Chi sono i “contadini volanti” e perché sono fondamentali per la limonicultura
La Costiera amalfitana è caratterizzata da muretti a secco e da una agricoltura difficile, dove il terreno è sempre pronto a rinselvatichirsi. Custodi di questi luoghi sono gli agricoltori che lavorano le loro piante di limone fra Vietri sul Mare e Positano, inerpicandosi sulle terrazze che si snodano lungo i costoni. Flavia Amabile, scrittrice e giornalista de La Stampa è impegnata nella tutela della loro sopravvivenza con bellissime forme di cultura come mostre fotografiche e libri in risposta a una tradizione che non deve essere dimenticata
Vi è un’agricoltura “eroica”, in via di estinzione che, se non se ne parla, sparirà senza lasciare traccia di sé.
È il caso della limonicultura della Costa d’Amalfi.
Per secoli, con tenacia e abilità, i suoi addetti hanno terrazzato, con i muretti a secco di recente dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità (ma lo è la stessa Costiera di cui parliamo), i monti che fanno da cornice al mare cristallino e scendono a strapiombo sulla costa.
Hanno creato terreno coltivabile da un luogo avaro, sempre pronto a rinselvatichirsi, a riempirsi di vegetazione altamente infiammabile, trasformarsi in un panorama in preda alle frane e al pericolo di massi che piombano dall’alto.
A fare da custodi della bellezza ci sono loro, quelli che la scrittrice e giornalista de’ La Stampa Flavia Amabile ha battezzato i “Contadini volanti” perorando la causa della loro sopravvivenza con mostre fotografiche, libri, podcast.
Una lotta contro i mulini a vento, certo, ma almeno c’è un dibattito vivo al riguardo, confronto che ha suggerito a qualcuno di ipotizzare per loro un “reddito di custodia”, che andrebbe parzialmente a compensare la quasi nulla redditività dei limoni, pagati dai commercianti all’ingrosso, quest’anno 80 centesimi al chilo, ma che l’annata precedente erano scesi a 50 cent.
Gli stessi frutti, però, sulle tavole degli italiani, arrivano a ben altri prezzi, almeno quintuplicati.
Sono brutti ma buoni, i limoni della Costiera, bitorzoluti, stortignoccoli, lontani dagli standard della Gdo, perché il grande pubblico pretende limoni da gioielleria, tutti eguali, d’un giallo intenso, persino lucidati (e magari dentro, asciutti e senza succo).
I limoni autoctoni, invece, della varietà “Sfusato di Amalfi”, di succo ne hanno tanto ed emanano un profumo intensissimo, inconfondibile.
Sono originari di una coltivazione che ha preso le mosse nel XIII secolo, quando la Repubblica Marinara di Amalfi dominava i mari. Dall’Oriente i naviganti portarono con sé a casa queste piantine di un verde squillante, capaci di produrre un frutto giallo come l’oro, diffuso nel vicino Oriente e che nell’antica Roma, dove arrivava principalmente dall’Acaia, era destinato alle sole élite.
Un vero scossone alla produzione venne dalla scoperta delle proprietà di cura e prevenzione dallo scorbuto, morbo che colpiva pesantemente gli equipaggi delle navi, a causa della mancanza della vitamina C nell’alimentazione consumata in navigazione, causando moltissimi morti.
Era la fine del XVIII secolo e Amalfi da secoli aveva ceduto il dominio del mare. L’Inghilterra, col suo immenso Impero, primeggiava nei commerci e possedeva una flotta immensa: fu per tutelare le sue ciurme che la Marina militare e commerciale di Sua Maestà britannica si rivolse ai limonicultori della Costiera, caricando un’infinità di casse di limoni, persino dove non esistevano strutture portuali e occorreva attraccare al largo.
Fu un periodo d’oro che si protrasse fino al secondo dopoguerra.
I coltivatori e le loro maestranze che hanno superato i 90 anni ancora se lo ricordano.
Ai tempi, la Costiera Amalfitana era ancora allo stato naturale e la cementificazione selvaggia dei ricchi imprenditori, amanti della villa in Costiera, era di là da venire.
Quelle che non sono cambiate, né potranno cambiare mai, sono le modalità di coltivazione delle piante, un disciplinare che rimane eguale dei secoli.
L’uso di metodologie naturali come l’utilizzo del verderame contro i parassiti e un’agricoltura biologica ante litteram sono la testimonianza di una salubrità della coltivazione: chissà se i limoni da vetrina di Bulgari, di provenienze esotiche, possono offrire le stesse garanzie.
Certo, la concimazione non avviene più con le deiezioni dei pollai o il contenuto dei pozzi neri appetiti dai coltivatori, perché da Bruxelles arriverebbero con l’artiglieria pesante. E ha una sua sottile ironia poter pensare che i limoni importati da Amalfi e venuti su con queste concimazioni primordiali siano giunti sui tavolini da the dell’aristocrazia inglese, persino della Famiglia Reale.
I “Contadini Volanti”, per il resto, lavorano le loro piante fra Vietri sul Mare e Positano, come i loro antenati. Uomini e donne s’inerpicano sulle terrazze dei cosiddetti “giardini”, che si snodano lungo i costoni, raggiungendo anche un’altezza in montagna fino a 400 metri sul livello del mare. I portatori delle ceste, in un gesto secolare, poggiano sulla nuca ceste che variano dai 55 ai 70 kg per portarli a valle, all’altezza della strada, una fettuccia di asfalto scavata anch’essa nella roccia, stretta e piena di curve.
Poi ci sono i coltivatori degli alberi di limone e i raccoglitori: sono allenati sin da giovanissimi a ‘ domare’ le piante, distendendo le foglie in pergolati grazie a rametti di salice e sostenendole con pali di castagno, ricavati da piante cresciute a quote più alte.
Sono loro, insieme ai trasportatori, spesso donne, a giustificare l’appellativo di “Contadini Volanti”, perché lavorano come sospesi a mezz’aria.
Questa microeconomia, come dicevamo nell’incipit, è a rischio: abbattimento dei ricavi, mentre i costi fissi esplodono; carenza di agricoltori e loro progressivo invecchiamento; pochissimi giovani, che, anzi, emigrano.
Si evidenzia come i limoni possano acquisire valore aggiunto diventando marmellate, composte per accompagnare i formaggi, ma anche concentrati per profumare cosmetici o mescolarsi ad alimenti, persino creme di bellezza a base di limone di antica sapienza; come i cosiddetti “Sentieri dei limoni” siano di grande appeal per il crescente “turismo esperienziale”.
Suggerimenti preziosi, ma, a tagliare la testa al toro e far risorgere questo settore di nicchia e d’eccellenza, ci vorrebbe un intervento strutturale, come il riconoscimento del sunnominato “reddito di custodia” (qualcuno parla di “reddito di contadinanza”), che tenga conto della funzione di tutela che costoro espletano, nella difesa del territorio da frane, dilavamenti, incendi.
Le peschiere usate per innaffiare le piante, ad esempio, sono uno strumento fondamentale per le attività di contrasto ai roghi in montagna, spesso inaccessibili alle autobotti dei Vigili del Fuoco.
I “Contadini Volanti” sono il simbolo di una necessaria innovazione nella tradizione e di converso, dell’esigenza di proteggere la tradizione grazie a strumenti innovativi.
Una scommessa da vincere assolutamente.
Anche con mostre, libri divulgativi, podcast, come convintamente fa Flavia Amabile.
In apertura, e all’interno, foto di Flavia Amabile ©
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