Saperi

Il giardino dei pomi

Non solo olivi. La capacità affabulatoria coinvolge altri alberi. Una collezione di alberi da frutto, provenienti per lo più da zone collinari e montane, dimostra che la biodiversità in campo agricolo derivava dall’istinto di sopravvivenza e ne era la teoria e la pratica

Nicola Dal Falco

Il giardino dei pomi

Città di Castello – La fioritura degli alberi da frutto a San Lorenzo, una vecchia pieve dell’alta val Tiberina, tra Umbria, Marche ed Emilia Romagna, è più lunga del solito. Inizia ai primi di marzo con i mandorli, prosegue verso la metà del mese con i susini, quindi con i ciliegi, i meli, i peri e, alla fine di aprile, con i meli cotogni.
Per ultima, tocca alla pera marzarola che fiorisce a maggio, si raccoglie a gennaio e come dice il nome si mangia a marzo, chiudendo il ciclo del frutto per riaprire simbolicamente quello del fiore sui rami.

Nulla di prodigioso se non fosse che la fioritura ininterrotta di queste piante avviene in un solo luogo, scelto per vocazione oltre cinquant’anni fa e custodito da allora con tenacia.
La storia, come vedremo, è una storia di famiglia, una faccenda tra padre, figlia e nipote.
Ma non c’è solo la bellezza cadenzata dello spettacolo dei colori e dei profumi, c’è anche il fatto che l’ordine di apparizione coinvolge centocinquanta varietà ritrovate.
Anzi, l’esistenza stessa di una tale collezione di alberi da frutto, provenienti perlopiù da zone collinari e montane, lungo il corso settentrionale del Tevere, dimostra che la biodiversità in campo agricolo derivava dall’istinto di sopravvivenza, ne era, per così dire, la teoria e la pratica.

La chiave della memoria e del passato è tutta qui: gli “antichi”, appena tre generazioni fa, cercavano e coltivavano quelle varietà che avrebbero potuto garantire il loro fabbisogno alimentare per un intero anno.
Questa dura legge aveva, però, come benevolo risvolto, la possibilità di assaporare Pomona in tutte le sue manifestazioni. L’elenco dei nomi corrispondenti, il loro fascino, può trasformare il computo di un arboreto rurale nell’immagine fiabesca di un giardino felice che cresca oltre le sette colline fatate e le sette cascate.

Dalla mela rossa dentro incarnato, imporporata come le gote di una donzella alla mela polsola che conveniva ai sani e agli ammalati così come per profumare la biancheria, alla mela a coppiola, fusa in due corpi – un’immagine potentemente femminile e materna – adatta allo svezzamento dei bambini.
Per non parlare della mela del castagno che un giorno si scelse un tronco amico, fu scoperta, apprezzata e condivisa tra i vicini per essere, poi, ritrovata poco tempo fa, a Mucignano, nel comune di Città di Castello.
La stessa capacità affabulatoria vale per le pere, dalla pera ghiacciola, pera estiva, capace di dissetare come un bicchier d’acqua alla pera sementina, il cui nome è rimasto lo stesso dai tempi di Lucio Giunio Moderato Columella che la cita proprio per la caratteristica di maturare nel tempo della semina e ancora alla pera volpina che più della forma ne ricorda il colore. Ma l’apoteosi, in tema di arguta concretezza, la riserva il fico permaloso, che accetta solo gesti delicati o il fico asinaccio, tutto muso e niente collo.

Un destino non è mai uguale all’altro, ma…

Un destino non è mai uguale all’altro, ma certe vicende, certe scelte, fondano qualcosa e hanno, quindi, il potere di durare nel tempo.
San Lorenzo e il suo frutteto collezione esistono perché sono stati l’approdo di una vita, quella di Livio Dalla Ragione che, nei suoi vent’anni è diventato prima partigiano, fondando insieme a pochi altri la Brigata d’urto proletaria San Faustino che si batté a ridosso della linea Gotica, contribuendo a creare a Pietralunga la prima zona liberata d’Italia e poi come volontario del Gruppo di combattimento Cremona, aggregato all’8° Armata Britannica.

Il Gruppo Cremona si distinse nei combattimenti per la liberazione di Alfonsine, in provincia di Ravenna, e con lui Dalla Ragione che si meritò due medaglie d’argento. Per la seconda dovette aspettare a lungo e il motivo di questa attesa vale la pena di essere raccontato.
Negli ultimi mesi di guerra, il Gruppo ricevette la visita di Umberto di Savoia, la stessa casata che aveva appoggiato il fascismo per poi fuggire a Sud. Al momento di passare in rassegna i reparti, l’erede al trono d’Italia fu apostrofato in modo tutt’altro che deferente da parte di alcuni soldati tra cui Dalla Ragione.

L’atto di insubordinazione venne punito con l’invio a Gaeta dei contestatori. Destinazione che Dalla Ragione non raggiunse mai, perché riuscì a scappare.
Il ritorno a casa del ragazzo che era stato ribelle, eroe e disertore, si compì in due distinti momenti. Fino agli anni Cinquanta, Livio seguì la voce dell’arte. Fu pittore e scultore, legato alla materia, amico tra gli altri di Corrado Cagli.
Ma al suo tentativo di riappropriarsi della vita mancava il contorno dell’infanzia, delle radici. La nostalgia del paese divenne impellente fino al punto di acquistare nel 1961 la pieve di San Lorenzo, dove avrebbe misurato la distanza tra passato e presente, recuperando insieme alle tradizioni agricole dei padri anche i frutti e gli alberi che ne avevano accompagnato l’esistenza.
Era il tempo in cui tutti buttavano via insieme agli oggetti anche i segni della propria povertà. Livio Dalla Ragione iniziò, proprio allora, a raccogliere per ricordare.

Il grande gioco di trovare e salvare

«Sono cresciuta nel bosco – racconta Isabella Dalla Ragione – libera di vagare, in confidenza con le piante e con i morti. Sembrerebbe una cosa lugubre e invece, no, era compassione. Ogni volta che dietro alla chiesa saltava fuori un osso, la mamma ci mandava a raccoglierlo con il cestino. Era un servizio, un gesto d’umanità.
«Ma soprattutto rientrava nel grande gioco di trovare e salvare».
«Gli alberi da frutto – continua Isabella Dalla Ragione – collegano ad un filo sottilissimo il nostro futuro biologico. Li cerco come li cercava mio padre che aveva coniato l’espressione archeologia arborea non nel senso di ricostruire la mappa genetica di una pianta, ma di trovare i resti viventi di antichi pomai.

«A Pietralunga, proprio dove combatteva la Brigata proletaria d’urto, Sergia, anche lei partigiana, mi ha fatto ritrovare la pera fiorentina, un frutto molto rustico, da mangiare cotto e da farne conserve. Quando le ho domandato, perché non me lo avesse detto prima, mi ha risposto che non glielo avevo chiesto.
«In campagna, il passaggio di informazioni è stato interrotto bruscamente negli anni Sessanta e sono contenta di averlo riprestinato con mia figlia partendo dall’innesto fino ad arrivare alla ricetta della torta».

Oltre ad avere i propri informatori sul campo, Isabella cerca sui libri d’arte, lungo le volte affrescate e nei quadri dei pittori che hanno lavorato in Umbria.
La frutta entrava spessissimo nella rappresentazione delle scene di argomento religioso e cortese. Vecchie varietà ritrovano così il nome giusto e la considerazione persa, alla faccia di quegli storici dell’arte che scambiano azzeruoli per ciliegie, le bacche agrodolci, originarie dell’Asia minore, presenti in tutto il Mediterraneo.
Oggi, la pieve di San Lorenzo offre un frutteto con la collezione di piante ritrovate, il vivaio, l’ospitalità e la Fondazione Archeologia Arborea. Tutto questo nel segno di un vecchio ragazzo che dopo la guerra fece i conti con il mistero della vita, scegliendo la natura come musa.
La caccia alle piante continua e in questo preciso momento, l’attenzione è concentrata sul fico rondinino.

Chi ne avesse notizie, di prima o di seconda mano non ha importanza, è pregato di chiamare Isabella.

Isabella Dalla Ragione
San Lorenzo di Lerchi – 06010
Città di Castello (Perugia)
tel. 335.6128439
info@archeologiaarborea.org

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