Saperi

Il 1° novembre 1993 entrò in vigore il Trattato sull’Unione Europea

Era stato adottato il 7 febbraio 1992 in una cittadina olandese, Maastricht. Un nome iscritto nel museo della memoria europea come il vertice che mise le basi dell'Unione monetaria, fissandone la data di nascita al 1° gennaio 1999 e definendo i famigerati parametri in materia di conti pubblici. Da allora non si è ancora trovato il coraggio di accogliere la sfida della Storia e modificare il Trattato

Alfonso Pascale

Il 1° novembre 1993 entrò in vigore il Trattato sull’Unione Europea

Il tutto era iniziato il 9 novembre 1989, quando sotto le macerie del Muro di Berlino che divideva la Germania in due, veniva seppellito l’ordine geopolitico della guerra fredda e della divisione del mondo in sfere d’influenza e si teneva a battesimo la globalizzazione che oggi conosciamo.

Il 3 ottobre 1990 la Germania si era riunificata. E il precipitare degli eventi aveva indotto gli Stati a prebdere una scorciatoia. Prima ancora di raggiungere – come era normale che accadesse – una convergenza delle economie dei Paesi membri , cioè un andamento sempre più simile della produttività e della capacità di competere, si perveniva all’istituzione della moneta unica senza portare a compimento l’Unione economico-monetaria e senza mai avviare la realizzazione dell’Unione politica.

Fu in quegli anni che si è fatta la Storia europea con il coinvolgimento attivo ed esplicito delle nazioni che erano state protagoniste nella seconda guerra mondiale. E si trattò di un coinvolgimento politico e strategico non indolore.

Nikita Chruscev era stato molto chiaro quando era al potere dell’impero sovietico: “La frontiera delle due Germanie è una frontiera che è stata tracciata con la guerra e solo una guerra potrebbe cambiarla”.

La Russia di Corbacev, invece, non oppose alcuna resistenza. Nessuna guerra fu minacciata. Gli USA parteciparono in prima persona, attraverso il suo Segretario di Stato James Baker al processo storico, negoziando direttamente – sia per la riunificazione/annessione sia per la successiva adesione alla NATO della nuova Germania riunificata – i passi del nuovo assetto dell’area, strategico per l’intero occidente.

Furono innanzitutto i governi degli Stati membri dell’allora Comunità Europea a non raccogliere completamente la sfida della Storia.

Il 30 settembre 1991, nel corso di una riunione dei dodici ministri degli esteri dei dodici Paesi membri convocatisi per discutere del nuovo Trattato, la proposta della presidenza di turno, l’Olanda, di comunitarizzare oltre che la moneta, anche la politica estera, la difesa e la giustizia ricevette solo due voti: Olanda e Belgio. La Germania si schierò con la Francia. L’Italia si adeguò.

Cosa era accaduto nei mesi di faticosi incontri e discussioni? Era intervenuta una serie interminabile di contorcimenti, sotto gli occhi increduli di Russia e America, stupiti che gli Europei stavano mancando l’appuntamento a cui avevano dedicato anni ed anni di faticoso cammino (dal famoso discorso a Parigi di Robert Schuman il 9 maggio 1950). Sta di fatto che ad una apertura della Germania di Helmut Kohl, pronto a mettere a disposizione l’abolizione del marco e anche l’opzione della Unione politica, la Francia di François Mitterrand preferì mantenere nazionalizzate tutte le politiche strategiche (Difesa, Esteri, Fiscalità comune, Debito sovrano europeo), illudendosi che la sola “moneta unica” (con la soppressione del marco) avrebbe potuto reggere la sfida della navigazione in mare aperto della sorgente globalizzazione dell’economia e della rivoluzione digitale.

Nell’insieme si era verificato anche un circuito – piuttosto usuale nella storia europea – di scarsa fiducia vicendevole: la Germania, ad esempio procedette al riconoscimento unilaterale della indipendenza della Slovenia e della Croazia, innescando la guerra in Jugoslavia; anche il Vaticano fece la sua parte: all’inizio della crisi dello Stato jugoslavo, il papa polacco aveva attivamente favorito la secessione della Croazia cattolica a scapito della Serbia ortodossa.

A seguire alcuni colpi di coda: la Germania, non avendo comunitarizzato la politica economica, pretese i “parametri di Maastricht”, per vincolare i bilanci nazionali a rigorose regole di austerità; la Gran Bretagna aggiunse (as usual) il suo veto a qualsiasi “politica sociale europea”.

Fu allora introdotta la differenziazione dei metodi decisionali per le diverse comptenze dell’Unione. Una differenziazione che nel tempo ha portato ad una condizione di forte differenziazione tra gli Stati membri – e tra essi e il livello unionale – alimentata proprio dal metodo decisionale adottato. È sotto gli occhi di tutti, ancora oggi, la farraginosità e l’incongruenza del sistema di governance dell’Unione causate, tra l’altro, dal metodo decisionale inaugurato nel 1993. Ma a distanza di 27 anni non si è ancora trovato il coraggio di modificare il Trattato e introdurre la necessaria riforma istituzionale, raccogliendo finalmente la sfida della Storia.

In apertura, “Assembramenti”, dell’artista Cristina Mangini, pastello su carta, 2020 ©

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