Saperi

Il vino merita rispetto

Amarcord. Un nostro incontro, di alcuni anni fa, con il poeta Maurizio Cucchi, sul tema del vino: l’eccesso di filologismo, oggi in atto, diventa una falsificazione; in fondo noi beviamo e mangiamo perché altrimenti non riusciamo a sopravvivere. Il vino non può essere banalizzato dalle mode. Comporta una certa iniziazione

Luigi Caricato

Il vino merita rispetto

Per la rubrica “Amarcord”, abbiamo individuato questo nostro incontro con Maurizio Cucchi. Non per parlare di letteratura, ma di vino. L’articolo originale risale al 2005 ma non ricordo più dove sia stato pubblicato, tra le tante riviste con le quali ho collaborato in tutti questi anni di scrittura. Sicuramente su un giornale legato al vino. Riporto il testo tal quale, pur con qualche lieve modifica e adattamento. Il linguaggio, il mio, è quello di allora.

Maurizio Cucchi, è autore di libri di poesie e di alcuni romanzi, ma anche di saggi e di traduzioni. E’ anche un estimatore di buoni cibi, e di vini in particolare. Non è un caso che il mondo della letteratura abbia avuto i propri cultori. In tanti hanno manifestato un debole per una antica quanto fascinosa bevanda qual è il vino. “Penso soprattutto ai versi di Baudelaire – precisa Cucchi – o a una canzone di Georges Brassens intitolata Le vin, molto baudelairiana nello spirito: straordinaria. Rispetto alla letteratura tradizionale – prosegue – il vino viene oggi inteso con un eccesso di filologismo, di scientificità o di tecnicismo. A me capita di leggere l’invito a bere poco ma bene. E’ giusto, come si fa a confutare una affermazione del genere, dal momento che bere male non ha senso e bere tanto porta all’ubriachezza e danneggia pure la salute? Però c’è qualcosa che va contro quella che è stata un po’ anche la storia del vino. Quelli che andavano nelle osterie non è che si preoccupassero tanto di bere poco. E’ necessario allora cercare di riassorbire e integrare, con conoscenze migliori, quella che è stata l’abitudine tradizionale del bere. L’eccesso di filologismo, oggi in atto, diventa una falsificazione; in fondo noi beviamo e mangiamo perché altrimenti non riusciamo a sopravvivere. Ecco, cerchiamo di ricordarci questo. Quando abbiamo fame ci piace tutto, non possiamo essere esasperatamente sublimi e nobili solo nel momento in cui degustiamo delle prelibatezze”.

Maurizio Cucchi non ha tutti i torti, visto che spesso si dimentica il significato del bere e si filosofeggia senza motivo. Oggi, nel frattempo, le osterie sono quasi scomparse, o non si chiamano diversamente: wine bar, per esempio. Secondo Cucchi, però, non si possono confondere le osteri con i wine bar. “E’ una scelta orribile chiamare un locale wine bar”, tuona senza tanti preamboli. “Preferivo le vecchie osterie, anche se ora non ci sono più. E’ invece un vezzo, una pura tendenza in qualche modo imposta, il chiamare certi locali wine bar. C’è qualcosa di falso. Mi piacciono molto le cose che hanno invece, come dire, una loro radice naturale e non si impongono per intellettualismo”.

Il vino merita rispetto, non può essere banalizzato dalle mode. Comporta una certa iniziazione. “Mio padre – ci confida Cucchi – beveva il vino a tavola, normalmente; poi in seguito ho visto che gradualmente piaceva anche a me. Io l’ho sempre bevuto a tavola, fino al punto che mi sembrava che mancasse qualcosa se non lo consumavo in tutti i pasti. Ecco, credo che uno debba avere un gusto in qualche modo legato al propiro ambiente. La Lombardia ha vini molto buoni che a me piacciono tanto. Credo che un lombardo non possa non prediligere un vino lombardo, così come allo stesso modo un siciliano non possa non prediligere a sua volta un vino delle proprie terre. Mi sono sentito perfettamente a mio agio nel bere i nostri vini”.

I ricordi affiorano con gioia e partecipazione. “Sono stato un acquirente di damigiane”, confessa. “Quando bevevo il vino di San Colombano mi piaceva moltissimo imbottigliarlo con gli amici; era straordinario e divertente. Stavo attento alle lune, ai tappi. Comperavo quelli più costosi, e sceglievo anche le bottiglie più belle, perché avevo il culto dell’oggetto. Poi quando non l’ho potuto più fare, mi sono divertito di meno”.

I vini di Lombardia dominano insomma di gran lunga nelle preferenze di Cucchi. “Mi sembra che ci sia un discreto assortimento di vini in Lombardia; nel gusto e nell’insieme mi appartengono più di altri. Non so perché, ma è così”. Già, perché? E’ solo un fattore di gusto e di abitudini? Non si può invece azzardare l’ipotesi, neanche tanto peregrina, che i vini di un dato territorio esprimano un po’ le persone che abitano nello stesso luogo? Proviamo un po’ a pensarci. E’ possibile? Cucchi non disdegna tale ipotesi, la ritiene verosimile. “Credo che tutto quello che sta in un territorio appartiene in qualche modo a quel territorio, esprimendone i contenuti più profondi. Gli umori, il carattere, il temperamento degli individui un po’ riflettono l’identità di un territorio. Il piemontese è diverso dal lombardo, il lombardo è diverso dall’emiliano, eppure siamo confinanti. Queste tipologie sono ben riconoscibili, nel modo di fare e nella parlata soprattutto, figuriamoci poi in ciò che nasce nella terra, Chissà, forse è proprio così con i vini”.

La foto di apertura è di Paolo Stefanelli e ritrae, a sinistra, il poeta Maurizio Cucchi, in compagnia di Luigi Caricato a Olio Officina Food Festival 2012

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