Saperi

Ein unmusikalischer Mann

Narrazioni. Il suo nome è Ulrich von Günther. Ebreo tedesco, nobile, fuggito dalla Russia all’epoca della Rivoluzione, studi a Parigi, lavoro a Stoccarda e in seguito in Italia, in Toscana, sua patria elettiva. Un ingegnere meccanico. Le donne, il minimo indispensabile. Il sesso, non al centro dei suoi interessi. Non essendo confluito in nessuna donna, l’amore si era spostato sulla meccanica

Mariapia Frigerio

Ein unmusikalischer Mann

Ulrich von Günther era entrato nella loro vita così, per caso. Daniele Bellucci se lo era trovato accanto a un pranzo di lavoro.

Lì avevano chiacchierato. Lì aveva saputo di lui. Un ebreo tedesco, nobile, fuggito dalla Russia all’epoca della Rivoluzione, studi a Parigi, lavoro a Stoccarda, giunto in Italia come ingegnere meccanico. E la meccanica era, infatti, la sua fissazione. Oltre all’altra. Il terrore che, non avendo figli, il suo nome (e di un nome importante si trattava) sarebbe, prima o poi, morto con lui.

Si erano visti altre volte, col Bellucci, negli anni a seguire. Infine, dopo la pensione, l’assurda richiesta: essere adottato.

Il mite Daniele si era messo nei panni del vecchio barone solo. Aveva pensato che la sua casa era sufficiente per accogliere quella persona così dignitosa che in cambio di un po’ di compagnia avrebbe lasciato le sue poche cose, ma tanti ricordi, e quel nome di prestigio alla sua famiglia. C’era, dopotutto, la camera di Luisa che, da quando se n’era andata, non era stata più rimpiazzata da nessun’altra domestica.

«Me l’ha chiesto lui. No, Dora, non è stata un’idea mia. Poi è disposto a darci tutta la sua pensione purché lo si tenga con noi» aveva detto alla moglie.

Fu indetta una specie di riunione di famiglia.

«Che m’importa di quel cognome? Poi con il nome che ho! Massimiliano von Günther Bellucci. Roba da matti. Figuriamoci se la Franca sarebbe disposta a ridicolizzare così i suoi figli…» disse il primogenito.

«Ma se non siete ancora sposati?» ribatté Clotilde.

«Già, ma ci sposeremo presto e i figli arriveranno… senza contare l’azienda. Le grane dal notaio per il cambio del nome».

«E tu che ne dici Clotilde?» chiese il padre alla figlia giovinetta.

«Io… io… sarei felice di avere un nonno!».

«E il mio piccolino, avrà anche lui un parere o no?» disse Dora sorridendo a Corrado.

«Sì, voglio anch’io un nonno come Clotilde e poi Ulrich gioca sempre a carte con me, quando viene qui a cena.»

«Dora, ma allora mi sembra di capire che anche tu sei d’accordo…».

«Ci ho pensato tutta la notte… poi mi sono detta che il barone è un vero signore e che anche ai ragazzi non può che far bene una compagnia del genere.».

«Ma guarda la mia savoiarda… la mia piemontese doc… la mia Dora Ferrero che si commuove! E io che ho passato la notte nel terrore di un tuo rifiuto…».

Fu così che Ulrich von Günther si stabilì dai Bellucci.

Come già Daniele e Dora avevano ben capito, il barone era un vero signore e la sua permanenza nella nuova famiglia fu gradita a tutti. Anche a Massimiliano che, ferreo nel proposito di non ereditarne il cognome, aveva iniziato ad apprezzarne la compagnia garbata.

Da parte sua il barone sapeva muoversi da vero ospite: ospite era lui, ma i Bellucci erano, allo stesso tempo, ospiti nel suo mondo.

I discorsi a tavola – soprattutto la sera – si allargavano a terre e genti estranee alla vita della famiglia italiana. La Russia prima della Rivoluzione con i privilegi di persone come lui nate ‘dalla parte giusta’. L’avventura, adolescente, della fuga a Parigi. La vita nella Ville Lumière, i suoi studi. La Germania poi: le sue prime pratiche di ingegnere nell’industriale Stoccarda. Infine il trasferimento per lavoro in Italia, in Toscana, sua patria elettiva. Da buon tedesco l’amore per l’Italia l’aveva nel sangue.

Donne il minimo indispensabile. Il sesso non era al centro dei suoi interessi. Di più forse l’amore ma, non avendo incontrato la persona giusta, nessun matrimonio.

Un amore che non essendo confluito in nessuna donna si era spostato sulla meccanica. Così terminato il pranzo o la cena, dopo aver aiutato Dora a risistemare la cucina, e aver pronunciato la frase di rito: «Liebe Dora, darf ich weg oder brauchst du noch Hilfe,Cara Dora, posso andare o serve ancora qualcosa?» si ritirava in una piccola parte della cantina che gli era stata assegnata da Daniele per i suoi amori: quelle ruote dentate, quelle stadere, quelle pompe centrifughe, quei pistoni intorno ai quali trafficava in modo incomprensibile ai membri della famiglia Bellucci.

Clotilde invece no. Clotilde lo capiva… o avrebbe voluto capirlo, se con una certa frequenza bussava alla porta della cantina per stare un po’ da sola con lui.

«Herein, meine süße Clotilde, mein liebes Mädel. Avanti, mia dolce Clotilde, mia amata giovinetta» e la conduceva nei suoi segreti.

«Tra non molto dovrai prendere la patente».

«Tra un anno esatto avrò diciott’anni».

«Allora seguimi… li vedi questi? Sono pistoni. Pistoni che servono indistintamente per il motore a scoppio e per quello diesel. Diversa però è la dinamica. Nel motore a scoppio i tempi sono quattro e sono: aspirazione, compressione, scoppio, scarico».

«E nell’altro?».

«Nel diesel? Sempre quattro tempi: aspirazione, compressione, ma non scoppio… combustione… combustione e scarico».

A Clotilde piaceva ascoltarlo, ma avrebbe voluto sapere di più di lui. Decisamente gli sarebbe interessata maggiormente la vita privata di Ulrich piuttosto che le sue conoscenze meccaniche.

Un giorno proprio non riuscì a trattenersi e in modo diretto glielo chiese: «Perché, Ulrich, non ti sei mai sposato? Perché non hai pensato ad avere dei figli per lasciar loro il tuo cognome?».

«Mi sembra così giusto per te… Clotilde von Günther Bellucci… mi sembra perfetto. Che bisogno avevo di figli?».

«Vada per i figli, ma perché non una moglie? Dovevi essere un bell’uomo da giovane. Io non riuscirei a pensare la mia vita senza amore. Senza patente sì, ma non senza amore…».

«Sei saggia, Clotilde. Giovane e saggia. Io no. Io sono vecchio e, come dite voi, coglione».

«No… no, Ulrich, non ti volevo offendere. Solo… solo credo che accarezzare una donna sia meglio che accarezzare dei pistoni».

«E credi che non lo sappia? Pensi che non abbia mai provato quello che tu chiami “amore”. Sì, anche il vecchio Ulrich l’ha provato… eccome se l’ha provato! Ma vedi, ho sempre avuto, per gli amori le azioni in differita rispetto al mio pensiero, al mio desiderio. Sono sempre arrivato o troppo presto o troppo tardi. Sempre prima o sempre dopo. Mai a tempo. Ich bin ein musikalischer Mann. Sono un uomo stonato. Stonato in amore e, forse, anche nella vita. Mai il tempo giusto… Questa è la verità, Clotilde. La mia amara verità».

Lucca, 16 aprile 2010

La foto di apertura è di Mariapia Frigerio

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