Saperi

Ed è Libero Olio in libero Stato

La giuria del Premio internazionale del Museo delle Paste alimentari ha assegnato il trofeo d’argento, per la sezione mercato-editoria, sia all’autore, Luigi Caricato, sia all’editore, Zona Franca. Si tratta di un libro, un severo pamphlet, intorno al complesso mondo degli oli da olive, pubblicato nel settembre 2013. La prefazione al volume a firma di Gualtiero Marchesi

Gualtiero Marchesi

Ed è Libero Olio in libero Stato

La cerimonia di consegna si svolgerà il prossimo 21 marzo 2016, presso il Teatro Salone Margherita “Il Bagaglino” di Roma. Il premio, di cui è presidente l’avvocato Giuseppe Giarmoleo, è giunto alla ventesima edizione. I lettori di Olio Officina Magazine già conoscono il volume (QUI), che possono trovare presso le librerie on line. Riportiamo la prefazione del maestro Gualtiero Marchesi. Il libro è edito da Zona Franca.

Non è mai facile introdurre un libro che andrebbe sempre riletto più volte. Se ne possono, invece, ricavare delle informazioni da condividere. Tre in particolare mi sembrano interessanti.
La prima è il bisogno di partire dall’etimologia, fugando il dubbio che ormai le parole non significhino più nulla.

Luigi Caricato precisa che l’olio di oliva dovrebbe, e a ragione, mutare preposizione in da oliva.
Una correzione semplicissima che ristabilisce la differenza rispetto ad altri oli.
Dalla differenza, sinonimo di conoscenza, nasce, nei buoni intenzionati, il senso del rispetto.
Ma l’autore fa di più e ci ricorda che lo spagnolo aceite deriva da una voce araba che sta per succo di olive. Bello, no?

La seconda informazione è la somma esatta delle cultivar di ulivo catalogate in Italia.
Sono cinquecentotrentotto, a riprova dello straordinario patrimonio agro-alimentare della penisola italiana.

Da parte mia, non posso che cantare nel coro, ribadendo quanto la cucina sia una cucina dei microclimi.
Terza informazione: l’ultimo giudice della qualità è il consumatore. Non nel senso che debba godere di esenzioni e privilegi speciali (magari gli stessi sbandierati da altre categorie che vogliono esercitare la propria influenza) ma piuttosto in quello di destinatario dei prodotti e dei servizi, investito della responsabilità di scegliere.
Certo, il cliente va informato, magari anche convinto, forse blandito, ma tali sforzi devono essere fatti sempre con la massima chiarezza, direi addirittura schiettezza.

Il bello e il buono, l’estetica e l’etica, il contenuto e il contenitore così come la forma e la materia non sono che facce della stessa medaglia.

Il cibo è linguaggio, uno dei tanti a disposizione, e bisogna conoscerne la grammatica, la sintassi e la letteratura in modo da capirlo in tutte le sue diverse sfaccettature e declinazioni.

E veniamo all’olio, al mio personale punto di vista su questo splendido condimento.
Io vengo dalla cultura del burro, da quel meridiano e quindi preferisco l’olio a crudo e il burro sia crudo sia cotto.
Del burro m’innamora la dolcezza e la sua gentilezza nel dirmi esattamente il punto di cottura di una carne o di un pesce, quando, cioè, schiuma e da biondo diventa color nocciola chiaro. Allora, solo allora, eliminandosi il siero del latte, so di non aver intaccato troppo la carne o il pesce che ho messo a cuocere.
E siccome faccio una cucina dolce preferisco gli oli dolci.
Altre cucine saranno, giustamente, interessate all’olio che si produce in quel determinato microclima.

Anni fa, ricordo che un grande tecnico mi disse che l’olio ligure poteva temere solo la concorrenza qualitativa dell’olio pugliese.
Lo voglio dolce, l’olio, perché deve solo ungere, stare insieme e non stare sopra, evitando di conferire anche ad un’insalata un sapore dominante.
L’eccezione è rappresentata da pane e olio: lì vanno bene tutti gli oli, purché buoni e corrispondenti al proprio gusto personale.
All’olio non serve nulla, neanche il sale.

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