In occasione della giornata-evento dello scorso 2 dicembre, il professor Michele Pisante, tra i tre curatori del volume L’ulivo e l’olio per la celeberrima collana “Coltura & Cultura” – edizioni Script – ha voluto pubblicamente elogiarmi sia per quanto ho fatto per il settore, in termini di apporti culturali, sia per la mia determinazione nell’aver voluto ad ogni costo celebrare i cinquant’anni dell’olio extra vergine di oliva. Per lusingarmi, Pisante mi ha accidentalmente definito “talebano” dell’olio! Al che io ho subito protestato dicendo: “Talebano no! Non sia mai!”. A questo punto, complimento per complimento, preferisco quanto diceva di me il compianto Giuseppe Pontiggia, il quale dall’alto della sua autorità di grande maestro, mi definiva simpaticamente con l’appellativo di “Papa dell’olio”.
Al che – lo confesso – io ancora continuo a tutt’oggi, a distanza di anni, a gongolare come non mai.
Rifiuto però in maniera categorica la definizione di “talebano”, anche perché questa gente non è che si renda così simpatica, visto che insistono nel massacrare e asservire, nel nome di ideali assurdi e senza senso, un intero popolo. Non solo, io mi oppongo fermamente alla sola idea che vi possano essere dei “talebani” per l’olio extra vergine di oliva.
Paladini sì, ma “talebani” mai! Orrore.
Farsi paladino è più che comprensibile, è pienamente giustificato.
Imporre l’olio extra vergine di oliva assumendo atteggiamenti talebani è controproducente: si recherebbero danni incalcolabili alla buona immagine del prodotto.
Faccio un esempio: c’è chi osanna l’olio extra vergine di oliva spacciandolo per un alimento nutraceutico, esagerando non poco, quasi fosse un alimento toccasana, con proprietà taumaturgiche. Non è così.
L’olio extra vergine di oliva fa bene alla salute, è un ottimo alimento, ideale per una alimentazione sana, ma esercita solo una funzione preventiva, non ha alcun valenza curativa. Non ci fa guarire da nessun male.
Occorre perciò prestare la massima attenzione. Non si può esagerare con l’esaltazione delle proprietà salutistiche degli oli da olive, spoprattutto quando non si hanno ancora riscontri scientifici reali. Anche perché un conto sono gli studi effettuati in vitro, altro conto sono gli studi (ma ve ne sono pochissimi perché non si investe in ricerca) effettuati in vivo.
Perciò, attenti. Di nessun talebano ha bisogno l’olio extra vergine di oliva, ma solo di persone sagge, equiulibrate e preparate.
Infine, a proposito dell’appellativo che mi ha attribuito il grande narratore e saggista Giuseppe Pontiggia, ecco quanto scrive di me la studiosa di letterature Daniela Marcheschi nel saggio introduttivo posto in apertura del mio ultimo libro, Olio di lago. Garda Dop (Mondadori, ottobre 2010). E scusatemi per la citazione così spudorata, ma per me è una questione affettiva. Debbo proprio a Pontiggia il fatto di aver dedicato all’olio tanto tempo della mia vita. Era lui che mi ha invitato a scrivere d’olio, conoscendo le mie radici, consaepvole dei drammi che si consumano nella società contadina, lasciata da sola, senza aver voce in capitolo; e così, complice Peppo Pontiggia, che mi ha spinto a farmi portavoce di un mondo ai più sconosciuto, sono diventato oggi un solido punto di riferimento per gli oli ottenuti dalle olive.
Ebbene sì, sono molto orgoglioso dell’appellativo di “Papa dell’olio”. Tanto più che tale definizione viene da un uomo che ho tanto stimato, anche se purtroppo non è più tra noi.
(…) Per i più antichi legami, stretti fra letteratura e agricoltura, fra tradizioni storiche e poesia, fra stupore del mondo e attenzione al lavoro della terra, che un oleologo e scrittore colto come Luigi Caricato – Giuseppe Pontiggia lo chiamava sorridendo “il Papa dell’olio” anche per i suoi studi teologici – intraprenda oggi un nuovo “viaggio sentimentale, storico, sensoriale e gastronomico alla scoperta degli extra vergini” del Garda, non è un caso, e mi sembra anzi rasserenante. Caricato svolge infatti da tempo un’attività infaticabile per ricomporre modernamente un nesso economico-produttivo saldo fra l’agricoltura e una cultura italiana, che o ha rifiutato la Modernità, per richiudersi nell’Arcadia, o l’ha abbracciata in toto, ripiombando in altri pregiudizi annosi. (…)
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