Saperi

Gli occhi aperti

I ricordi che affiorano a distanza di venticinque anni dal conflitto nella ex Jugoslavia nel racconto del regista autore di un cortometraggio ambientato nei luoghi della guerra. L’incontro con lo sceneggiatore Abdulah Sidran, sguardo fiero e giacca a vento sfregiata da piccoli dignitosi rammendi, e la storia terribile del tunnel che attraversava Sarajevo, dove ci si infilava al buio, verso il nulla, mentre sopra bombardavano

Angelo Ruta

Gli occhi aperti

In questi giorni si torna a parlare di Jugoslavia, perché sono passati venticinque anni dall’inizio del conflitto che ha riportato la guerra in Europa.
Di colpo si riaffaccia alla memoria lo sgomento nel vedere quell’orrore per la prima volta in diretta, attraverso la televisione e i giornali. E inevitabilmente il mio pensiero corre anche alla realizzazione di un cortometraggio, “Gli occhi aperti”, che nei luoghi di quella guerra era ambientato e di cui rifletteva contraddizioni e disagio.


Ero appena uscito dalla Scuola del Cinema e non fu difficile trovare dei complici senza la cui generosa disponibilità – ieri come oggi – è impossibile realizzare un film indipendente (corto o lungo che sia).
Un’amica in particolare mi mise in contatto con una giovane donna serba, Marina, che da allora non ho più rivisto: lei mi ha prestato occhi e orecchie per dare vita a personaggi che non conoscevo e luoghi dove non ero mai stato. Ma il suo più grande regalo è stato quello di farmi incontrare Abdulah Sidran; era di passaggio a Milano e fu invitato a tenere una lezione alla Scuola del Cinema. Marina faceva da interprete e io da autista.


Sidran è lo sceneggiatore di due film che mi hanno profondamente influenzato. Si tratta di “Papà?… è in viaggio d’affari” e “Ti ricordi di Dolli Bell?” (entrambi diretti da un giovane Kusturica). Per il primo ha ottenuto una candidatura al Premio Oscar come miglior sceneggiatura.


Sidran era rimasto a Sarajevo dall’inizio alla fine della guerra, anche nei lunghi anni dell’assedio. Aveva uno sguardo fiero e una giacca a vento sfregiata da piccoli dignitosi rammendi. Non parlava. Dal finestrino guardava stupito i cartelloni pubblicitari e le luci di una città tutto sommato ancora da bere.


Della lezione che tenne a Scuola non ricordo una parola. Avrà parlato di cinema, di guerra e dell’amicizia finita con Kusturica; forse anche dell’opera a cui teneva di più, la sceneggiatura de “Il ponte sulla Drina” tratta dall’epico romanzo di Ivo Andric.


Ricordo invece quello che disse dopo, in macchina, mentre lo accompagnavamo in albergo. Ci raccontò del tunnel. Nei quasi quattro anni di assedio, a Sarajevo, fu scavato un tunnel sotto terra attraverso cui era possibile superare l’accerchiamento serbo e sbucare nell’area neutrale protetta dalle Nazioni Unite.

Il tunnel era lungo quasi un chilometro, largo ottanta centimetri, alto più o meno un metro e mezzo (non ci si stava in piedi, insomma). Ci si infilava al buio, mentre di sopra bombardavano.
In quel buio si camminava verso il nulla, piegati o a carponi. Senza fermarsi, senza poter tornare indietro. 
Si camminava con la sola speranza di trovare dall’altra parte qualcosa che non fosse la guerra.

GUARDA IL CORTOMETRAGGIO “GLI OCCHI APERTI”

Goran è un bambino visionario, che una troupe di giornalisti italiani trova al rientro da un reportage di guerra sui Balcani, durante il conflitto che tra il 1989 e il 1996 ha visto frantumarsi la Jugoslavia. Il bambino assiste a misteriose apparizioni della Madonna nel luogo in cui hanno ucciso i suoi genitori e bruciato la sua casa; e i giornalisti lo convincono a filmare in diretta il miracolo.

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