Chi mi conosce sa bene che non sono un soggetto incline alla polemica, anche se le mie osservazioni, scritte e parlate, possono indurre a far credere il contrario.
Io in realtà comunico il mio pensiero con estrema franchezza, anche a costo di infastidire, a volte, la controparte. Ma non sono per questo un bastian contrario. Se noto capacità e acume, sono il primo a riconoscere i meriti.
Per mia natura, ritengo che il confronto delle idee debba essere necessariamente dialettico e mirare ogni volta a costruire qualcosa di utile per tutti. Per questo motivo prendo posizione su questioni delicate.
Veniamo dunque al punto. Le attestazioni di origine Dop e Igp sono molto importanti e costituiscono uno strumento efficace per assegnare il dovuto valore all’olio del territorio, offrendo concreti vantaggi a chi certifica il proprio extra vergine.
È accaduto, tuttavia, che a distanza di tanti anni, sono state pochissime le Dop olearie ad aver conseguito quanto inizialmente promettevano agli operatori del settore, segno evidente che qualcosa non ha funzionato, non certo lo strumento delle attestazioni di origine. La responsabilità non è dello strumento, ma di chi lo ha mal gestito o non lo ha gestito affatto.
Ora, dopo che le Dop di alcune regioni si sono rivelate fallimentari – e nessuno di fatto può negarlo, poiché parlano i numeri – si è sentita la necessità di spostarsi sul fronte delle Igp, commettendo tuttavia i medesimi errori, senza di fatto cambiare nulla nel sistema che genera tali errori.
È il caso per esempio della Puglia, la regione olearia per eccellenza. Constatata l’inefficacia delle cinque Dop, si è voluto insistere a tal punto da voler rendere preventivamente fallimentare l’Igp Olio di Puglia, con errori grossolani nell’approccio, combinati dalla solita politica dell’appropriazione degli spazi di potere. Si sacrificano in sostanza gli obiettivi, pur di avere il controllo su tutto, e questo nel silenzio generale, soprattutto da parte delle Istituzioni, che di questo modello sono insieme complici e vittime.
Quando leggo il disciplinare di produzione dell’Igp Olio di Puglia, mi viene spontaneamente da sorridere.
Come si fa, mi chiedo, a insistere nel gestire in maniera così grossolana, sin dal nastro di partenza, uno strumento che invece potrebbe risultare in quanto tale vincente?
Lo strumento dell’Igp è magnifico, ma va progettato con sapienza. Per fare un esempio chiaro ed efficace, ci si comporta come coloro che decidono di acquistare un bolide e lo utilizzano come se fosse una banalissima automobile utilitaria. Se la testa è abituata ad avere tra le mani una Fiat Duna, qualora ve ne fossero ancora in circolazione, non si può certo pensare di poter guidare una Ferrari ultimo modello.
Ora, mi fermo qui, perché mi sono già dilungato abbastanza. Le lacune del disciplinare sono purtroppo tante, anche se immagino vi siano state buone intenzioni in chi lo ha redatto. Lo spero, almeno.
Mi soffermo soltanto su un passaggio che sfiora però il ridicolo. E è questo.
L’imbottigliamento e il confezionamento deve avvenire entro e non oltre il 30 settembre successivo alla data di molitura nel sito della trasformazione, o in un areale compreso in un raggio massimo 125 km intorno al sito stesso o che sia raggiungibile con tempi di percorrenza non superiori ai 120 minuti, ciò per minimizzare il decadimento delle caratteristiche chimiche ed organolettiche che
caratterizzano la tipicità del prodotto dovuto alle temperature di trasporto che, per lunghi periodi dell’anno, risultano al di fuori dell’intervallo compreso tra i 12° C ed i 27°C .
Ora, intendiamoci: qualche passo in avanti è stato fatto. Inizialmente il chilometraggio era addirittura inferiore ai 125 km attuali, ma – mi chiedo, vi chiedo – se quest’olio di Puglia, che secondo il suo disciplinare deve essere di alta qualità, e pertanto dotato di un ricco bagaglio di polifenoli – però, guarda caso, non si dichiara nemmeno il metodo analitico con cui tali composti vengono misurati, e l’incertezza sulla reale quantità di polifenoli resta evidente – perché allora quest’olio Igp pugliese deve subire una limitazione chilometrica così restrittiva?
Se avete notato, nel disciplinare si fa riferimento a un tempo di percorrenza di 120 minuti. Ora, se per coprire gli oltre 400 km tra nord e sud si possono impiegare a volte anche cinque ore, traffico permettendo, non vi sembra che si rasenti il grottesco?
A parte tali considerazioni, non certo di scarso rilievo, resta comunque inspiegabile la preoccupazione degli estensori del disciplinare al solo fine di “minimizzare il decadimento dell’olio”. Che senso ha?
Se l’olio, all’origine, è di elevata qualità, e pertanto più stabile rispetto a extra vergini di qualità meno pregevole, perché dunque tutta questa paura nel farlo movimentare da un capo all’altro della regione?
Vista dal di fuori, questa norma fa dubitare sulla natura stessa degli oli. Se infatti gli extra vergini Igp Puglia non possono subire spostamenti di pochi km, figurarsi allora se possono compiere viaggi, del prodotto imbottigliato, a distanze intercontinentali.
Quando sostengo che si affronta con superficialità la gestione di un attestazione di origine, intendo dire proprio che vi è, paradossalmente, l’intenzione, per certi versi volontaria, di realizzare una Igp che si dimostri fallimentare già sul nastri di partenza.
L’olio Igp Puglia deve poter esprimere un valore reale, diventando di conseguenza una opportunità per gli operatori di tutta la regione, altrimenti che senso hanno le cinque Dop già esistenti se poi si intende progettare una Igp Puglia che di fatto diventa sostitutiva – non alternativa – delle attuali Dop?
Credo che gli estensori del disciplinare di produzione debbano farsi un serio esame di coscienza, affidando tale compito a chi conosce veramente il territorio e il comparto produttivo.
Non c’è assolutamente da scherzare su questioni così delicate che riguardano il futuro di un territorio e, indirettamente, di un Paese. È in gioco l’economia agricola di una regione, e oltretutto, dopo i fallimenti passati, non si può più arretrare ulteriormente.
Un olio di alta qualità che non viene pensato per il mercato resta un olio che sarà sicuramente venduto, in qualche modo, ma a quale prezzo? In che modo? Con quale valore?
Non capisco pertanto perché ci si ostini a non voler vendere l’olio con successo. Non capisco, inoltre, il perché uno strumento così potente, come lo sono effettivamente le Dop e le Igp, debba continuamente essere svilito solo per via di una errata gestione. Questo vale, beninteso, per la Puglia, come per tante altre regioni.
Le Dop di successo per fortuna esistono, ma sono poche, rispetto alle tante ufficialmente riconosciute.
Evitiamo allora di creare nuove attestazioni, se non si è all’altezza del compito.
L’Igp Puglia è una grande opportunità, ma va gestita bene in partenza, senza imporre nulla dall’alto, con i soliti brutti giochi di potere. Per questo occorre avere il coraggio di dire basta e voltare pagina.
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