Saperi

Il Paese dell’alcol

E’ in libreria per Einaudi un nuovo romanzo del premio Nobel per la letteratura Mo Yan. Contiene, nella storia che narra, una dura invettiva contro la corruzione, coltivata dai funzionari al potere e divenuta una necessità di sopravvivenza, che pervade la società. E’ un noir a tinte forti e insieme un ritratto inquietante della Cina profonda. L'ispettore Ding Gou'er è sulle tracce di un orrendo traffico che consente ad alcuni selezionati ristoranti di offrire ai propri clienti un cibo prelibatissimo: la carne di neonato

Olio Officina

Il Paese dell’alcol

Cresce l’attenzione per lo scrittore cinese Mo Yan (si pronuncia Muo Yen) e l’editore storico in Italia, Einaudi, pubblica un suo nuovo romanzo nella collana Supercoralli. Il libro, Il Paese dell’alcol, a cura di Maria Rita Masci e con la traduzione di Silvia Calamandrei, riprende un’opera che Yan aveva pubblicato per la prima volta in Cina nel 1993, poi successivamente nel 2000 in una versione riveduta, che è quella condensata in 376 pagine di grande potenza narrativa.

La metafora del cannibalismo – si legge nella quarta di copertina – è profondamente radicata nell’immaginario cinese. A Jiuguo, il Paese dell’alcol, questa metafora raggiunge una forma particolarmente raffinata (e al contempo crudele): si dice che dietro adeguata ricompensa, i genitori cedano i loro neonati a una società che a sua volta li destina ai migliori ristoranti. Inviato per indagare, l’ispettore Ding incontrerà molti ostacoli sul suo cammino verso una difficile «verità».
E’ un noir a tinte forti e insieme un ritratto inquietante della Cina profonda.

LA TRAMA

L’ispettore Ding Gou’er è sulle tracce di un orrendo traffico che consente ad alcuni selezionati ristoranti di offrire ai propri clienti un cibo prelibatissimo: la carne di neonato. Inviato a Jiuguo per verificare la fondatezza delle anonime accuse ricevute in Procura, Ding è costretto a continue libagioni nei banchetti ufficiali a cui è invitato dalle autorità locali, e, obnubilato dai fumi dell’alcol, non riesce mai a capire se quanto gli viene imbandito è veramente carne umana o una presentazione ad effetto frutto della manipolazione di altri ingredienti: le braccine che gli vengono offerte come leccornia si rivelano gambi di fiori di loto abilmente modellati dal coltello del cuoco.

Nelle indagini trova antagonisti e compagni, non sempre fidati, e incontra una serie di incredibili personaggi, dalla seducente autista di camion al diabolico nano imprenditore, dal boss locale alla responsabile dell’Accademia di cucina che insegna a cucinare gli ornitorinchi, dal guardiano del Cimitero dei martiri rivoluzionari al venditore ambulante di ravioli, una fantasmagoria di personaggi che spesso sfumano nel fantastico e nel demoniaco.

Nei dieci capitoli dedicati all’inchiesta, sono incastonati uno scambio epistolare tra l’autore e un aspirante giovane scrittore esperto di distillazione di alcolici, e un suo racconto breve con personaggi e vicende che rimandano o echeggiano la narrazione cornice: si viene cosí a creare un gioco di specchi tra realtà e finzione in cui Mo Yan finisce per ritrovarsi personaggio nel capitolo conclusivo che non offre né una soluzione dell’enigma né una catarsi, perché i protagonisti e i loro alter ego restano invischiati e presi in trappola, inseguendo le proprie ambizioni e i propri fantasmi e lasciandosi catturare dai meccanismi perversi del potere.

Il Paese dell’alcol è forse il romanzo in cui Mo Yan dà la miglior prova di quel «realismo allucinato» che gli ha meritato il Premio Nobel.

È un’invettiva contro la corruzione che pervade la società, coltivata dai funzionari al potere ma divenuta una necessità di sopravvivenza per ciascuno, in una Cina che vive uno sviluppo tumultuoso a caccia del successo e del guadagno ad ogni costo.

UN ESTRATTO DEL LIBRO: QUI

La foto di apertura è tratta da Asiasociety

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