Saperi

Il gabbiano

Narrazioni. Un pezzo del mare di Sicilia, stretto fra due lembi di terra, davanti una linea d’infinito. Onde che si ripetono come se portassero messaggi di speranza, come se ti dicessero di stare tranquillo, niente cambierà. In alto, un gabbiano che vola e sembra assaporare e godere del suo volo silenzioso e del silenzio che lo circonda, senza confini. Non bisogna mai dimenticare ciò che abbiamo dentro. La libertà è una sensazione meravigliosa che tutti rincorrono, cercano e vorrebbero, almeno per un attimo

Massimo Cocchi

Il gabbiano

Massimo… Massimo…

Su una poltrona in terrazza, guardo un pezzo del mare di Sicilia, stretto fra due lembi di terra, davanti una linea d’infinito, non so cosa c’è oltre, puoi pensare a qualunque cosa, buona o cattiva che sia, non si vede nulla fra mare e cielo, solo il colore di un mare che non sarebbe possibile dipingere, vedo onde che si ripetono come se portassero messaggi di speranza, come se ti dicessero di stare tranquillo, niente cambierà.

Onde come una nenia d’acqua.

Massimo… Massimo…

Cerco con lo sguardo attorno a me ma non vedo niente, non riesco ad identificare la voce né la provenienza.

Alzo gli occhi al cielo, l’unico spazio che non ho esplorato e lo vedo, un gabbiano, un gabbiano che vola e sembra assaporare e godere del suo volo silenzioso e del silenzio che lo circonda, senza confini.

Il suo volo, un su e giù dal cielo, un cielo che si confonde con l’acqua, disegna con impareggiabie eleganza forme improbabili per l’uomo.

Le sue ali, un volo libero.

Mentre lo osservo sento di nuovo il mio nome,

Massimo… Massimo…

sta chiamando proprio me, incredibile, e lo guardo con un atteggiamento di sorpresa, più che sorpresa di stupore.

Chi sei?, gli chiedo.

Sono Gull, il gabbiano, non mi riconosci?

Fessuro gli occhi per vedere più nitidamente ma non sovviene nulla alla memoria, mi sembra un gabbiano come tanti ma si chiama Gull, quindi non è un gabbiano qualunque.

Non ho risolto il fatto che mi chiama per nome e ciò mi incuriosisce, allora lo fisso negli occhi e gli chiedo, dovrei conoscerti?

Gull si gira, mi guarda e…

Beh, ne sono passati di anni, siamo invecchiati ma io ti ricordo.

Aiutami Gull, non si è ancora fatta luce nel mio ricordo.

Lo capisco, noi eravamo tanti e volavamo seguendo la barca, tu ci davi da mangiare, io ti vedevo e ora ti riconosco.

Ti osservavo mentre gettavi con le mani pugni di buon cibo, non gli scarti che l’uomo normalmente ci riserva, e noi intrecciavamo il nostro volo per raccoglierlo nel becco.

Ma ora siamo molto lontani, cosa fai Gull in questo cielo?

Quello che fai tu, mi risponde Gull, in questo paesino di Sicilia.

E’ la vita, il destino…

Era molto tempo che ti cercavo ma non ti trovavo più sul mare a darci da mangiare.

Abbiamo vissuto tanti anni nel nostro mare, un po’ sabbioso, un po’ grigio a volte, ma anche lui aveva momenti di splendenti colori, era il nostro mare e non l’ho dimenticato.

Non bisogna mai dimenticare ciò che abbiamo dentro.

Anche tu, sono convinto, che ti ricordi di tutto.

Le scorazzate con Pirro verso Venezia, quella piccola bimba, Chicca mi sembra che si chiami, scommetto che a volte non ti ricordi neppure il suo vero nome, le partite a carte nelle osterie dei porticcioli, le secche dove si arenava la barca, ti ricordi quella volta che nella sacca di Scardovari tiravi la barca per rimuoverla dalla sabbia?

Sembravi Humphrey Bogart nella “Regina d’Africa”, mi facevi morire dal ridere.

Ti vedevo, come ora, ti sorvegliavo per avvisarti in caso di pericolo, non si dimentica chi ti ha dato da mangiare.

Ma allora Gull, sei mio amico!

Certamente, tu non mi hai riconosciuto ma io ti ho sempre seguito e protetto.

Ma dimmi Gull, dove sono tutti i tuoi compagni, gli amici, come mai sei solo?

Anche tu sei solo, è per questo che ti ho chiamato.

Ma, Gull, posso ancora fare qualcosa per te, hai bisogno di cibo, non so, qualunque cosa.

No, non ho bisogno di nulla adesso e posso parlarti proprio perché sono solo, siamo soli, e in questa meravigliosa tavolozza di colori che disegna il tramonto.

Beh, tutto sommato abbiamo avuto una bella vita, come te anch’io ho avuto i miei lutti, i miei amori, i figli.

Ma dimmi Gull, qual è la cosa che più hai amato nella vita?

La libertà, mi risponde Gull d’un fiato, senza esitare.

Mi fai una domanda difficile, caro Massimo.

La libertà è una sensazione meravigliosa che tutti rincorrono, cercano e vorrebbero, almeno per un attimo.

Molti non la conoscono, anzi, quasi nessuno la conosce, non si può vivere in questa società pensando di essere liberi.

Essere liberi non è cosa facile, essere liberi significa scegliere il fare, essere liberi significa non cedere all’ipocrisia, essere liberi significa cercare sempre la verità, essere liberi significa amare il dono della vita anche quando sembra ostile, essere liberi significa ascoltare quella coscienza di cui tanto parli con i tuoi amici e che cercate di dimostrare come si forma… vedi, io so tutto… essere liberi significa addormentarsi sereni.

Questa è la libertà.

Già, Gull, ma tu non sei stato costretto a confrontarti con la complessità del cervello umano, con quei cervelli che impazziscono, con quei cervelli che vedono nella sofferenza degli altri e nel tradimento l’alleviarsi delle proprie pene.

E’ difficile parlare di libertà, qui, sulla terra.

Sai Gull, io ho provato a essere libero ma non ci sono mai riuscito fino in fondo.

Ho pagato ogni scelta di libertà con contrappesi che, a volte, rendevano molto difficile questa libertà che mi richiami.

Sai Massimo, la libertà è oltre quella visione d’orizzonte, laddove il cervello si apre alla mente e i pensieri volano senza ostacoli che non siano altro che quelli di fendere l’aria e andare sempre più in alto, là dove tu, adesso, non puoi vedere.

Chiudi gli occhi e pensa di essere oltre la visione d’orizzonte, ma cosa dico, io so che non ti è possibile vedere nulla perché sei ancora costretto sulla terra, tu non sei Gull, non puoi volare.

Aprii gli occhi che affannati guardavano il cielo alla disperata ricerca di Gull, ma non lo vedevo, solo mare e cielo che si sfumavano oltre.

Un sogno?

Il mio cervelo era pieno di quel mare e di quel cielo d’azzurro, la mia mente rincorreva i pensieri che sembravano onde di risacca, si formavano e si dissipavano.

Non vedevo più Gull!

Già, Gull, l’inganno, Gull vuol dire inganno, non solo gabbiano.

Come non ci avevo pensato?

Il mio amico Gull mi aveva abbandonato nella meravigliosa visione di mare e cielo che avevo davanti, sogno, miraggio, illusione?

Mi aveva lasciato con la sensazione di avere capito cosa era la libertà, ecco l’inganno, ma questo è sogno, quella condizione di coscienza incosciente, dove non esiste calcolo nello stupore ma la sorpresa di una bellezza infinita, già, avevo scritto con l’amico Fabio una dissertazione su questo concetto.

Quanto era vero quello che abbiamo scritto!

Mi alzai dalla poltrona e mi appoggiai al muretto della terrazza sul mare e guardai il cielo nella sua incredibile luce di Sicilia nel tempo d’Agosto, i colori di un sogno.

D’improvviso mi colsi ad osservare un punto scuro che si avvicinava in controluce, sempre più, allora sentii di nuovo una voce.

Massimo… sono Gull, credevi che ti avessi abbandonato?

Io ti aspetto e quando avrai imparato a volare ce ne andremo assieme e vedrai la libertà.

A PROPOSITO DEL RACCONTO “IL GABBIANO”, DI MASSIMO COCCHI

… è lo spazio che sembra conteso dal mare al cielo e viceversa, ma non appartiene né all’ uno né all’altro…
lo spazio dei bagliori e dei prodigi, dei dardi di Giove e del Mar Rosso che apre le sue acque a muraglia…
lo spazio in cui affondano i bianchi occhi i vaticinanti…
quello in cui di notte liberiamo i nostri aquiloni…
lo spazio dove la Grande Trasformista muta d’abito per il cambio- scena…
e dove la Paura dei gabbiani, solo col salire a colpi d’ala, si trasforma in Libertà…

Serena Hermann

La foto di apertura è di Massimo Cocchi

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