Chi conosce l’olio di Sasso?
Non è il celebre Olio Sasso, ma un olio di Sasso miracoloso: il sax oleum sassolese. Ne sanno qualcosa – ma non tutti, per la verità – quelli che affondano le proprie origini nel territorio del modenese
Si sa poco di quest’olio, ma esiste e ha una sua storia. Sono note soprattutto le sue proprietà benefiche. Si tratta di un “portentoso medicamento” – così lo hanno definito – ed è esattamente un petriolo presente nei suoli profondi lungo la fascia collinare dell’Appennino modenese. Per secoli questo petrolio è stato commercializzato e impiegato come Olio di Sasso. Ne ha scritto nel De Oleo Montis Zibinii seu petroleo agri mutinentis, Francesco Ariosto. Correva l’anno 1460. Ne è passato di tempo. L’Olio di sasso era stato elogiato per le sue peculiari virtù terapeutiche.
Non mancano le testimonianze di una diffusione in Europa, in partocolare a partire dal Cinquecento. Era anche noto con il nome di olio di Santa Caterina. In altre documentazioni viene citato come olio di Montegibbio, che è poi il nome della località poco distante da Sassuolo in cui l’olio veniva raccolto.
Raccolto, proprio così, non estratto, anche perché l’olio di Sasso è quello che trasudava dalla roccia. Lo si ricavava dai pozzi scavati nel terreno. C’era una distinzione in diverse tipologie. L’olio di Sasso bianco era il più pregiato. Ve n’era anche uno rosso, dall’odore pungente.
Il petrolio nel sottosuolo dei territori intorno a Sassuolo – comprendente anche Fiorano, Marano, Maranello, Polinago e Serramazzoni – era dovuto alla presenza di sorgenti di acqua salata. Si tratta delle cosiddette salse, dove si trova anche del gas. Tuttora questi fenomeni sono presenti in zona.
L’olio di Sasso, derivante da oli fossili, non viene più prodotto, ma si ricorre ancora oggi agli idrocarburi presenti nel sottosuolo, ed esattamente nella salsa di Montegibbio, appunto, o di Sassuolo.
La foto di apertura è di Marco M. Coltellacci e riprende i petroli delle Collezioni storiche del Museo Universitario Gemma 1786.
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