa curare i propri figli, proteggendoli, e lasciando per contro libero campo ai malfattori, i quali spesso e volentieri sopravvivono ai giusti. Sì, lo so, questo è un altro discorso, e sconfina forse nella stupidità, volendo accusare Dio di essere ingiusto. Ma Dio non è mai giusto se permette ai propri uomini migliori di morire. Giambattista Mastropierro, sposato e padre di un figlio, è stato per il mondo dell’olio un faro. Dal 1995 ha seguito passo dopo passo l’oleificio cooperativo di cui è stato illuminante guida, fino a ottenere lo status di OP, di organizzazione produttori. Ha promosso e valorizzato l’olio extra vergine di oliva come pochi altri nell’ambito delle cooperative. Ha contribuito ad affermare il marchio nel mercato nazionale ed estero, ottenendo diversi premi e riconoscimenti, ma non è bastato. Poteva fare molto di più, pur in un ambiente non facile, al sud, ma non ha potuto, complice la malattia. Per ricordarlo, riporto di seguito l’intervista che mi ha rilasciato per la rubrica “Figli della Terra” su “Teatro Naturale”, nel maggio 2009. E che Dio – il grande assente – lo accolga a sé tra i giusti, ammesso che abbia ancora a cuore le proprie creature.

L’INTERVISTA

Da quanto tempo si occupa di agricoltura e con quali risultati?

Essendo nato in una famiglia di tradizioni agricole, svolgendo la professione di agronomo, direi da sempre, col risultato di ostinarmi a credere nelle potenzialità inespresse del mio territorio e di quanto vi si produce. Aver contribuito a far emergere tali tesori, in Italia e all’estero, è una bella soddisfazione.

E’ soddisfatto, perplesso o preoccupato?

Non nego che le soddisfazioni ci sono state – premi, riconoscimenti, pubblicazioni – ma sono perplesso circa l’inerzia delle istituzioni a tutti i livelli che si limitano ad essere “osservatori neutrali” della compressione e della deriva del comparto agricolo. Questa è anche la mia preoccupazione. Urgono piani speciali di intervento in tutti i settori della produzione primaria.

Perché il mondo rurale ha perso in centralità e importanza negli ultimi decenni?

Al di là di una considerazione di natura bucolica, il mondo rurale è stato da sempre oggetto di speculazioni di natura socio-economica. Non ha mai gusuto dell’attenzione che si deve a un settore produttivo di rilevante importanza nel nostro Paese. La mancanza del ricambio generazionale rischia di accentuare la sua marginalizzazione. Gaetano Salvemini docet.

Crede che il comparto agricolo possa restare ancora un settore primario in Italia?

Se per settore primario si intende la produzione di base, la vedo dura. La competitività con altri Paesi del Mediterraneo ci crea non pochi problemi. Il settore agricolo deve imparare a ragionare seriamente in termini di filiera, dalla produzione al consumo al fine di acquisire al proprio intermo il valore aggiunto della produzione.

E lei perché ha scelto di operare in agricoltura?

Per tradizione familiare e per passione. Avrò forse sbagliato?

Un aggettivo per definire il mondo agricolo?

Confuso, spaesato, in cerca di improbabili ricette medicamentose. Anche se in un momento di crisi come questo, gli agricoltori sono la categoria più fortunata visto che con la crisi ci convivono da sempre.

Un aggettivo per definire invece le associazioni di categoria?

Retrograde. Superate. Inadatte a guidare un processo di rinnovamento culturale in agricoltura. Ancorate a vecchi schemi autoreferenziali: la propria sopravvivenza innanzi tutto. Anche a loro va ascritta la grave responsabilità di non essersi impegnate a sanare la frattura sociale fra Nord e Sud del Paese.

Una parola d’ordine per l’agricoltura di domani?

Direi tre: qualità, innovazione, mercato.

Se dovesse consigliare a un amico di investire in agricoltura, quale comparto produttivo suggerirebbe?

La domanda non è quale, è come. Tutti i comparti, nonostante la profonda crisi in cui versano, possono essere considerati, a patto che a monte ci sia una programmazione e l’adozione di un management che sappia integrare il rispetto della tradizione con l’introduzione di tecniche innovative.

Un imprenditore agricolo che ritiene possa essere un modello a cui ispirarsi?

Ne cito due: Antinori e Planeta. Hanno saputo valorizzare produzioni tipiche locali (vino e olio) nel rispetto del territorio in cui operano pur adottando processi innovativi e mantenendo il valore aggiunto in azienda. Con le dovute proporzioni, anche Goccia di Sole non è da meno. Scherzo, naturalmente.

Un ministro agricolo al quale sente di esprimere pieno apprezzamento?

Mi verrebbe da dire Arrigo Serpieri, è stato l’unico a sostenere la competitività in agricoltura, ma siamo nel 1929. Dei recenti ho buoni rapporti anche personali con Paolo de Castro, insigne economista agrario, ha ben rappresentato l’Italia in ambito comunitario. Ma a tutti quelli che si sono succeduti c’è da attribuirgli la responsabilità della mancata pianificazione.

Le certificazioni di prodotto sono davvero utili al consumatore o lo confondono?

Sono utili a patto che si faccia informazione sul significato e sulla garanzia che offre il bollino stampato in etichetta.

Un libro relativo al mondo rurale che consiglierebbe di leggere?

Il Cafone all’Inferno di Tommaso Fiore è un classico del meridionalismo, mette in evidenza come nel Sud tradizione e modernità si siano fuse in una lega niente affatto virtuosa, cosa, purtroppo, per alcuni versi ancora attuale.

Un libro di narrativa, poesia o saggio che non si può non aver letto?

Il Piccolo Principe, va bene per tutte le età. La morale? L’essenziale è invisibile agli occhi.

Il libro che in questo momento sta invece leggendo?

Il Sultanato, di Giovanni Sartori. Credo che sia l’osservatore più acuto della politica e della società italiana di oggi. Il libro è uno spaccato dei paradossi e delle storture del nostro Paese.

Perché gli italiani, e gli agricoltori in particolare, non leggono?

Perchè a scuola non ci hanno insegnato a farlo. Internet e Tv entrano prepotentemente e si fa meno fatica. Devo dire tuttavia che da parte degli agricoltori, noto di recente un interesse alla lettura che prima non notavo. Hanno forse smesso di aver bisogno di suggeritori di patronato? Chissà!

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