Saperi

Io mi separo da te

Quarant’anni fa le campagne furono decisive nel referendum sul divorzio. Tra lo stupore generale, al referendum prevalsero i “no”. Nessuno aveva riflettuto sul fatto che dieci anni prima proprio da un centro agricolo della Sicilia era giunto un primo segnale di mutamento

Alfonso Pascale

Io mi separo da te

Nel referendum abrogativo del divorzio promosso da alcune associazioni cattoliche – che si svolge il 12 e il 13 maggio 1974 – il voto delle campagne è deciso nella vittoria dei “no” e rivela ad un’opinione pubblica attonita la portata dei profondi cambiamenti socio-culturali che erano intervenuti nei vent’anni precedenti.

Da una parte sono schierati la Dc e l’Msi e dall’altra tutto il fronte divorzista laico e di sinistra. Sembra una battaglia difficile per i sostenitori della legge perché non si percepisce quanto estesa sia stata negli anni precedenti la trasformazione del paese, sul terreno del costume e delle convinzioni etiche e religiose.

Nel Pci sono forti le spinte a ricercare un accordo onorevole per evitare la consultazione referendaria. Non solo perché lo scontro frontale con la Dc appare in contraddizione con la strategia del “compromesso storico”, lanciata l’anno prima da Enrico Berlinguer. Ma soprattutto perché non si ha il polso sui reali orientamenti ideali presenti tra i ceti popolari, soprattutto nelle aree rurali e nel Mezzogiorno.Ad esempio, Sereni, in un articolo sul settimanale “Rinascita”, prospetta il pericolo derivante nelle campagne da un modo di sentire la religione in senso naturale, che porterebbe all’obbedienza superstiziosa piuttosto che al ragionamento.

Per motivi opposti, forti perplessità ad affrontare la prova referendaria nutrono anche i vescovi. Infatti, in un’inchiesta su “Coltivatori e religione” che mons. D’Ascenzi, assistente ecclesiastico della Coldiretti e professore di sociologia rurale, aveva effettuato tra il 1970 e il 1971, con l’ausilio di ottocento sacerdoti, erano emersi dati sorprendenti. L’indagine aveva rilevato che tra i coltivatori in età superiore ai 40 anni e tra quelli di 50, ma con titolo di studio, il divorzio si giustificava come “una scelta di libertà” e spiccava la tendenza “ad apprezzare non tanto la donna risparmiatrice, obbediente all’uomo nel timore di Dio, quanto invece la donna moderna, elegante, colta, capace soprattutto di affetto”.

La dirigenza dell’episcopato italiano, che conosceva i risultati di questa indagine, non riesce però a scoraggiare il segretario della Dc Fanfani e i settori più integralisti del mondo cattolico che impongono la prova di forza.

Tra lo stupore generale, al referendum prevalgono i “no”. Nessuno aveva riflettuto sul fatto che 10 anni prima proprio da un centro agricolo della Sicilia era giunto un primo segnale di mutamento. Una ragazza di Alcamo, Franca Viola, rapita contro il suo volere dal fidanzato, lo aveva denunciato, rifiutando il matrimonio riparatore e infrangendo così tradizionali consuetudini e subordinazioni.

Inoltre, il modello di famiglia che era subentrato a quello contadino-patriarcale era ormai simile a quello che aveva sostituito il modello borghese. Gli elementi comuni erano l’indebolimento dei legami di autorità e l’emancipazione delle donne e dei giovani. Al centro dell’universo erano posti i figli, a cui era affidato il compito di far ascendere la famiglia lungo la scala sociale. E le ragazze che provenivano dal mondo rurale erano influenzate da un ulteriore fenomeno che pochi vedevano. Le loro mamme dovevano aggiungere al lavoro dei campi e nelle stalle l’impegno di cura della famiglia, divenuta nel frattempo più esigente, ed affidavano alle figlie la propria emancipazione non realizzata. E ciò costituiva un’ulteriore motivazione forte del protagonismo di quelle giovani donne nei movimenti femministi degli anni Settanta.

Il voto sul divorzio è certamente un chiaro segnale di avanzamento civile e politico sulla strada della modernizzazione dei costumi. Ma sui caratteri profondi della modernità che si va affermando in Italia solleva per tempo dubbi precisi la peculiare sensibilità di Pier Paolo Pasolini. Egli aveva previsto l’esito del voto, attribuendolo alla mutazione antropologica avvenuta a seguito del boom economico: adesione diffusa all’”ideologia edonistica del consumo” e affermazione di una “conseguente tolleranza modernistica di tipo americano”.

Il risultato referendario avrebbe dovuto indurre ad aprire una riflessione ampia. Per analizzare cosa era accaduto nel paese, il Pci organizza presso l’Istituto di studi comunisti a Frattocchie un seminario sul tema: “Modificazioni sovrastrutturali e prospettive d’azione ideale e politica nelle campagne”.

Ma resta un episodio isolato nel mondo politico. Si preferisce non guardare cosa accade al di là delle fabbriche e delle città per non mettere in discussione convincimenti consolidati e analisi schematiche riguardo ai cambiamenti sociali.

La foto di apertura è di Luigi Caricato e riprende un’opera esposta nell’estate 2013 a Villa La Brilla, opera di cui non è al momento possibile individuare l’autore.

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