Saperi

Agricoltori separati in casa

Ovvero le cinque giornate dei viticoltori di Asti nell’estate del 1968. Un episodio di cui in pochi sanno, poiché nessuno coltiva più la memoria e nessuno studia la storia. Poliziotti e carabinieri affluirono dalle regioni vicine per intimidire i partecipanti, bloccare la circolazione dei trattori e far fallire la manifestazione. Anche allora la Coldiretti creò non poche difficoltà agli agricoltori nel far valere le proprie ragioni. C’era chi aveva un proprio particolare interesse a lasciare le cose com’erano

Alfonso Pascale

Agricoltori separati in casa

Alfonso Pascale è autore di un memorabile libro, Il ’68 delle campagne, edito da Rce nel 2004. Ne proponiamo uno stralcio per non dimenticare ciò che siamo stati, ciò che è avvenuto. Il mondo agricolo lo si conosce così poco al punto da pensarlo come retorgrado, e invece nel momento in cui la società stava cambiando dal basso, furono proprio gli agricoltori i primi a ribellarsi. Se fallirono i loro moti di prtotesta, fu solo per la loro divisione (Luigi Caricato)

Dopo l’ennesima disastrosa grandinata che quasi ogni anno colpiva i vigneti del Monferrato e delle Langhe, nell’estate del 1968, si avvertì con maggiore acutezza l’esigenza di battersi per ottenere un fondo di solidarietà per fronteggiare la falcidie dei redditi dei viticoltori. Memorabile è rimasta la forte e coesa mobilitazione che si sviluppò sulle strade di Asti, dentro e fuori la città, in cinque “giornate di lotta” con l’impiego di migliaia di trattori.

La prima si svolse il 18 agosto. Vi parteciparono diecimila coltivatori e sfilarono, anche, duemila trattori senza tener conto del divieto prefettizio. In ogni caso, lo schieramento delle forze di polizia in assetto antisommossa fu di una imponenza del tutto ingiustificata. Diversi furono i tentativi di ostacolare il movimento dei trattori. Si ebbe anche il caso di un provocatore che ferì con un’arma da fuoco un contadino. Venne individuato dagli stessi organizzatori e consegnato alle forze dell’ordine. Alla fine si ebbero 122 denunce per blocco stradale e centinaia di multe per i trattori. La radicalità dei comportamenti e l’atteggiamento repressivo della polizia furono un tratto comune di tutte le azioni di lotta che in quel periodo si misero in scena nelle città e nelle campagne.

Quella fu, anche, la prima volta che una manifestazione di agricoltori veniva organizzata unitariamente dalla Coldiretti e dall’Alleanza dei contadini. Vi aderirono la Dc, il Pci e tanti sindaci. Si percepiva che qualcosa di profondo dei vecchi assetti politici e sociali edificati negli anni della “guerra fredda” si sgretolava. Nei protagonisti è rimasta forte la sensazione di aver vissuto una vicenda epocale.
Ma già in occasione della seconda “giornata di lotta”, la Coldiretti, sebbene avesse contribuito a proclamarla in una affollatissima assemblea unitaria, decise all’ultimo momento di non partecipare. Lo sconcerto tra i coltivatori per l’improvvisa defezione fu enorme, soprattutto tra gli stessi aderenti a quella organizzazione. Arrivò anche in quel frangente, nonostante il boicottaggio della Coldiretti e della Dc, l’adesione di altri 29 sindaci del Monferrato.

Poliziotti e carabinieri affluirono dalle regioni vicine e furono utilizzati per intimidire i partecipanti, bloccare la circolazione dei trattori e far fallire la manifestazione. Ma l’iniziativa di lotta si svolse regolarmente il 18 settembre e, a seguito di una lunga trattativa col questore, i trattori poterono sfondare il blocco per un chilometro e vivacizzare la protesta.

La terza “giornata” fu annunciata per il 30 ottobre successivo. Questa volta fu indetta dalla Coldiretti, che però rifiutava qualsiasi impegno con altri, e dette vita a un proprio comitato di agitazione. Ma il coordinamento unitario, che si era precedentemente costituito, non si dette per vinto e fece convergere i propri aderenti lo stesso giorno e nella medesima località indicati dalla Coldiretti. Ne venne fuori, sotto una pioggia scrosciante, un lungo corteo, che però era diviso a metà, con due tronconi distanziati di un metro, uno promosso dalla Coldiretti e l’altro dal coordinamento unitario. Alla fine si fecero due comizi separati, ma i coltivatori li ascoltarono entrambi.

Saranno necessarie altre due manifestazioni, l’11 maggio e l’8 giugno dell’anno successivo, per convincere il governo ad accogliere le richieste dei manifestanti. E solo dopo forti pressioni, esso si deciderà a presentare il disegno di legge per l’istituzione del Fondo di solidarietà nazionale, che dopo circa un anno, nel 1970, vedrà finalmente la luce.

Costretti dalla Coldiretti a vivere da “separati in casa” la propria capacità di mobilitazione, gli agricoltori avevano difficoltà a far valere le proprie ragioni. La “guerra fredda” stava finendo e anche il ’68 delle campagne contribuiva a dare una bella spallata ad un mondo che non aveva più senso, ma c’era chi aveva un proprio particolare interesse a lasciare le cose com’erano per non rinunciare a rendite di posizione e a privilegi.

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