Saperi

Boccasette

Narrazioni. Mai sentito parlare di questo luogo, nemmeno la più pallida idea di cosa fosse, finché non compare un cartello in cui campeggia la scritta 45° parallelo. La visione della spiaggia stupisce chi la osserva perché, più che deserta, sembra abitata da tanti legni come tanti supporti di capanne indiane in cui rifugiarsi per un momento di intimità

Massimo Cocchi

Boccasette

Ero passato tante volte in barca con mio cognato Pirro, soprannome, oggi direbbero nickname, di Domenico, costeggiando i lunghi profili di spiagge che si alternano a quegli enormi anfratti d’acqua che si chiamano sacche, di Goro, di Scardovari ecc., su, fino a Chioggia, per poi sbarcare, dopo la lunga lingua di Pellestrina in quella inimitabile meraviglia che è Venezia.

Non avevo mai sentito parlare di Boccasette, non avevo la più pallida idea di cosa fosse finché mi sono trovato sotto un cartello in cui campeggia la scritta 45 ° parallelo.

Proprio lì la spiaggia di Boccasette segna un punto magico, un punto che ti rende meno ignoto il globo terracqueo, sai dove sei.

Passo un ponte di legno che attraversa il canale più estremo della Valle e arrivo sulla spiaggia, lì si apre uno scenario che mai avrei pensato di vedere.

Il mare aperto che si perde a vista d’occhio e confluisce come due rette che si congiungono in unapunta lontana con la spiaggia di riva cadenzata dalla schiuma delle onde che ripetono all’infinito il loro sciabordio. Non ci sono scogli ma lo sciabordio ti arriva chiaro e forte.

Non credo che si possa immaginare la visione di questa spiaggia e nemmeno descriverla per rendere l’immagine, per cui l’unica cosa che puoi fare è descrivere la tua impressione.

Non solo, ma quello scenario mi richiamò alla mente uno dei tanti viaggi barcaroli quando ci trovammo di fronte alla piena dei tronchi del Po che come una foresta smembrata si riversavano nel mare come a cercare di ricostruirla.

Allora non ebbi percezione del destino di quei tronchi.

A Boccasette, sulla sua spiaggia ho capito, quei tronchi cercavano di tornare alla loro origine e si riposavano sulla spiaggia, sembravano una grande famiglia che cerca di raccogliersi per ricominciare una vita nuova.

Cominciai a camminare su quella spiaggia deserta, deserta come non possiamo neppure immaginare se pensiamo alle vicine riviere.

I tronchi, i rami grossi e piccoli disseminati ovunque a creare, a volte, improbabili figure della realtà che certamente non potevano conoscere, come questa in cui sembra di riconoscere la testa di un animale preistorico.

Continua la camminata lungo quella spiaggia che, a questo punto, non mi sembra più deserta ma abitata da quei legni che lì hanno trovato dimora, meglio loro che masse di immagini sudate con il profumo irritante di oli e lozioni.

Su verso il bordo della spiaggia dove cominciano gli arbusti che segnano il punto di passaggio fra mare e canale appaiono tronchi organizzati come se fossero i supporti di capanne indiane, sembrano essere stati fatti da qualcuno per stendervi sopra teli che creino un momento di intimità per chi ci si rifugia.

Mi siedo, all’ombra di un cespuglio e mi appoggio a un tronco guardando l’infinito in quello scorcio di paesaggio indimenticabile, lì la mia attenzione viene attratta da un’immagine umana che si avvia alle onde di schiuma bianca.

Ha lunghi capelli biondi che scendono fino a lambire i lombi e guarda lontano.

Non so cosa guarda né cosa pensa, forse vuole solo camminare in quel deserto pensando che il mare possa ascoltare i suoi pensieri, accogliere i suoi desideri, forse, vuole togliersi di dosso le pene della vita lasciandole a quelle onde e sperando che esse non le riportino sulla sabbia come i tronchi.

Boccasette… Continua…

Murales a Milano, particolare. Foto di Luigi Caricato

Era il momento in cui giorno e sera, luce e oscurità si confondono facendoti uscire dalla luce abbagliante e regalandoti un momento di quiete, ti sembra che il peso del giorno stia svanendo e ti arriva una sensazione di calma tranquilla.

Stavo sdraiato su un pareo all’ombra del cespuglio, l’unico per molte decine di metri prima e dopo, quasi come fosse lì per indicare al passante la magia di quel punto e di quel momento.

Avevo negli occhi chiusi l’immagine di quei lunghi capelli biondi che scendevano sparsi sulla schiena, l’unico vestito di quell’affascinante corpo di donna.

Non vedevo e sentivo solamente la risacca che sembrava cullare pensieri e fantasie che si rincorrevano, proprio come fa l’acqua di riva nel suo continuo andare e ritornare.

Non avvertii i passi resi silenziosi dalla soffice sabbia finché sentii una presenza al mio fianco dalle goccioline di acqua di mare che mi arrivavano sul volto e mi regalavano, sulle labbra un gradevole sapore di sale unito all’odore forte di quell’acqua di mare.

Non mi mossi e rimasi, con gli occhi chiusi, ad ascoltare il fremito che sembrava volere trovare una via di uscita dal labirinto di sensazioni che lo imprigionava.

Un fresco contatto di pelle mi svegliò da quello che sembrava un pensiero d’immaginazione e capii che lei era sdraiata accanto a me, si appoggiava come se volesse trovare riparo da quei pensieri che aveva lasciato alle onde del mare e il tepore che consentisse di riscaldarla dal bagno quasi autunnale.

Non c’era stata consuetudine fra noi, quindi, anche se così vicini, un leggero piacevole brivido si insinuò nel contatto di pelle.

Sentivo le sue labbra che sfioravano il mio collo e percepivo la pressione dei suoi seni e del suo ventre su di me.

Se mi fossi girato repentinamente, come chiunque avrebbe fatto, avrei perso quel momento di intenso piacere e lasciai fare per un tempo che non so dire.

Allungai la mia mano sul suo fianco e ne percorsi le forme fino a che lo spazio di movimento del braccio me lo consentiva, sentivo quel fresco di mare e il suo odore miscelato a quello del sale d’acqua mi arrivava alle narici come arriva la brezza.

Mi girai lentamente e la prima cosa che vidi fu il suo volto così vicino alle mie labbra che si offrirono alle sue in un dolce prolungato scambio di meravigliose sensazioni.

Ora la mia mano più agevolmente poteva spingersi oltre a sfiorare i suoi seni accogliendoli nel palmo dove sembrava che avessero trovato un piacevole rifugio, una sensazione di dolcezza infinita.

La mano si distese lungo il fianco passando sui glutei e scivolando all’interno delle cosce dove un’istintiva reazione la strinse con forza come a volerla tenere prigioniera o a impedirle di proseguire il suo viaggio.

La morsa si allentò e capii che potevo avere accesso al più profondo dei piaceri.

Non ricordo più ma la vidi ritornare nell’acqua sbalzando sulle onde, forse a cercare i pensieri che aveva lasciato.

La foto di apertura è di Olio Officina, quelle interne sono dell’autore.

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