Saperi

Diritto di vivere, dovere di morire. Così cambia il mondo

Oggi c’è chi si arroga il diritto di decidere i pazienti da ricoverare o meno. Sembrano non essere più in grado di gestire “cum iudicio” una grave ma altresì banale epidemia, come non siano in grado di schiarire quella “brain fog”, quella nebbia cerebrale che li fa sentire giudici supremi della vita di tutti. Attenzione, dunque: non è la cultura che rende l’uomo intelligente ma è, l’intelligenza, un dono che evidentemente non tutti possiedono e che sovente si confonde con la cultura.

Massimo Cocchi

Diritto di vivere, dovere di morire. Così cambia il mondo

Mi sono tante volte chiesto come sarebbe evoluto l’essere umano al trascorrere del tempo e come, questo tempo, poteva dare misura della civiltà. La scuola ci ha insegnato che tutte le grandi civiltà declinavano la loro discesa al declinare della cultura aprendo la strada ai cosiddetti barbari e come, questi barbari, cercavano poi di emulare le ricche civiltà riproponendo gli stessi paradigmi. Così si è trascinata la storia.

Mi è sempre rimasto impresso il momento che trascorsi sul vallo di Adriano, una muraglia in un paesaggio desolato con il vento così freddo che sembrava tagliare le orecchie che spuntavano dal mio loden, indifese.

Non avevo mai visto uno scenario del genere, lì, il grande Impero romano si era fermato, per il freddo e per i barbari scozzesi che, dall’alto delle loro dimensioni fisiche, bastonavano sonoramente quei poveri soldatini romani che il potere e la sfrenata ambizione di conquista, avevano inviato in quella landa deserta.

Arrivarono stanchi morti da un viaggio lunghissimo, forse, dimenticando che non tutte le conquiste sono foriere di scenari idilliaci. La povera e fantastica Scozia li aveva fermati.

Non sapendo cosa di meglio fare costruirono un “muro”, più o meno dell’età della muraglia cinese, cui, poi, ne seguiranno altri drammatici, la vocazione umana a separare il sé dall’altro sé.

Quel muro, come spesso accade nelle tragedie, si rivelerà provvidenziale perché fornirà prezioso materiale edilizio per la costruzione delle case che ora stanno di qua e di là dal muro, nonché stabilirà il confine fra i cugini scozzesi e inglesi.

Questo pensavo passeggiando su questo muro che unisce le due coste, chiedendomi chi avesse avuto quella “straordinaria idea”.

In realtà lo sapevo, era stato Adriano, il perché mi era un poco meno chiaro perché nessuno gli aveva chiesto di dirigersi così lontano da casa.

Quel muro, come avvenne tante altre volte, rappresentava quel desiderio che si annida nel cervello dei grandi poteri di sottomettere i propri simili nel folle ideologico gioco del dominio e della supremazia. Io sono più forte e tu devi essere mio schiavo.

Dove sta, dunque il rispetto della vita, perché non abbiamo una parte di quella meravigliosa creazione che è il cervello che ci suggerisca di accontentarci di quel che c’è?

Dalle migliaia ai milioni di vite che gli interessi mascherati da ideologie hanno sacrificato, sorge spontanea la domanda contenuta nel titolo di questo breve scritto.

Diritto di vivere e dovere di morire?

Chi decide per noi tutto ciò?

Certamente il potere, ancorché votato da masse di imbecillità vaganti, si arroga il diritto di decidere della vita di tutti nel chiuso di stanze lussuosissime dimenticando che stanno decidendo su chi li ha portati in quelle stanze.

Per i cugini svizzeri, ad esempio, sembra che sia nell’interesse nazionale instaurare una drammatica eutanasia evitando di curare chi, fino a poco prima, li ha messi al mondo inconsapevoli, forse, di quello che stavano facendo, di rinnegare il patrimonio esperienziale di chi ha un “vissuto” più lungo di quelli che oggi decidono.

Forse che il nostro Presidente, dall’alto della sua lunga e datata esperienza, abbia deciso di convocare il consiglio nazionale di difesa per tutelare la vita dei suoi coetanei?

Non so e poco mi interessa, né voglio scivolare nella saggezza senescente perché potrebbe, a volte, essere offuscata da chiazze di indurimento vascolare e beati quelli che mangiano l’olio Cuore per tentare di ridurre il famigerato colesterolo, anche loro vanno rispettati se il potere di Big Pharma gli racconta le bugie.

Non hanno nessuno che li difende, così come non hanno nessuno che li difende dalle bugie del potere.

E ci risiamo, il potere che decide di fare parlare manipoli di pseudo scienziati che non ne azzeccano mai una.

A questo proposito voglio raccontare un aneddoto.

Diversi anni fa un amico, famoso avvocato, amante della caccia grossa, torna dall’Africa e un giorno sì e due no deve essere ricoverato per manifestazioni febbrili, palesemente da far pensare, anche agli occhi di un bambino, che forse era malaria.

Quel “bestiolino” nessuno era capace di trovarlo, allora mi chiamò e mi chiese cosa fosse possibile fare.

Gli risposi che avrei tentato di mettermi in contatto con il reparto di malattie tropicali di Londra e così feci.

Mi accingevo a passare ore per entrare in contatto e, invece, alla prima telefonata mi rispose niente meno che il direttore della clinica di malattie tropicali, gli spiegai il problema e mi rispose, per farla breve, che forse non avevano diluito a sufficienza il siero che doveva rivelare la presenza del “bestiolino” e mi fece scrivere cosa si doveva fare e che terapia dovesse essere attuata.

Attonito, ringraziai, pensando come, qui, sarebbe stato difficile parlare anche con l’infermiere del reparto.

Ma fece di più, ricevetti una telefonata dall’aeroporto di New York per sapere come procedeva la cura alla quale, ovviamente, il mio amico si era sottoposto.

Incredibile, diritto e dovere alla vita dipendevano anche dall’acume di specialisti che, invece, non erano in grado di pensare, di fare un banale ragionamento. Io stesso, ahimè, da studente, avevo capito che in un caso di febbricola insistente, con test reumatico negativo, bisognava procedere con successive diluizioni del siero.

Non vi è dubbio che, oggi, il mondo di questi cosiddetti giovani che si arrogano il diritto di decidere chi ricoverare oppure no, scevri dell’esperienza dei grandi vecchi, sembrano non essere in grado di gestire “cum iudicio” una grave ma altresì banale epidemia, come non siano in grado di schiarire quella “brain fog”, quella nebbia cerebrale che li fa sentire giudici supremi della vita di tutti.

Non è la cultura che rende l’uomo intelligente ma è, l’intelligenza, un dono che evidentemente non tutti possiedono e che sovente si confonde con la cultura.

Ecco che ci troviamo in balia di chiunque si alzi a cercare di impedire che voci autorevoli possano esprimere il loro parere e non è certo l’apparire in televisione che rende autorevoli ma, piuttosto, accomuna chi parla nello schermo alla montagna di idiozie che lo stesso schermo propina quotidianamente.

Il vero problema, quindi, è se dobbiamo affidare il nostro diritto di vivere a chi decide che morire sia un dovere nell’interesse di una massa di intelligenze confuse e impreparate a reggere le sorti di un Paese.

Mentre scrivo sono sul mare che si affaccia al Delta del Po, laddove una fantastica, silenziosa natura, sembra invitare alla rimozione di quella “brain fog” che sembra essere pandemica nei cervelli della scienza di potere.

In apertura, una foto di Olio Officina

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