Saperi

Coldiretti uguale mafia?

Secondo il sociologo Gilberto Antonio Marselli, allievo di Manlio Rossi-Doria, la nota organizzazione non è di fatto un sindacato ma un aggregatore di interessi sotto lo stretto controllo della chiesa cattolica. Così, anziché utilizzare le risorse finanziarie che arrivavano alla Federconsorzi dallo Stato per rafforzare lo spirito cooperativistico dei coltivatori e puntare alla loro crescita professionale, si impiegavano per corrompere la Dc e condizionarla nelle scelte parlamentari e di governo al fine di consolidare il proprio potere economico

Alfonso Pascale

Coldiretti  uguale mafia?

Il sociologo Gilberto Antonio Marselli, allievo di Manlio Rossi-Doria, è stato animatore del “Gruppo di Portici” fin dalle origini, poi presidente del Comitato di Scienze Politiche e Sociali (CoSPoS), promosso dal Centro di Specializzazione e Ricerche Economico-agrarie per il Mezzogiorno, e docente di Sociologia presso l’Università “Federico II” di Napoli.

Alcuni anni fa ha scritto una dispensa per i suoi allievi dell’Università della Calabria dal titolo Società rurale e questione meridionale. Un testo sintetico ma di grande interesse in cui si affronta – con un taglio tra storia, memoria e riflessione sociologica – il tema del passaggio dal meridionalismo classico al nuovo meridionalismo della riforma agraria e dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno insieme ad una analisi della società meridionale dall’Unità ai nostri giorni. Tornerò nei prossimi giorni su alcune pagine di questo scritto che meritano di essere commentate con attenzione. Ora mi soffermerò sul giudizio molto netto che lo studioso formula sulla Coldiretti e, in particolare, sul ruolo che questa organizzazione svolse tra gli anni ’40 e ‘70. Egli scrive: “La Coldiretti è stata un’organizzazione associativa che non ha svolto funzione sindacale, ma funzione di associazione di interessi, fortemente controllata dalla chiesa cattolica”.

Marselli fa una netta distinzione tra le funzioni di organizzazione sindacale e quella di associazione di interessi. E dice con nettezza che la Coldiretti non è un sindacato ma aggrega degli interessi ed è sotto lo stretto controllo della chiesa cattolica. Del resto, è cosa nota che nel suo statuto ancora oggi compare un richiamo alla dottrina sociale della chiesa e possiede una rete di assistenti ecclesiastici nelle province e a livello nazionale. Poi il sociologo afferma: “La Coldiretti è diventata ad un certo punto l’azionista di maggioranza della Federconsorzi, il che significava essere il controllore della Democrazia Cristiana”.

Si noti: da una parte, questa organizzazione è controllata dalla chiesa; dall’altra, essa controlla la Dc. Ma come esercita questo controllo sul partito di maggioranza relativa? Vediamo come risponde Marselli: “Anche qui c’è una profonda differenza tra Nord e Sud. Mentre la Coldiretti nel Sud era un’organizzazione mafiosa, la Coldiretti nel Nord capì che si doveva puntare sulla cooperativa, e sulla istruzione dei contadini”. Davvero? Abbiamo letto bene? Marselli scrive proprio così: un’organizzazione mafiosa. E prosegue: “La cosa fu ancora più seria quando, a un certo momento, il rapporto della Coldiretti con la Democrazia Cristiana non fu più solo un rapporto di gestione del potere, e quindi di raccolta dei voti e di rappresentanza parlamentare, ma fu anche un rapporto finanziario, per cui la DC veniva finanziata dai consorzi agrari. La Coltivatori Diretti, in sostanza, era un’organizzazione para-politica per la raccolta di voti”. Quest’ultimo rilievo si trova già nel Rapporto sulla Federconsorzi, presentato nel 1963 da Manlio Rossi-Doria alla commissione parlamentare d’inchiesta sui limiti della concorrenza. Ma ora – leggendo la dispensa di Marselli – a me appare in una luce nuova.

Non si tratta solo di un giudizio politico così come si è voluta leggere – e ho letto per tanto tempo io stesso – la denuncia che Rossi-Doria espresse con lo studio presentato al Parlamento. Nelle parole di Marselli quell’atto di accusa si tinge di connotati sociologici di grande interesse. Studiando la società meridionale nella concreta realtà delle relazioni che si stabilivano tra la bonomiana e i coltivatori e poi tra la sua struttura economica e la politica, il “Gruppo di Portici” pervenne alla conclusione che la Coldiretti esprimeva una presenza mafiosa nelle campagne del Mezzogiorno: anziché utilizzare le risorse finanziarie che arrivavano alla Federconsorzi dallo Stato per rafforzare lo spirito cooperativistico dei coltivatori e puntare alla loro crescita professionale, le impiegava per corrompere la Dc e condizionarla nelle scelte parlamentari e di governo al fine di consolidare il proprio potere economico.

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