Saperi

Il lato debole del comparto oleario

Ricordate Ranieri Filo della Torre? Sul finire del 2007 lo intervistai per il dossier olio pubblicato sulle pagine dell’annuario “Enotria” 2008. Il tema, incentrato sulla comunicazione, non lasciava spazio a fraintendimenti. “Gli olivicoltori – sostenne allora lo storico direttore di Unaprol – hanno spesso un atteggiamento passivo nei confronti del mercato. Aspettano di essere scelti piuttosto che affrontare il mercato stesso con strategie attive di comunicazione e promozione”

Luigi Caricato

Il lato debole del comparto oleario

Ho avuto modo di intervistare parecchie volte Ranieri Filo della Torre. Peccato che nel corso degli ultimi anni sia sorta una profonda frattura diventata insanabile, delimitando una vera e propria linea di demarcazione tra noi. Tutto ebbe corso a causa della politica a gamba tesa, frutto della divisiva strategia coldirettiana che poi ha portato alla devastante e inqualificabile rottura tra le due anime fondatrici di Unaprol, Coldiretti e Confagricoltura. Quando passeranno gli anni, e lo sguardo sul passato sarà meno rpoblematico, ci si renderà conto del grave errore commesso da Coldiretti nel dividere, ma sarà troppo tardi e nemmeno sarà più possibile dialogare.

Non essendoci più Filo della Torre, preferisco non esprimere alcuna opinione su quel tragico periodo di separazione e lotta cruenta all’interno di un comparto oleario. All’epoca era silenziosa e strisciante, ma ci si rispettava, oggi la lotta è divenuta insostenibile e cattiva, selvaggia.

Pensando a quel periodo, mi piace riportare l’intervista integrale che mi rilasciò Filo della Torre, allo scopo di mettere in evidenza un pensiero che si può riproporre tal quale oggi, poiché di fatto nulla è cambiato. Lo scenario è il medesimo di allora: il comparto dell’olio non sa e non intende comunicare. Semmai, l’unica differenza è che chi oggi chi ha deciso di comunicare, lo fa solo nel peggiore dei modi, a gamba tesa, in chiave negativa e denigratoria; e quando si conmunica una immagine positiva dell’olio lo si fa alterando la realtà – mi spiego: se un tempo si valorizzava poco il ruolo di functional food proprio dell’olio extra vergine di oliva, oggi lo si esaspera, ingigantendone la portata, fino al parossismo, ingigantendone in maniera inverosimile i pregi, quasi fosse un alimento miracolo che guarisce da tutti i mali.

C’è ancora molta strada da fare. Chi ha avuto modo di leggere il mio dossier sull’olio ne ricorda le conclusioni, che qui riprendo:

L’arte del comunicare richiede (…) un progetto ben definito, dagli obiettivi certi, oltre che una professionalità ben definita, che non si può certo improvvisare. Il ritardo culturale che ha reso marginale il comparto olivicolo e oleario è evidente a tutti, ma nel medesimo tempo, possiamo in parte lasciare spazio al sorriso, visto che, quanto meno, da dieci anni a questa parte l’approccio di fondo è senza dubbio cambiato, migliorando sensibilmente la qualità delle comunicazioni. Ma non è sufficiente una politica di piccoli e isolati passi in avanti, perché, in realtà, a usufruire concretamente dei vantaggi della comunicazione sono soltanto poche imprese, con una quota comprendente in genere la totalità delle aziende di marca e solo una minima parte di aziende agricole e di frantoi. Non si può comunque valutare positivamente, nel complesso, l’attuale situazione. Diventa perciò estremamente urgente sollecitare una svolta e ridestare le piccole e medie imprese. Occorrono nuove spinte propulsive. Il nuovo millennio chiede a gran voce una svolta corale, ma forse è proprio questa esigenza a non essere ancora avvertita come una necessità forte e indifferibile. Gli operatori del settore olivicolo e oleario restano in generale in una posizione arretrata. Ci vorranno altri dieci anni, con ogni probabilità, gli stessi che si sono resi necessari per elevare il livello qualitativo medio delle produzioni. C’è però da augurarsi, per il bene dell’intero comparto, che i tempi siano di gran lunga più brevi del previsto.

Ecco, non so se posso dirmi contento oggi, a distanza di sette anni. Comunicare si comunica, ma in che modo?

INTERVISTA A RANIERI FILO DELLA TORRE

Si ha la netta sensazione che il comparto oleario sia un po’ ingessato e che non riesca a farsi notare, così come riesce invece benissimo a farlo il comparto vitinicolo. Da cosa dipende? Dal prodotto olio di oliva, che non aiuta, perché non è così suggestivo e attrattivo come il vino, o piuttosto da un problema di comunicazione, indipendente dunque dall’appeal o meno del prodotto?
Certamente l’olio non è il vino. Basti pensare che mentre si consuma piacevolmente in compagnia una bottiglia di vino ci vuole decisamente più tempo per consumare una bottiglia di olio. Però oggi attorno a questo prodotto buono e salutare si sta risvegliando un certo interesse da parte del consumatore. Una voglia di capire, di sentire le differenze, di abbinare l’olio extra vergine alle diverse pietanze. Dunque di compiere scelte consapevoli e mirate. Abbiamo allora un problema di incrociare questa curiosità da parte del consumatore e di parte della ristorazione. E in questo senso è vero che abbiamo un problema, un problema serio ed urgente, di migliorare la comunicazione.

Nei miei anni di intenso impegno sul fronte della comunicazione, ho purtroppo da fare un’amara considerazione: mentre le aziende di marca sono pronte e immediate nel fornire risposte quando sono contattate su argomenti ai quali si chiede un commento, lo stesso non accade con le aziende agricole, tranne qualche decina di imprenditori illuminati, ma non più di un centinaio in tutto il Paese, comunque i soliti noti. Le aziende agricole, infatti, non forniscono alcuna risposta, o lo fanno in tempi lunghissimi, non coincidenti con i tempi, velocissimi, dei media. E’ un problema di mentalità o è più una debolezza strutturale sul piano organizzativo?
E’ vero. Molti produttori hanno compiuto passi in avanti notevoli sul piano delle tecniche di produzione e della qualità del proprio olio extra vergine. Veri e propri miracoli se pensiamo a territori difficili che oggi sono in cima alle classifiche e ai concorsi sulla qualità: la Sardegna, le aree interne ed oggi Dop della Sicilia, il Molise, solo per citare alcuni esempi. Tuttavia gli olivicoltori hanno spesso un atteggiamento passivo nei confronti del mercato. Aspettano di essere scelti piuttosto che affrontare il mercato stesso con strategie attive di comunicazione e promozione. Sarà forse un fenomeno dovuto anche alla frammentazione dell’offerta o a ritardi culturali. E’ certo che serve una risposta immediata, anche in forma collettiva: i distretti di eccellenza, come i territori Dop e Igp, le strade dell’olio e dell’olivo, possono essere ad esempio uno strumento utile per accompagnare le aziende verso il consumatore.

Ciò che ho inoltre notato, sempre con amarezza, è che non solo le aziende agricole, ma anche i consorzi di tutela sono inefficienti. Tranne ovviamente le eccezioni, sempre comunque una minoranza. I direttori e i presidenti di tali organismi, infatti, o non rispondono, quando contattati, o dichiarano di non saper rispondere. Per esempio: alcuni, da me contattati per un’inchiesta, non riescono a fornire risposte a domande come la seguente: “mi dia il quadro generale del territorio e della forza produttiva in cui opera la sua Dop… “. Domande generiche, che non richiedono risposte dettagliate nei numeri, eppure per alcuni costituiscono un problema. Come è possibile che ciò possa accadere? Nel mondo del vino un simile atteggiamento non si verifica. Da cosa dipende questa incapacità di comunicare?
Secondo uno studio economico del prestigioso MIT quello che fa grande un’azienda non è tanto il rispetto di parametri economici, i beni e le strutture, la politica e la dotazione finanziaria, le strategie di mercato. Fattori sì importanti, ma non determinanti. Ciò che è determinante per il successo di un’impresa è la qualità degli uomini (e delle donne) che vi lavorano. L’entusiasmo, la professionalità, il coraggio.
La capacità di fare un gioco di squadra, il senso di appartenenza e di solidarietà.
Forse è su questi valori che dobbiamo lavorare tutti di più. Il settore del vino se ne è accorto prima, spinto da una competizione internazionale formidabile. E’ tempo che anche sul made in Italy delle risorse professionali ed umane nel settore dell’olio extra vergine di oliva si compia un grande salto di qualità.

L’illustrazione di apertura (un particolare) è di Riccardo Stefanelli

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