Su Olio Officina Magazine ho pubblicato un articolo che andrebbe incorniciato: per ciò che viene riportarto, con grande coraggio. Si intitola “Le dogane frenano l’export”. E’ un articolo a mia firma, e, al di là del successo di letture che ha ottenuto, come d’altra parte si evince con grande evidenza dalle statistiche dei dati forniti da Google Analytics, non ci sono state molte condivisioni, né tanti “mi piace” sui social. Si tratta di un articolo in cui si denunciano – come scrive lo storico dell’agricoltura Alfonso Pascale, condividendolo sul proprio profilo facebook – “le inefficienze della pubblica amministrazione e i disservizi che frenano l’export di olio d’oliva. E’ gravissimo – aggiunge – che arrivino ordini dall’alto per creare difficoltà alle imprese”. Fin qui uno dei pochi coraggiosi che hanno rilanciato. Eppure, per il resto, solo silenzio: si ha paura.
Alla luce di questo scarso interesse a condividere una simile denuncia, ciò che è più grave, è che tutto passi sotto silenzio. Nessuno ha la lucidità per ammetterlo, ma considerando lo stato della realtà, noi, paese Italia, ci stiamo autodistruggendo, per scelte politiche irrazionali e vocate al suicidio della nazione. Sorprende ancora una volta il terribile silenzio del comparto oleario, notoriamente pavido, capace solo di lamentarsi, ma senza mai manifestare il benché minimo coraggio di ribellarsi, anche solo condividendo l’articolo, senza aggiungere altro. A costoro, a quelli che io chiamo “i pavidi”, conta solo assicurarsi il minimo indispensabile per sopravvivere. D’altra parte, l’agricoltura vive solo di finanziamenti, e nemmeno più di sogni, non dico di utopia, che è già una parola grossa, qualcosa di molto più grande rispetto ai semplici sogni. Ecco, in tutti questi anni che mi sto occupando di temi agricoli, sento solo il lamento ininterrotto di tanti pavidi signori e signore – non c’è alcuna differenza di genere. Nient’altro che il lamento si ode in giro, ma se poi arriva qualche migliaio di euro per tirare a campare, allora ogni briciola serve, è utile allo scopo, e pare sia sufficiente per tutti. Non c’è altra ambizione, nè aspirazione, se non il tirare a campare di sussidi. Il resto conta poco, nemmeno la dignità.
In questi giorni sto leggendo l’intensa e magnifica trilogia di Valerio Evangelisti, Il sole dell’avvenire, che narra le vicende di alcune famiglie romagnole sul finire dell’Ottocento e all’alba del Novecento, con il ritratto di una classe contadina e operaia reattiva, che aveva ben altra qualità di persone. Oggi i più aspirano a molto poco, anzi, non aspirano a nulla. Bastano, per taluni, gli slogan del made in Italy e del Km 0. Il resto, è vuoto assoluto.
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