Saperi

Di libertà vo pensando…

È un concetto che non sempre riusciamo a comprendere nel suo vero senso, un concetto che a volte si tinge di ipocrisia. Invece dovremmo restituire cittadinanza alla libertà del nostro potere creativo, capace di scompaginare e disarticolare i flussi meccanici di un mondo preformato, e per questo inquietante, incapace di vedere che ogni nascita comporta una rinascita, ogni inizio un capovolgimento del mondo precedente

Clara Benfante

Di libertà vo pensando…

In schiuma d’onda

Danza il gabbiano

Di cibo che s’offre

S’invola sazio

Sguardo ironico

Sull’uomo adagia

Di libertà gli racconta

Massimo

Alcuni giorni fa in un’irresistibile pulsione di libertà che, spesso, identifico con il piacere, mi sono appoggiato alla balconata di quella fantastica baracca sul mare di Porto Recanati dove le abili mani del mio fraterno amico Gibo mi preparano sempre la stessa cosa, il sublime insieme di tentacoli di polpo tenerissimo che giacciono su un letto di purea manipolata con una formula speciale e il guazzetto dal sapore inimitabile con il profumo di cardamomo e di pesce di mare che si fondono mirabilmente.

Stavo alla balconata che si appoggia sulla spiaggia, vicino alla riva ed ecco che osservo un gabbiano che danza sulla schiuma dell’acqua di riva e mi sovvengono le parole che introducono l’idea di queste poche parole: la libertà.

Già, in quel momento mi sono sentito libero, di pensare e di sognare in un momento che, forse, a tanti altri veniva negato.

Anche la trasgressione nel mio vocabolario significa libertà, un concetto che non sempre riusciamo a comprendere nel suo vero senso, un concetto che a volte si tinge di ipocrisia per chi è costretto a non potere esprimere pubblicamente il proprio pensiero.

Mi sono reso conto, in quell’istante sul mare, che libertà, per me, significava semplicità di essere se stessi, semplicità di esprimere le proprie idee, semplicità di rivolgersi serenamente a chiunque ti sta di fronte, semplicità nel godere di un momento speciale, semplicità nel potere sorridere al gabbiano che danza sull’onda. Semplicità si coniugava con libertà.

Si, ero libero di sorseggiare il “martini vodka” che mi aveva preparato, sapientemente, il mio amico Gibo, ero libero di fare correre il pensiero verso le immagini della linea d’infinito in cui sembra fermarsi il mare, ero libero di volare con il gabbiano verso quell’orizzonte che da riva non sembra poi tanto lontano, non l’abbiamo fatto, il gabbiano ed io, perché siamo rimasti a godere del cibo, anche questa è libertà.

In quel momento sentivo la gioia dentro dopo tanti giorni, mesi di prigionia della mente in un contesto che lasciava solo all’immaginazione il significato di libertà.

C’era, quel giorno, una cara amica con me che aveva appena dissertato una tesi da master in criminologia sul pensiero che nelle menti si divide fra scelta di salute e scelta di economia e che le aveva consentito di accedere alla lode, ero felice per lei, ma avevo qualche dubbio sul fatto che avesse percepito che il mio sguardo volava via dai fatti terreni e dalle intriganti complicazioni del pensiero raccontato nella tesi.

Rientro dal terrazzo e mi siedo nel tavolo che ormai potrei definire mio, sempre lo stesso, defilato dagli altri e a fianco di una ricca libreria della quale uno scaffale è occupato da tante cose che ho scritto e, questo, mi riempie di orgoglio, non è la vetrina di una prestigiosa libreria ma è lo specchio di un affetto da parte degli amici che paga come se avessi venduto milioni di libri, anche questa è libertà, libertà di scrivere per sé stessi.

Mi siedo e chiedo al mio amico Gibo di darmi un pezzo di carta e una scassata biro e mi metto a scrivere:

In schiuma d’onda

Danza il gabbiano

Di cibo che s’offre

S’invola sazio

Sguardo ironico

Sull’uomo adagia

Di libertà gli racconta

La mia amica capisce che in quel momento non sono presente, sente che inelegantemente mi sono assentato dalla compagnia e, molto pudicamente, con l’eleganza propria della buona educazione non mi chiede cosa stavo scrivendo ma mi dice “ho visto che stavi scrivendo” e io le rispondo sì, stavo scrivendo di “libertà”.

Ho accennato al desiderio di scrivere un pensiero sulla “libertà” alla mia “allieva” Clara e al mio “amico” Fabio.

La libertà nella giovinezza e nel profondo pensiero filosofico, la mia è quella del gabbiano.

Clara

Carissimo Massimo,

banalmente mi verrebbe da scrivere che la “libertà è tutto ciò che non ci tiene in catene”, ma cadrei nel banale perché, in questa “schifosissima” situazione di pandemia, non vi è alcuna catena che mi blocca, eppure le mie ali sono ugualmente tarpate!

Tutto ciò per farti capire che essere liberi non è poi così tanto facile…

Scommetto, infatti, che non vi è nessun essere umano che si sente realmente libero, c’è sempre un qualcosa o un qualcuno, astratto o concreto che sia, che ci tiene in trappola e non ci dà tregua.

Ripercorrendo le tappe della nostra vita ci possiamo accorgere di quanto siano stati brevi i momenti in cui ci siamo sentiti realmente liberi: la fine del percorso scolastico, ad esempio, segna un momento di libertà estrema per lo studente che, dopo tanti e tanti anni di compiti in classe e interrogazioni, al termine del suo esame di maturità esclama un “finalmente sono libero!” ( con tanto di foto su Instagram, magari) per poi ricominciare, dopo nemmeno un mesetto di relax, una nuova routine fatta di ansie, esami e attacchi di panico.

Un ulteriore senso di libertà potrebbe essere rappresentato dall’esigenza di evadere, anche momentaneamente, dalla routine che ci opprime e ci schiaccia e prendere una bella boccata d’aria, al mare o in montagna, sotto il calore arancione del sole e il suono armonioso della natura intorno a noi.

Non esiste sensazione più bella, però, del sentirsi liberi dalla propria mente e da tutte le sue impurità. I pensieri e i ricordi, come polvere, si accumulano e pesano sul nostro capo che, di giorno in giorno, schiaccia le vertebre e tende a indebolirci e i sogni e l’immaginazione non trovano più spazio in questa montagna di polvere. La libertà di non pensare, di lasciare andare via i ricordi futili e i pensieri che affiorano nei momenti di stress, dovrebbe essere paragonata a una bottiglia piena d’acqua che viene rovesciata, da un bimbo monello e turbolento, sul pavimento: la bottiglia piena zeppa d’acqua è la nostra mente, il rumore dell’acqua che sgorga velocemente al di fuori della bottiglia sono i nostri pensieri, quelli che ci tormentano; la mamma che rimprovera il figlioletto monello, invece, è la consapevolezza che si riappropria della vita e ripulisce tutta la confusione creata.

“Nessuno è libero se non è padrone di sé stesso”

Epitteto

Fabio

Caro Massimo,

nella quinta delle sue Passeggiate, Rousseau ricorda come sgusciasse via da tavola per salire in barca e starsene solo in mezzo all’acqua del lago di Bienne:

Se l’acqua era calma, la portavo in mezzo al lago, e lì, coricato per il lungo della barca, gli occhi volti al cielo, la lasciavo dolcemente andare alla deriva, secondo il volere delle acque, spesso anche per ore, trasognato in miriadi di fantasie deliziose e confuse che, senza che avessero un oggetto determinato o costante, continuavano a essere per me preferibili a tutto ciò che conoscevo di più dolce nei cosiddetti piaceri della vita.

È stato giustamente sottolineato che qui nasce forse il senso moderno della libertà: liberarsi dal peso del reale, liberare i possibili, non cedere al carattere intimidatorio del cinismo realistico.

Rousseau è solo in mezzo all’acqua, sdraiato sulla barca, e si lascia andare a una dolcissima immaginazione, senza un oggetto determinato, senza vincoli con il reale, assolutamente libero.

Tuttavia, aggiunge Rousseau:

Ma la maggior parte degli uomini, agitati da continue passioni, poco conosce questa condizione, e non avendola provata se non in modo imperfetto e per pochi istanti, ne conservano un’idea vaga e oscura, che non ne fa sentire la grazia.

La grazia che ci restituisce l’immaginazione, lo smarcamento dalla necessità automatica del reale, la libertà creativa che ci consegna, se sappiamo accoglierla, vengono oggi più che mai condannate in nome del presunto pragmatismo, del cosiddetto realismo che insegniamo ai nostri figli, che poi altro non è che cinismo, del misurare, programmare, controllare ogni cosa in modo da non farsi sorprendere dall’imprevedibilità della vita.

Di contro, dovremmo educare questa nostra civiltà all’immaginazione, a svincolarsi dal fatto che il reale si presenti sempre e solamente come qualcosa di immodificabile, incontrovertibile, necessario.

Dovremmo restituire, in altri termini, cittadinanza alla libertà del nostro potere creativo, capace di scompaginare, disarticolare i flussi meccanici di un mondo preformato, per questo inquietante, incapace di vedere che ogni nascita comporta una rinascita, ogni inizio un capovolgimento del mondo precedente, ogni sussulto creativo un guasto nel sistema di un reale ordinato, compatto, in fondo più povero e costrittivo.

Tutto questo, forse, può ricordarci che esiste splendore ovunque:

Noi siamo solo confusi, credi. Ma sentiamo. Sentiamo ancora. Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci di amare qualcosa. Ancora proviamo pietà. Tocca a te, ora, a te tocca la lavatura di queste croste delle cortecce vive. C’è splendore in ogni cosa. Io l’ho visto. Io ora lo vedo di più. C’è splendore. Non avere paura.

M. Gualtieri

In apertura, foto di Olio Officina

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