Saperi

Gli sguardi di Angelo e Karol

Un 27 aprile 2014 che resterà impresso nelle coscienze di molti. La contemporanea canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, è un segnale di incoraggiamento per un’epoca che ha smarrito la fede. L’omaggio ai due pontefici attraverso la loro visione del mondo agricolo

Olio Officina

Gli sguardi di Angelo e Karol

Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, da tutti conosciuto come il «papa buono», lo si ricorda per essere stato un pastore premuroso che ricorreva a parole semplici. Era nato in una famiglia di contadini. La sua fondamentale intuizione storica fu la convocazione del Concilio Vaticano II.

Giovanni Paolo II, al secolo Karol Józef Wojtyla, ha guidato la Chiesa nel nuovo millennio e la sua figura è considerata tra le più significative e influenti della storia contemporanea. E’ stato un uomo che ha avvicinato tante genti, incontrandole ovunque nel mondo, cercando sempre il dialogo con le altre confessioni.

Entrambi hanno lasciato un’impronta di santità. Noi vogliamo ricordarli attraverso alcune loro parole con cui si sono soffermati su aspetti concernenti il mondo agricolo.

Papa Giovanni Paolo II ha scritto l’enciclica Laborem exercens, in cui si sofferma sul duro lavoro nelle campagne. “Il lavoro dei campi – scrive – conosce non lievi difficoltà, quali lo sforzo fisico continuo e talvolta estenuante, lo scarso apprezzamento, con cui è socialmente considerato, al punto da creare presso gli uomini dell’agricoltura il sentimento di essere socialmente degli emarginati, e da accelerare in essi il fenomeno della fuga in massa dalla campagna verso le città e purtroppo verso condizioni di vita ancor più disumanizzanti. Si aggiungano la mancanza di adeguata formazione professionale e di attrezzi appropriati, un certo individualismo serpeggiante ed anche situazioni obiettivamente ingiuste. In taluni Paesi in via di sviluppo, milioni di uomini sono costretti a coltivare i terreni di altri e vengono sfruttati dai latifondisti senza la speranza di poter mai accedere al possesso neanche di un minimo pezzo di terra in proprio. Mancano forme di tutela legale per la persona del lavoratore agricolo e per la sua famiglia in caso di vecchiaia, di malattia o di mancanza di lavoro. Lunghe giornate di duro lavoro fisico vengono miseramente pagate. Terreni coltivabili vengono lasciati abbandonati dai proprietari. titoli legali al possesso di un piccolo terreno, coltivato in proprio da anni, vengono trascurati o rimangono senza difesa di fronte alla fame di terra di individui o di gruppi più potenti. Ma anche nei Paesi economicamente sviluppati, dove la ricerca scientifica, le conquiste tecnologiche o la politica dello Stato hanno portato l’agricoltura ad un livello molto avanzato, il diritto al lavoro può essere leso quando si nega al contadino la facoltà di partecipare alle scelte decisionali concernenti le sue prestazioni lavorative, o quando viene negato il diritto alla libera associazione in vista della giusta promozione sociale, culturale ed economica del lavoratore agricolo. In molte situazioni sono dunque necessari cambiamenti radicali ed urgenti per ridare all’agricoltura – ed agli uomini dei campi – il giusto valore come base di una sana economia, nell’insieme dello sviluppo della comunità sociale. Perciò occorre proclamare e promuovere la dignità del lavoro, di ogni lavoro, e specialmente del lavoro agricolo, nel quale l’uomo in modo tanto eloquente soggioga la terra ricevuta in dono da Dio ed afferma il suo dominio nel mondo visibile”.

Anche Papa Giovanni XXIII ebbe occasione più volte di soffermarsi sull’agricoltura, lui stesso figlio di contadini, nato a Sotto il Monte, nella frazione di Brusicco. Ha sempre ricordato a tutti, e con orgoglio, le sue umili origini contadine. In un discorso che tenne a dei fanciulli, disse: “vedete, bambini miei, queste pianure così ricche? Sono i figli di San Benedetto, venuti qui per primi dall’altro versante della montagna, che hanno insegnato ai nostri antenati, mille anni fa, a vangarle, a zapparle e a renderle feconde”.
Il ricordo della famiglia era sempre vivo in lui. La sua è stata una famiglia numerosa e povera,come tutte le famiglie contadine dell’epoca. “Io ho dimenticato molto di ciò che ho letto sui libri – scrisse ai suoi familiari il 20 dicembre 1932 – ma ricordo ancora benissimo tutto quello che ho appreso dai genitori e dai vecchi. Per questo non cesso di amare Sotto il Monte, e godo di tornarvi ogni anno. Ambiente semplice, ma pieno di buoni principii, di profondi ricordi, di insegnamenti preziosi”.

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