Come al solito, la grande lobby che mette in ginocchio l’agricoltura italiana, le stesse istituzioni e gli agricoltori che ne subiscono il predominio assoluto, cantano vittoria per il traguardo raggiunto: l’attestazione di origine Igp per l’olio made in Puglia.
Da una parte si può festeggiare, perché ogni obiettivo che si riesce a conseguire è sempre una occasione di festa, ma quando si sa già in partenza che sarà una pesante sconfitta in prospettiva futura, allora l’amarezza prevale ed è incolmabile.
In Puglia, molti anni fa, c’era stato Massimo Occhinegro – noto esperto internazionale di marketing applicato agli oli da olive – che aveva lanciato, inascoltato, l’idea di puntare sulla Indicazione geografica protetta per valorizzare le produzioni olearie pugliesi. Nessuno, allora, lo aveva ascoltato, sbagliando. Ora che il settore versa in brutte acque, in molti si sono ricreduti e ritengono che solo a partire dall’istituzione di una Igp si possano risolvere i gravi problemi del comparto olivicolo pugliese.
Tutti, in fondo, conoscono bene la situazione: la Puglia, sul fronte olivicolo e oleario, è sì la regione dominus in Italia, ma di fatto tutto il valore della merce si trasferisce altrove.
Facile intuire le ragioni: o vengono vendute le olive, o in alternativa gli oli. La Puglia è stata storicamente una regione-serbatoio, fornitrice di materia prima da confezionare altrove.
E così, in tanti decenni la Puglia non ha mai saputo imporsi sui mercati del confezionato, a parte le poche imprese che lo hanno fatto e che continuano a farlo con successo da anni.
Con l’ingresso in campo delle Dop, si pensava che tutto si sarebbe in qualche modo risolto, ma ormai nessuno più crede in quella che all’epoca era considerata una buona novella risolutrice di ogni problema. Tanti i tentativi per far riprendere fiato al settore, ora con le Moc, le macro organizzazioni commerciali, in seguito con le Op, le Organizzazioni dei produttori, ma con risultati sempre fallimentari. Da qui gli effetti disastrosi di una cronica incapacità gestionale da parte dei soliti soggetti che hanno messo in ginocchio l’olivicoltura pugliese. Tutto ciò è stato possibile in parte per gravi intromissioni della politica e, soprattutto, per l’arrogante invasione di campo da parte della potente lobby agricola Coldiretti che impone sempre le proprie scelte e i propri uomini.
Su Quotidiano di Puglia, la giornalista Maria Claudia Minerva per salutare il nuovo anno agricolo ha voluto tessere un panegirico nei confronti di Coldiretti, senza dare spazio, come spesso succede in questi casi, ad altre voci, e, soprattutto, senza fornire un quadro realistico della questione olio Igp Puglia, con tutte le problematiche che non sono mai state messe in evidenza.
A dimostrazione di come i giornalisti siano ormai diventati i megafoni di Coldiretti, tra le note stonate nell’articolo apparso su questo giornale locale del Salento, balza in evidenza quando si legge che sono stati addirittura persi due mesi di tempo per colpa di alcune organizzazioni che si sono opposte al disciplinare di produzione, trascurando il fatto che senza tali legittime e democratiche opposizioni sarebbe andato in porto un pessimo disciplinare, scritto con errori sostanziali che avrebbero minato il senso stesso dell’Igp.
Quel che più dispiace in tutto ciò, è che Coldiretti detti legge senza avere minimamente a cuore le sorti dell’agricoltura, esercitando il potere per il gusto del potere fine a se stesso, senza mai curarsi dei risultati, dimenticando che non è certo uno strumento pur prezioso qual è l’Igp a risolvere i problemi del settore olivicolo e oleario pugliese, ma la capacità di utilizzare al meglio tale strumento, senza escludere nessuno e senza pretendere di imporre la propria presenza come un atto di imperio.
Nessuno, al riguardo, può con coscienza dimenticare che il fallimento delle Dop pugliesi sia dovuto proprio alla scarsa professionalità di chi le ha gestite in tutti questi anni, ma la lezione del passato, purtroppo, e a quanto pare, non è servita a niente.
Si insiste ancora con chi non ha la capacità di gestire una economia complessa e con chi preferisce escludere i soggetti reali della filiera, ovvero coloro che gli oli li commercializzano, il che è paradossalmente assurdo, in quanto equivale a non realizzare una Igp funzionale al mercato, capace di creare fatturato.
Ciò che forse interessa di più Coldiretti, è l’apparenza. Far percepire un valore solo come una entità vagheggiata, una sorta di sogno collettivo, ma appunto un sogno, una utopia del tutto disancorata dalla realtà, concepita al di fuori di ogni logica di mercato.
Ciò che conta, più della stessa efficacia dell’Igp, è il poter vantare la conquista di un risultato, il cantar vittoria per il riconoscimento ufficiale dell’ennesima attestazione di origine. Un successo, però, che va ben ridimensionato, se i risultati sono appunto i disastri delle Dop olearie pugliesi, le quali, sappiamo bene, valgono di fatto molto, ma molto meno, di un generico olio senza attestazione di origine.
Se il Paese vuole andare avanti con questi corpi morti faccia pure, ma io non posso essere complice di un declino annunciato.
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