Saperi

I conti senza l’oste di ambientalisti radicali, animalisti e vegani

Si diffondono strane teorie in questi tempi di grande decadenza culturale. Ci sono per esempio coloro che puntano a decarbonare l’agricoltura, anche se poi commettono la leggerezza di non considerare tutte le incongruenze che ne derivano. E nemmeno si prende in considerazione un indistruttibile paradigma: la “terra è bassa” e non tutti vogliono lavorare in campagna, soprattutto con logiche e metodi ispirati a un passato senza tecnologie e diritti

Alberto Guidorzi

I conti senza l’oste di ambientalisti radicali, animalisti e vegani

Ormai Carducci è demodé, ma potrebbe tornare di moda se si ritornasse ad un modello di agricoltura fondata sulla trazione animale al fine di decarbonarla e sulla quale tanto oggi si vagheggia. Il poeta la descriveva liricamente già nell’autunno 1872, nelle prime due strofe della poesia “Il bove”.

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento

Di vigore e di pace al cor m’infondi,

O che solenne come un monumento

Tu guardi i campi liberi e fecondi,

O che al giogo inchinandoti contento

L’agil opra de l’uom grave secondi:

Ei t’esorta e ti punge, e tu co ’l lento

Giro de’ pazïenti occhi rispondi.

Facciamo, però, parlare i numeri e non la poesia

Se volessimo seguire la moda di decarbonare l’agricoltura dovremmo riflettere sugli scritti del francese Jean Marc Jancovici dal titolo Combien suis je un esclavagiste?. Egli immagina di tornare alla trazione animale e prefigura, semplificando, di usare nell’agricoltura francese solo cavalli da tiro.

Egli parte dalla seguente calcolo ipotetico: “per produrre il nutrimento oggi consumato dai francesi, cioè 65 milioni di persone a regime alimentare immutato e privati totalmente di energia fissile e fossile, occorrerebbe una popolazione agricola transalpina di 1,8 miliardi di persone”.

Essendo un calcolo ipotetico ripetiamo il calcolo per altra via: seammettiamo che l’equivalenza tra lavoro del cavallo e quello dell’uomo sia di 1:10e prendiamo per buona la stima della dotazione attuale dell’agricoltura francese in “cavalli vapore o CV” data dai motori a scoppio esistenti, ossia pari a 120 milioni di CV, si arriva a formulare un bisogno di 120 milioni di cavalli (Equus caballus); datoquesto non lontano dal calcolo precedente(1800 milioni di persone diviso 10 = 180 milioni).

Si ricorda che fu proprio Watt, all’inizio del XIX secolo, che per volgarizzare la potenza della macchina a vapore paragonò la potenza di questa al numero di cavalli sostituiti; da cui appunto il “cavallo vapore”.

Non si piò dimenticare, però, che un cavallo mangia, specialmente se lavora, e quindi dobbiamo prefigurare la superficie necessaria che dovrà produrre il nutrimento per un cavallo.

Sempre per semplicità immaginiamo che il cavallo mangi solo erba, ma noi ben sappiamo che in realtà esso deve mangiare anche cereali, in particolare avena (la Francia a fine ‘800 coltivava 1 milione di ettari di avena). In particolare, se partiamo dai 120 milioni di cavalli e consideriamo che ogni cavallo ha bisogno di un ettaro di erba,se ne deduce facilmente che occorrerebbero120 milioni di ettari di prati. Solo che la SAU della Francia è 29 milioni di ettari (comprese le coltivazioni ed i pascoli)e quindi occorrerebbe quadruplicare la SAU prima detta per sostituire i trattori con i cavalli, ma qui si incorre in un limite fisico, perché in Francia vi sono solo (sic!) 64 milioni di ettari comprese le foreste. In altri termini anche disboscando tutti i 17 milioni di ettari di foreste per farli divenire pascoli non si raggiungerebbe l’obiettivo.

Per inciso, è bene sapere che nel 19° secolo la silvicoltura francese aveva raggiunto il minimo della sua superficie storica e che in 150 anni essa è raddoppiata proprio grazie al superamento dell’agricoltura di sussistenza, caratterizzata appunto dalla sola forza animale.

Ipotizziamo ora che i calcoli mostrati prima siano prefigurazioni eccessive

Pertanto, per riportare le cose su una base più verosimile, dividiamo per 4, circa, l’ipotesi iniziale di 1800 milioni e fissiamo a “solo” 500 milioni il bisogno in esseri umani(che evidentemente debbono avere la condizione di schiavi, altrimenti a lavorare in campagna non ci andranno proprio!).

Tuttavia, l’equivalenza di prima, cioè che “un cavallo può fare il lavoro di 10 schiavi”, non cambia e quindi se ne può dedurre che se non vogliamo essere schiavisti occorre dotarsi di 50 milioni di cavalli da tiro (500 milioni di schiavi divisi per 10). Ammettiamo che il dato sia ancora inverosimile, seppure congruente all’ipotesi, e quindi dividiamo ancora per 10 e fissiamo il bisogno a 5 milioni di cavalli con conseguenti 5 milioni di ettari di pascolo per nutrirli.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che questi 5 milioni di ettari sono da inserire nella realtà attuale e di conseguenza vanno distrutti 5 milioni di ettari di foresta (1/3 della superficie attuale) per trasformarli in pascoli (cosa direbbero i comitati della “Laudato sii”, così tanto cari al Papa?). A queste considerazioni che scaturiscono dai numeri, se ne aggiungono però ben altre, qui di seguito riassunte:

  • Il cavallo non è autonomo, occorre allevarlo, nutrirlo, curarlo, addestrarlo, equipaggiarlo e condurlo. Quindi una o due persone per cavallo saranno impegnate (diciamo 6/7 milioni di cavallanti?), solo che questi operai bisognerà pagarli molto poco perché altrimenti il cibo rincarerebbe troppo. Ebbene solo una feroce dittatura tipo le Comuni di Mao o i Kmer rossi potrebbe mandare nei campi una tale folla di persone.
  • Un cavallo non possiede una presa di forza, lavora solo se cammina.
  • Si può chiedere al cavallo di lavorare solo qualche ora al giorno e non 16 ore come può necessitare di far fare ad un trattore quando vi sono urgenze nei raccolti.
  • Il combustibile che il cavallo brucia lavorando occorre produrlo in azienda; non si può comprare alla pompa.
  • Il cavallo deve essere presente in ogni azienda perché se gli si fa fare dei chilometri prima che cominci a lavorare arriva già affaticato. Per un trattore è il contrario e, inoltre, le velocità di avanzamento sono diverse.
  • Se l’esempio fatto sui cavalli lo facciamo con altri animali da tiro, lo scenario non cambia.
  • Infine, qui ci siamo dimenticati di conteggiare i trasporti extra aziendali, che nell’agricoltura di sussistenza erano di norma a traino animale.

In conclusione, dunque, i “decarbonatori” non ci danno una soluzione realistica, perché non si dispone della superficie necessaria; non solo, ma essi si limiterebbero eventualmente a decarbonare solo il 5% dell’energia fossile o fissile.

Attenzione, però, perché a sostegno interverrebbero i vegani, vegetaliani, vegetariani e compagnia bella. Infatti, loro dicono che l’80% della superficie produttiva francese è già assegnata per l’allevamento animale (dato molto sopravvalutato, a dire il vero) e, quindi, se noi smettiamo di mangiare prodotti animali, ecco che troviamo gli ettari per allevare tutti i cavalli necessari, ossia circa 18 milioni di ettari, ma essendo bisognevoli di solo 5, gli altri 13 milioni restanti sarebbero disponibili per produrre vegetali alimentari con buona pace di tutta la categoria.

Chiediamoci ora se così taciteremmo tutte le frange ambientaliste esistenti. Purtroppo, no, perché subentrerebbero gli animalisti (quelli del benessere animale e dei diritti degli animali) che insorgerebbero di sicuro contro la “schiavizzazione” dei cavalli nei lavori agricoli. D’altronde l’ineffabile Michela Vittoria Brambilla, e la sua Lega per la difesa degli animali e dell’ambiente, ha già anticipato che il cavallo deve avere per legge uno statuto speciale, al punto da farlo divenire unicamente un “animale d’affezione”.

Senza arrivare a queste iperboliche ricostruzioni, potremmo solo soffermarci a ciò che propone il filosofo franco-svizzero Dominique Bourg: per decarbonare l’agricoltura, egli prefigura un ritorno alla forza muscolare umana ed animale, e immagina il ritorno alla campagna di un 15-30% della popolazione.

Sempre riferendoci all’agricoltura francese, significa passare in una generazione dagli 885.000 agricoltori attuali ai 4,3/7,2 milioni auspicati. Tuttavia, per mostrare a questi “sognatori” a quale scenario si troverebbero di fronte, si riporta quanto è accaduto, sempre in Francia, quando durante la fase acuta del confinamento Covid il Ministero dell’agricoltura transalpino lanciò la piattaforma “braccia per il tuo piatto”, con l’intento di reclutare 300.000 persone per un impiego stagionale in agricoltura. A consuntivo, il risultato fu il seguente: su 240.000 candidati solo 3.000 hanno onorato il contratto; infatti un agricoltore riferisce che su 20 candidati contattati se ne sono presentati dieci e solo tre hanno finito la settimana… ma poi non sono più tornati! Anche loro si sono accorti che la “terra è bassa”, come mi diceva mio nonno! Da tutto ciò, però, traggo la profonda convinzione che la decarbonizzazione del pianeta, da tanti auspicata e voluta sotto la spinta di una schiera di più o meno interessati novelli profeti, non la si potrà fare in regime democratico, ma solo con regimi autoritari se non dittatoriali. Le persone che vivono una vita già comoda non vi rinunceranno di loro spontanea volontà, mentre quelli che oggi sono in condizioni di scomodità non si adatteranno a perennizzarla.

In apertura, un’opera di Venturino Venturi (1918-2002), “Maschere”, esposta al “Museo della Follia”, Lucca, 2019, mostra a cura di Vittorio Sgarbi. Foto di Luigi Caricato ©

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