Saperi

Con mia madre

È stato molto di più il tempo che trascorrevo con lei che con mio padre, ed era un tempo intimo. Lei era l’ala protettiva che mi dava la sicurezza di essere sempre assolto dalle marachelle più o meno gravi, e che mi accompagnava intellettualmente nei primi passi dell’adolescenza. Lei è stata sempre, anche da adulto, e nelle intemperie della vita, la nostra sicurezza reciproca. “Non preoccuparti, sto benissimo”, mi disse. Di quel momento non dimenticherò mai il suo sorriso

Massimo Cocchi

Con mia madre

Ho un’immagine che mi ricorre sempre nel cervello, mio fratello seduto nel seggiolone sotto il grande albero di Natale che nostro padre portava per alcuni chilometri sulla spalla scendendo in bicicletta dalla prima collina bolognese percorrendo la strada della Futa.

A tutti e due è rimasta questa “mania” del grande albero di Natale e, per tantissimi anni, noi, nelle nostre rispettive abitazioni, abbiamo eretto questo monumento pieno di luci, scintillii e palle colorate.

Questo albero che via via assisteva ai profondi cambiamenti che sono nel destino, chi prima chi dopo, della vita.

Nel tempo dell’immagine di mio fratello sotto l’albero, io vivevo intensamente con mia madre l’intera giornata che trascorreva dall’uscita di scuola fino al ritorno, nella stessa, il mattino successivo.

Certo, era molto più il tempo che trascorrevo con lei che con mio padre, ed era un tempo intimo che si cadenzava fra lei che mi faceva i compiti, questo durerà fino alla terza media, andando allo storico cinema Roma di via Fondazza, tutti i pomeriggi che il buon Dio mandava in terra, e il ritorno a casa, fino a che non arrivò mio fratello, per allestire la cena.

Mia madre era l’ala protettiva, come per molti penso, che mi dava la sicurezza di essere sempre assolto dalle marachelle più o meno gravi, e che mi accompagnava intellettualmente nei primi passi dell’adolescenza.

Tutto questo, ma non l’intimità di pensiero, durò fin tanto che nacquero altre famiglie e le occasioni di frequentazione si diradavano inevitabilmente, lasciando appuntamenti fissi e inderogabili quali la vigilia di Natale dove campeggiava sulla tavola l’attesa di affrontare quel brodetto di pesce che solo lei sapeva rendere così gustoso.

Grande tavolata come era sempre stato di consuetudine fin dai tempi, in campagna, dai nonni.

La vita, comunque, non è sempre foriera di soli momenti felici ma arrivano altrettanto ineluttabili, un po’ come il famoso brodetto, gli eventi avversi, quasi sempre drammatici.

E così, quell’evento arrivò anche per me e mia figlia, inaspettato e ferocemente straziante, che, dopo un po’ di tempo trascorso fra le mie scorribande scozzesi e il dramma di una grande casa, troppo grande per una ragazza di diciotto anni, cui accudire almeno nel minimo indispensabile, fu presa una decisione anch’essa inevitabile, il trasferimento, armi e bagagli, di nuovo a casa di mia madre, anch’essa sola.

Sempre gli eventi della vita portarono mia figlia lontana da casa e così, mia madre e io, fummo traslocati in un tempo che non avevamo mai dimenticato, fatto di mutuo soccorso, di complicità, a volte di ristrettezze a volte di abbondanza.

Già, perché quando la tromba d’aria si abbatte sulla famiglia devi prima ricostruire l’habitat, pezzo dopo pezzo, poi riaffacciarti alla ripartenza, forse, senza più l’entusiasmo di prima ma con la determinazione di garantire una tranquilla, moderata serenità, al nuovo vivere.

Così ricominciò la vita con mia madre, io tornai a dormire nel letto di ragazzo, nella camera che era rimasta immutata, con la consapevolezza che, ancora una volta, mia madre mi avrebbe accompagnato, così come aveva costruito, verso un nuovo vivere.

Non era molto cambiata la vita che facevamo ora rispetto a quella che avevamo quando ero adolescente, certo non mi faceva più i compiti, ma era sempre e puntualmente, in una defilata e non incombente presenza, pronta a facilitarmi la vita quotidiana cercando di riparare a quanto, per tutti e due, era l’avere perso le nuove consuetudini di vita, per me, e quelle più antiche per lei.

Credo di non essere irriverente verso ciò che era il recente passato se confesso che gli anni che avevamo passato di nuovo assieme, lei ed io, sono stati fra gli anni più belli della mia vita, la nostra era una sicurezza reciproca.

Ricordo un solo episodio, per non tediare nessuno, me compreso.

Una notte si sedette sul mio letto con il cuore che andava a mille, le era costato caro svegliarmi perché era sua consuetudine non disturbare mai, ma il momento era fastidioso e preoccupante.

Le presi il polso e, con quell’istinto che altre volte mi aveva consentito di aspettare il trascorrere dell’evento senza cedere a impulsive reazioni, le tenni la mano con le dita sul polso finché passò latempesta.

Il giorno dopo, tuttavia, la portai da un amico cardiologo e gli dissi che avevo avuto il sospetto di una fibrillazione, la sua drastica affermazione mi lasciò sconcertato perché mi disse che era impossibile che io avessi potuto riconoscere una fibrillazione, fece tutti gli accertamenti del caso e, con grande onestà intellettuale si girò verso di me: sì, tua madre fibrilla.

Naturalmente rimise a posto quel cuore che era stato sottoposto a tante intemperie, che aveva visto giornate di sole e di terribili acquazzoni.

Così, nella grande casa di fronte alla chiesa dell’Antoniano, trascorsero molti anni che vivemmo, mia madre ed io, in stretta connessione, si dice oggi, con un Bluetooth sempre collegato.

Anche nei giorni che si approssimavano a concludere la sua esistenza mia madre rimase collegata con mio fratello e con me, con quella dignità che le era tipica e che ne caratterizzava il carattere docile ma allo stesso tempo fortissimo.

Una condizione che, ne sono sicuro, la umiliava perché non era più in grado di dare ma doveva ricevere, perché aveva timore di disturbare.

Era trascorsa appena una settimana che mi venne incontro in sogno e, nella consuetudine che l’aveva sempre condotta ad alleviarci dai problemi, mi disse:

“Massimo non preoccuparti, io sto benissimo”. Di quel momento non dimenticherò mai il sorriso di mia madre.

In apertura, un’opera di Giuseppe Bernardi detto Il Torretto (Pagnano 1694 – Venezia 1774) foto di Olio Officina

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