Istanze di innovazione nel settore agricoltura biologica
Documento. L’analisi dei fabbisogni in un documento Inea, frutto di un workshop che si è svolto a Roma lo scorso dicembre, in vista della redazione di un documento nazionale strategico sui settori cardine dell’agricoltura italiana
A beneficio dei lettori, riportiamo un estratto del report relativo ai workshop promossi dal Ministero delle Politiche agricole, Ufficio Ricerca della Direzione Generale dello Sviluppo Rurale, realizzato dall’Inea. Tale documento è il frutto di quanto emerso nel corso degli incontri che si sono tenuti presso la sede nazionale Inea a Roma lo scorso 17 dicembre. Si è trattato di un workshop a più voci, che ha coinvolto i settori frutticolo, olivicolo, viticolo, cerealicolo, orticolo, zootecnico, forestale, florovivaistico, agricoltura biologica e dell’innovazione sociale, e che costituisce un primo passo per la redazione di un documento strategico nazionale sull’innovazione e la ricerca in agricoltura.
Partecipanti al workshop
Stefano Canali, ricercatore CRA- RPS Centro per lo studio delle relazioni pianta suolo
Luca Colombo, segretario Generale FIRAB – Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica
Francesco Giardina, responsabile SINAB – Sistema d’Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica
Luigi Guarrera, IAMB – Istituto Agronomico Mediterraneo Bari
Michele Monetta, presidente UPBIO – Unione Nazionale Produttori Biologici e Biodinamici FederBio
Carlo Patacconi, presidente “Agricoltura Nuova” Società Cooperativa Sociale Agricola Integrata
Andrea Rigoni, azienda Rigoni di Asiago Spa
Massimo Roncon, Agricola Grains Spa
Francesco Riva, MIPAAF – Ufficio Agricoltura Biologica
Fiorella Sarubbi, ricercatore CNR – Ispaam (Istituto per il sistema produzione animale in ambiente mediterraneo)
Francesco Savino, IBMA – International Biocontrol Manufacturers Association
FOCUS AGRICOLTURA BIOLOGICA
Dati strutturali e di produzione[1]
Dopo la crescita continua registrata negli anni precedenti, la diffusione dell’agricoltura biologica a livello mondiale mostra più recentemente un rallentamento in termini di superficie dedicata, a cui si contrappone un rilevante aumento della domanda di prodotti biologici. Secondo le più recenti indagini, nel 2011 sono coltivati a biologico 37.041.005 ettari da 1.578.407 aziende biologiche[2].
La situazione italiana rispecchia lo stato del settore a livello internazionale, con un aumento della domanda interna dei prodotti biologici da ormai sette anni, di contro ad una sostanziale stabilità delle superfici investite. Continua anche il processo di consolidamento del comparto, con un avanzamento lungo la filiera delle imprese agricole che internalizzano le fasi di lavorazione e trasformazione dei prodotti così da trattenere quote aggiuntive del loro valore a livello aziendale.
Nello scenario internazionale, l’Italia si pone tra i primi dieci posti nella classifica dei paesi con la maggiore superficie destinata al metodo biologico, dopo Australia, Argentina, Stati Uniti d’America, Brasile, Spagna e Cina. In particolare, nel 2011 le superfici biologiche italiane corrispondono a 1.096.891 ettari (l’8,5% della SAU totale), mostrando un leggero decremento (1,5%) rispetto al 2010.
Nello stesso anno, gli operatori certificati sono pari a 48.269 unità che, contrariamente all’evoluzione della superficie, risultano in leggero aumento (1,3%) rispetto al 2010[3] e, in particolare, mostrano un addensamento a livello di trasformazione e di importazione dei prodotti biologici (+15,4% rispetto al 2010) che si contrappone a un calo – seppure moderato (2%) – nel numero di produttori esclusivi, dando prova del processo di aggiustamento del settore.
A livello geografico, il quadro strutturale del biologico italiano è variegato, ma la bipolarità territoriale che ha contraddistinto il settore nel passato si ripresenta anche nel 2011, con la produzione localizzata prevalentemente al sud e la trasformazione al nord. In particolare, il milione di ettari circa registrato per il biologico nel 2011 occupa quote che a livello regionale oscillano tra i valori ridotti delle regioni settentrionali (3,6%, in media), a quelli più elevati per il centro e le isole (12%), con una punta del 20% in Calabria.
I seminativi continuano a rappresentare la principale produzione biologica (il 41% della superficie biologica complessiva), soprattutto foraggere e cereali (23% e 17%, rispettivamente). Seguono le colture permanenti (24% della superficie totale), di cui circa la metà è rappresentata dall’olivo; infine, i prati-pascoli (17% sul totale), che costituiscono un elemento costante del paesaggio biologico italiano. Rispetto all’anno precedente, nel 2011 crescono considerevolmente le colture foraggere (36,8%) e in misura minore quelle a vite (12,3%), mentre in diminuzione sono la coltivazione delle leguminose da granella (-18,9%) e degli ortaggi (-13,5%).
Nonostante il calo del 6% delle aziende con allevamento biologico (oltre 6.800 nel 2011, soprattutto ovini e caprini), la dimensione della zootecnia biologica è in aumento (6% in termini di UBA), indicando un aggiustamento del comparto, con la dismissione delle aziende più piccole.
Il mercato mondiale dei prodotti biologici sembra registrare un andamento complessivamente favorevole; il valore delle vendite è in crescita del 7,7% nel 2010 rispetto all’anno precedente, per un ammontare in termini monetari di 59,1 miliardi di dollari[4].
L’Italia, con 1,5 miliardi di euro, è quarta in Europa per fatturato dopo Germania, Francia e Regno Unito, ma presenta una crescita del 15% nel biennio 2009-2010, maggiore non solo di quella dei paesi europei (8%) ma anche di quella statunitense. Tuttavia il consumo interno dei prodotti biologici – rappresentato soprattutto al nord – rimane particolarmente basso, con una spesa pro capite di 25 euro nel 2010, circa un sesto di quella dei maggiori consumatori europei (svizzeri e danesi).
L’evoluzione positiva dei consumi tuttavia continua: dal 2010 al 2011 crescono gli acquisti di prodotti biologici confezionati nella GDO dell’8,9% in termini monetari, in particolare uova (21%), prodotti lattiero-caseario (16%), biscotti, dolciumi e snack (14%), mentre per l’ortofrutta fresca e trasformata si registrano incrementi più bassi (4% in media), anche se questa categoria alimentare è la più rappresentata tra i consumi biologici. Tra i prodotti con una spesa in flessione si segnalano carni (-8%) e pasta e riso (-3%)[5].
Segnali di cambiamento del mercato interno si rilevano anche sul fronte della differenziazione dei canali commerciali: nel 2011 si registra un aumento dei negozi specializzati e del relativo fatturato, con 1.212 punti vendita che realizzano 700 milioni di euro. Risulta in crescita anche la vendita diretta (gruppi di acquisto, soprattutto, con +16%) e la ristorazione collettiva, quella scolastica in particolare, dove il numero di mense è cresciuto del 28% dal 2010 al 2011 raggiungendo un numero di pasti biologici giornalieri pari a 1,1 milioni. Va evidenziato come il mercato dei prodotti biologici italiano sia concentrato nelle regioni settentrionali che esprimono anche la maggiore dinamicità[6].
Per quanto riguarda gli scambi internazionali, cresce considerevolmente la quota complessiva di prodotti biologici preconfezionati importati in Italia nel 2011 dai paesi non equivalenti (61%), soprattutto di colture industriali e cereali, e particolarmente da aziende localizzate nelle regioni settentrionali, che sono invece meno interessate all’esportazione. Il 23% dei 1.964 operatori biologici certificati che nel 2011 hanno venduto i propri prodotti all’estero si trova infatti al centro-nord, mentre quote più elevate si riscontrano nelle regioni meridionali (40%) e in quelle insulari (37%)[7].
Le principali problematiche del comparto
L’incapacità dell’offerta di prodotti biologici di adeguarsi alla domanda, ormai in crescita da diversi anni, ha determinato un forte aumento delle importazioni per far fronte alle richieste della trasformazione e della distribuzione. Ne sono evidenti, pertanto, le conseguenze negative in termini sia di garanzia della qualità della merce importata, sia di aumento della concorrenza da parte delle produzioni straniere nei confronti di quelle nazionali.
Il protrarsi nel tempo di questa mancanza di sviluppo della produzione di base biologica, diversamente dai segmenti della trasformazione e della distribuzione che appaiono più dinamici, dipende da diversi fattori.
Si rileva, innanzitutto, una difficoltà a reperire sementi e mangimi biologici – spesso di importazione – e di qualità. Nel caso delle produzioni vegetali, inoltre, l’obbligo di certificazione di piante e sementi vieta la messa in produzione di sementi originate da produzioni biologiche scambiate informalmente tra aziende, ostacolandone una riduzione dei costi e, in numerosi casi, inibendo la conservazione di cultivar antiche soggette a erosione genetica, perché non iscritte all’albo dell’ex ENSE.
Un altro grave problema concerne la difesa sanitaria di piante e animali, per cui per numerose patologie non esistono o non sono diffuse ancora tecniche di prevenzione e cure specifiche ammesse in agricoltura e zootecnia biologiche.
Con specifico riguardo alla zootecnia, si tratta di alcune patologie e parassitosi che colpiscono particolari tipologie di allevamento (es. varroa in apicoltura, parassitosi polmonari nei bovini e negli ovini, ecc.), a cui si associa un problema di smaltimento dei prodotti, come ad esempio il latte, in presenza di animali trattati, in deroga, con medicina convenzionale/allopatica (problema che riguarda, tuttavia, anche l’agricoltura convenzionale).
Il settore biologico evidenzia, soprattutto in alcune aree, ampie difficoltà di commercializzazione, che spesso portano i produttori a non vendere i prodotti come certificati biologici. Per chi riesce a organizzarsi, la filiera corta è più vantaggiosa, assicurando redditi maggiori. Numerose carenze attengono anche alla logistica, acuite dalla maggiore deperibilità dei prodotti biologici, dalla bassa concentrazione territoriale della produzione biologica e dalla polarizzazione della produzione al Sud e della trasformazione al Nord – nonostante si rilevino dei cambiamenti – che limitano il raggiungimento di un’adeguata massa critica a favore soprattutto dell’industria alimentare e della distribuzione. Una forte asimmetria territoriale esiste anche tra i luoghi di produzione e quelli di consumo rendendo più difficile il potenziamento di filiere locali. Il consumo nazionale di prodotti e alimenti biologici, inoltre, è ancora contenuto e concentrato su poche categorie di prodotto.
Tra i rischi più generali che riguardano il settore biologico vi è la perdita di identità, agevolata dall’affermarsi di processi di convenzionalizzazione molto spinti che, in alcuni settori, risultano molto intensi. Tali processi determinano, in primo luogo, una perdita di potere contrattuale dei produttori di base attraverso una allungamento della filiera che fa capo alla GD e, a seguire, di alcuni caratteri specifici propri dell’agricoltura biologica, come, ad esempio, la più spinta diversificazione colturale rispetto alle aziende convenzionali. In particolare, secondo alcuni, una più ampia conversione delle aziende all’agricoltura e alla zootecnia biologica è frenata proprio dal raggiungimento di una soglia oltre la quale la filiera corta non riesce più ad espandersi in misura adeguata, per cui non conviene convertirsi per operare nell’ambito di una filiera lunga, dove i margini per trattenere un adeguato valore aggiunto sono piuttosto ristretti.
Sul fronte dell’innovazione, invece, per quanto il settore dell’agricoltura biologica sia ritenuto più innovativo rispetto a quello agricolo considerato nel suo complesso, l’introduzione di innovazioni, soprattutto a livello di produzione e trasformazione, è frutto non tanto di un trasferimento dei risultati della ricerca lungo la filiera della conoscenza, quanto di processi di autoapprendimento di tipo esperienziale, favoriti da uno scambio di informazioni e di esperienze tra operatori tramite internet o per contatti diretti tra gli stessi. Internet, inoltre, viene riconosciuto come l’unico strumento di ausilio attualmente disponibile per individuare soluzioni a specifici problemi. Si sottolinea, pertanto, come esista un problema non solo di limitatezza delle risorse investite in ricerca rispetto ad altri Stati UE, ma soprattutto di:
– inadeguata organizzazione istituzionale e procedurale del settore della ricerca, poco flessibile e scarsamente finalizzata alle esigenze delle imprese agricole e di trasformazione.
– difficoltà di trasferimento delle innovazioni alle imprese agricole e di trasformazione anche a causa della scarsa presenza di strutture territoriali operanti lungo la filiera della conoscenza, dei numerosi ostacoli all’individuazione dei relativi referenti, anche solo per ricevere assistenza tecnica e consulenze, e da una più generale assenza di confronto tra i vari comparti e segmenti della filiera biologica così come tra ricerca e fruitori finali.
Anche il segmento relativo ai mezzi tecnici destinati all’agricoltura biologica, pur contando su elevati investimenti in ricerca, per lo più privata, sconta un problema di trasferimento delle innovazioni in materia al settore produttivo biologico, spesso potendo contare solo sui propri rappresentanti, che svolgono una funzione di ponte tra i due segmenti della filiera. Permane, tuttavia, un problema di indipendenza nella fornitura di questo servizio di “divulgazione e assistenza tecnica” di non scarsa rilevanza. Ad ogni modo, poiché in agricoltura biologica vengono favorite pratiche di tipo sistemico che tendono a ridurre l’utilizzo di mezzi tecnici esterni all’azienda (approccio agroecologico), solo una quota molto marginale di quelli diretti alla difesa, ammessi in agricoltura biologica e potenzialmente utilizzabili, è impiegata nelle aziende biologiche.
A questo proposito, tuttavia, si deve considerare il peso ridotto della SAU ad agricoltura biologica sulla SAU nazionale (10% in base all’ultimo Censimento dell’Agricoltura) e che, in agricoltura biologica, si adottano delle pratiche di tipo sistemico che spesso escludono o limitano fortemente l’utilizzo di mezzi tecnici esterni all’azienda (approccio agroecologico). Tuttavia, la situazione è diversa da regione a regione. In alcune, infatti, esiste ancora un sistema di servizi e consulenze dove i tecnici hanno rapporti diretti con le aziende, per cui il trasferimento delle conoscenze alle aziende, anche relativamente ai mezzi tecnici, è più veloce. Sui mezzi tecnici, inoltre, un servizio di informazione è fornito dal SINAB attraverso il suo sito web.
Si rileva, comunque, anche una sorta di involuzione delle imprese dal punto di vista culturale, determinando una loro chiusura a un ampliamento delle conoscenze, che potrebbe essere interpretata anche come rassegnazione a una strutturale mancanza di risposte da parte non solo del sistema della ricerca, ma anche della politica.
La filiera biologica si caratterizza altresì per un livello di comunicazione lungo le sue diverse componenti inadeguato (manca del tutto in alcuni comparti produttivi, come la zootecnica) che ostacola la conoscenza dei produttori e dei trasformatori da parte di consumatori e, quindi, un accorciamento della filiera stessa.
Dal punto di vista delle politiche a favore dello sviluppo del settore biologico, si lamenta una scarsa coerenza e integrazione tra le stesse e l’assenza di obiettivi di sviluppo prefissati.
Le innovazioni e la ricerca ritenute prioritarie
L’identificazione delle innovazioni considerate prioritarie per il sistema produttivo biologico è un’operazione complessa. L’agricoltura biologica è infatti una modalità interpretativa dell’agricoltura che di questa mantiene articolazione e problematiche generali e a cui si aggiungono questioni specifiche inerenti il particolare metodo produttivo. L’esigenza di innovazione espressa durante il workshop ha pertanto riguardato soprattutto il settore biologico nel suo complesso, con una preferenza per l’organizzazione e per il profilo identitario, mentre un minor numero di innovazioni sono state richiamate per specifici segmenti della filiera o aspetti del sistema. D’altronde viene espressamente dichiarato che l’innovazione in agricoltura biologica deve essere soprattutto di metodo, mentre si richiama la necessità di innovazioni specifiche per definire in maniera più netta il profilo dell’agricoltura biologica e aumentarne così la ‘distanza’ dall’agricoltura convenzionale. Si richiedono innovazioni, in particolare, a livello di mezzi di difesa sia per le piante, anche di tipo meccanico, che per gli animali e si sottolinea anche la necessità di individuare, tramite miglioramento genetico, varietà colturali e razze animali adeguate al metodo biologico. Ma la richiesta di innovazioni si esprime anche riguardo alle altre fasi della filiera, sia relativamente ai processi di trasformazione sia con la ricerca, sul fronte del mercato, di canali commerciali più adatti alla distribuzione dei prodotti biologici, come vedremo in dettaglio più avanti.
Rispetto all’ampia mole di proposte possibili, ci si interroga tuttavia su quali siano gli elementi di innovazione da privilegiare. Bisogna tener conto, infatti, che la tipologia di innovazione su cui si è puntato maggiormente negli anni addietro è quella tecnologica, ma che i problemi del settore richiedono interventi urgenti anche mediante altre tipologie di innovazione (organizzativa, commerciale, istituzionale, legislativa, amministrativa, sociale, divulgativa, fiscale, …), mentre sul piano identitario sono ancora da risolvere i nodi derivanti dalla coesistenza di più modelli (es. modello biodinamico) e il suo impatto sulla conseguente programmazione scientifica relativa alla ricerca di innovazioni.
In ogni caso, nell’identificazione delle innovazioni a favore del sistema produttivo biologico appare imprescindibile ‘agire dal basso’ per far emergere l’innovazione effettivamente utile alle imprese agricole, i soggetti che manifestano al momento i maggiori problemi.
Al solo fine di agevolare la lettura delle proposte di innovazioni emerse durante il workshop, è possibile una loro classificazione sulla base del relativo obiettivo:
a. Rafforzamento (dell’identità) del biologico e azioni di sistema;
b. Filiera (mezzi tecnici, produzione, trasformazione, distribuzione, controlli);
c. Sistema della conoscenza (formazione, assistenza tecnica, comunicazione);
d. Normativa, politiche e istituzioni.
Rafforzamento (dell’identità) del biologico e azioni di sistema
Numerosi sono stati i richiami sulla necessità di rafforzare l’identità del biologico mediante interventi legislativi che indirizzino il sistema verso una maggiore sostenibilità. L’aumento della distanza del sistema produttivo biologico da quello convenzionale, ai vari livelli, può essere favorito promuovendo l’adozione del modello agro-ecologico. Si richiama in particolare la necessità di identificare strumenti di programmazione che favoriscano la riduzione della specializzazione dei sistemi colturali ri-orientandoli maggiormente verso modelli misti e si ricalca l’importanza della produzione di input specifici per il settore biologico che facciano riferimento alle particolari esigenze delle aziende.
Diversi gli interventi specifici che sono stati enumerati quali possibili contributi all’aumento del grado di sostenibilità dei sistemi biologici – al rafforzamento quindi della loro identità – e che riguardano i diversi stadi della filiera (si veda più avanti).
Ma il rafforzamento del biologico italiano si realizza anche mediante l’espansione dei suoi sistemi produttivi. A questo riguardo si richiama in particolare la necessità di sviluppare filiere e comparti non ancora contemplati dagli attuali regolamenti UE (es. allevamento bufalino) e il recupero di aree marginali (es. aree boschive) da destinare all’allevamento di biologico.
a. Filiera
Produzione e trasformazione – I fabbisogni di innovazione lungo la filiera sono stati rilevati soprattutto con riguardo al segmento della produzione di base e presupponendo l’adozione di un approccio agro-ecologico da parte delle aziende biologiche.
La priorità più elevata è stata accordata alla necessità di mettere a punto macchine specifiche per l’agricoltura biologica, che spesso si caratterizza per la presenza di sistemi consociati di specie e varietà colturali diverse, per la semina e la raccolta combinate (a titolo di esempio: leguminosa da granella consociata ad un cereale autunno vernino). Da sviluppare anche l’agricoltura di precisione (es. macchine sarchiatrici di precisione) con sistemi di guida satellitare, benché più adeguati ad aziende di grandi dimensioni che ne possono più agevolmente sostenere i costi. Nel caso di aziende di piccole dimensioni, la loro utilizzazione potrebbe essere agevolata ricorrendo al contoterzismo. Uguale importanza viene attribuita alle innovazioni riguardanti la produzione di mezzi tecnici, in particolare dei mezzi di controllo, e la selezione di cultivar adeguate al metodo di produzione biologico anche in vista di una loro maggior adattabilità ai cambiamenti climatici.
Viene rimarcata l’importanza di assicurare il bilanciamento della razione alimentare animale nella zootecnia biologica, con la messa a punto, in particolare, di un piano di ricerca sulle produzioni di piante proteoleaginose da inserire nella rotazione triennale, al fine di incrementare la produzione di materia prima locale/nazionale per la produzione di mangimi, e aumentando l’incidenza delle componenti foraggere al fine di eliminare l’utilizzo di silomais. Un aspetto altrettanto importante riguarda l’introduzione delle colture di servizio ecologico, come, ad esempio, le colture pacciamanti o cover crops, in serra.
Si ritiene necessario anche lo sviluppo di innovazioni in materia di tecniche di sovescio a ciclo estivo, in particolare per l’orticoltura di pieno campo, possibilmente sulla base di indicazioni specifiche provenienti dalle aziende, e la diffusione delle rotazioni come pratica diretta anche al controllo e alla gestione delle malattie crittogamiche.
Nel quadro delle politiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici, inoltre, si ritiene indispensabile lo sviluppo di tecniche agronomiche volte a minimizzare i fabbisogni idrici ed energetici in fase non solo di produzione ma anche di trasformazione, facendo del biologico un settore all’avanguardia anche sotto questo aspetto.
Con specifico riguardo alla prima trasformazione, si ritiene importante la diffusione di tecniche di conservazione dei prodotti biologici (es. cereali, legumi, semi oleosi, ortaggi) che ne mantengano inalterate le caratteristiche qualitative e prevengano l’insorgere di problemi di natura igienico-sanitaria, senza ricorrere all’utilizzazione di un qualsiasi tipo di sostanza additiva (conservante, ecc.). Fabbisogni di innovazione concernono anche la progettazione di alimenti biologici, che dovrebbero non configurarsi come ‘cloni’ di quelli convenzionali ma acquisire una propria identità. A tal fine si rende necessaria la costituzione di strutture che operino a favore delle imprese di trasformazione sia convenzionali che biologiche, preposte a fornire soluzioni per specifici problemi (es. conservazione degli alimenti, processi di trasformazione dei prodotti biologici adeguati), analogamente a quanto avviene in alcuni Paesi UE.
Distribuzione – Il maggiore fabbisogno di innovazione attiene al miglioramento della logistica che si dovrebbe perseguire, in primo luogo, attraverso la costruzione di una rete di piattaforme distributive localizzate a livello regionale, specializzate nella fornitura di GAS, negozi specializzati e mense, realizzando un modello di distribuzione alternativo a quello della GD e analogo, in campo commerciale, al negozio collettivo gestito da un gruppo di aziende. Il problema della logistica potrebbe essere ridimensionato anche promuovendo la creazione e il rafforzamento di filiere produttive nazionali, agevolate dalla maggiore qualificazione dei prodotti biologici italiani. In questo modo si contribuirebbe anche a ridurre la frammentazione produttiva.
In generale, le innovazioni dovrebbero riguardare la creazione di canali commerciali alternativi, non puntando solo allo sviluppo della filiera corta, capaci di valorizzare la produzione agricola e i principi fondanti del biologico e rafforzare il capitale sociale tra le aziende e lungo la filiera. A tal fine, le soluzioni possono essere individuate anche prestando maggiore attenzione alle esigenze dei consumatori attraverso la creazione di una fitta rete di rapporti tra offerta e domanda.
Controlli – Ai fini del rafforzamento del settore, è indispensabile tutelare la sua immagine agli occhi del consumatore, aumentando la qualità percepita dei prodotti biologici e la credibilità dell’intero settore mediante sistemi adeguati di certificazione, controllo e importazione. Tale obiettivo si realizza con una maggiore vigilanza dell’operato degli organismi di controllo, per un verso, e con un maggior controllo del flusso di importazione, per altro verso.
Sul fronte interno, è necessario un aumento della coerenza e della trasparenza del sistema di controllo, caratteri che potrebbero essere meglio espressi, secondo alcuni, con un unico ente certificatore e, secondo altri, con la coesistenza di molteplici enti ben coordinati. In ogni caso il controllo sul territorio necessita di precise linee guida obbligatorie che possano indirizzare tutti gli operatori, indipendentemente dalle singole responsabilità. Alla luce delle recenti frodi che hanno interessato soprattutto il comparto cerealicolo biologico, al fine, quindi, di aumentarne la trasparenza, si sta mettendo a punto un sistema informatizzato di tracciabilità, a cui possono accedere tutti gli operatori del comparto, fino ai mulini e ai mangimifici, e gli organismi di controllo e che gestisce i dati relativi ai diversi passaggi in filiera delle singole partite di prodotto, dati visibili a coloro che aderiscono a tale sistema organizzato in rete. In caso di non conformità, viene lanciato un allarme, poi trasmesso dagli organismi di controllo anche agli operatori delle filiere derivate (es. lattiero-casearia, carne, uova). A questo sistema sono soggette anche le imprese estere che, ad esempio, riforniscono coloro che gestiscono gli ammassi di cereali bio, i mulini e i mangimifici che ne fanno parte. Una volta entrato a regime, tale sistema dovrebbe essere esteso a tutte le imprese che operano lungo la filiera e agli altri comparti del settore biologico e si auspica il coinvolgimento dell’ICQ Repressione frodi e di tutte le forze di polizia che effettuano i controlli igienico-sanitari e sulla qualità merceologica dei prodotti biologici e loro derivati. E’ inoltre richiamata la necessità di uno snellimento dell’apparato e del carico burocratico, considerato eccessivo per le imprese di minori dimensioni. A questo riguardo si ricorda che la certificazione collettiva potrebbe fornire una maggiore garanzia e aumentare la responsabilità dei singoli operatori favorendone l’integrazione, soprattutto nei modelli di filiera corta e nei distretti bio.
In definitiva, la normativa andrebbe ridefinita sulla base dei modelli produttivi e commerciali esistenti, considerando anche la necessità di un maggior coordinamento a livello nazionale, soprattutto per alcuni settori produttivi, come nel caso dei frantoi e dei mattatoi.
Anche la questione della tracciabilità del prodotto biologico è considerata particolarmente rilevante ai fini dell’identità del settore. A questo riguardo si richiama la necessità di maggiori controlli sui trasformatori e sui distributori e, più in generale, di aumentare il grado di responsabilità dei produttori (magari riportandone in etichetta il nominativo).
Per quel che riguarda gli scambi internazionali, è necessario stabilire un sistema equivalente di controllo – che sia certificato -, in collaborazione con i paesi esteri.
b. Sistema della conoscenza
Uno dei fabbisogni di innovazione evidenziati in tema di ricerca, a cui si dovrebbe rispondere anche per contribuire a risolvere il problema dell’inadeguata organizzazione istituzionale e procedurale del settore, è quello di articolare la ricerca in tavoli tematici nazionali con l’obiettivo di coordinare e mettere a sistema le singole ricerche, spesso slegate le une dalle altre.
La carenza di strutture preposte all’assistenza tecnica, inoltre, è particolarmente sentita in agricoltura biologica dove spesso le aziende sono costrette a sperimentare in campo soluzioni improvvisate in maniera autonoma. E’ quindi forte l’esigenza di una rete tecnica specializzata per l’assistenza alle aziende e, più in generale, di un sistema di supporto (ricerca/divulgazione/assistenza) che includa gli operatori stessi e sia partecipato a tutti i livelli. Come si vedrà anche più avanti, a questo riguardo viene richiamata l’importanza di centri sperimentali locali, legati al territorio e al mondo agricolo in particolare, dove operino ricercatori ma anche divulgatori che possano intervenire nella fase a valle dell’identificazione delle innovazioni. Si richiama qui la necessità che i finanziamenti siano indirizzati a progetti con una forte ricaduta operativa su tutto il settore: le attività devono rispondere a esigenze specifiche degli operatori i quali vanno coinvolti direttamente nei progetti sin dalla loro specificazione.
I fabbisogni espressi a livello di formazione sono calibrati rispetto alla specificità del metodo produttivo biologico e sono considerati il fondamento per la realizzazione di innovazioni sistemiche in agricoltura biologica. A questo riguardo si avverte soprattutto la necessità di una struttura di formazione tecnica che consenta l’apprendimento della visione agro-eco-sistemica alla base del modello agro-ecologico.
Necessità di formazione specifica si ravvisa, inoltre, in zootecnia per la costituzione di servizi di veterinaria omeopatica[8].
In generale, il sistema produttivo biologico ha grande bisogno di migliorare la comunicazione, sia all’interno del sistema stesso che verso l’esterno. Un flusso di informazioni adeguato si considera necessario a tutti i livelli: tra enti pubblici e non, tra enti di ricerca e centri di formazione del personale tecnico, tra gli operatori del settore e tra questi e le istituzioni, tra il sistema produttivo e il consumo.
E’ tuttavia fondamentale stabilire prima di ogni cosa quali siano gli elementi da porre alla base della comunicazione: linee guida specifiche che consentano agli operatori del settore di orientarsi con precisione sui contenuti della comunicazione in materia di modelli da adottare, sul fronte della produzione, e di caratteristiche dei prodotti, sul fronte del consumo.
Per favorire il flusso di informazioni internamente al sistema, è necessario favorire la nascita di aziende dimostrative dove si possano coniugare ricerca e divulgazione, coinvolgendo anche gli utenti finali del processo, e tenendo presente che la ricerca da incentivare è quella specifica per il settore e che le fonti finanziarie possono essere individuate anche in soggetti privati oltre che in quelli pubblici.
Tuttavia, è molto sentita anche la necessità di portare il metodo di produzione biologico a conoscenza degli operatori del settore agricolo, molti dei quali non sono ancora in possesso di informazioni adeguate e corrette. In questo senso potrebbero operare anche le associazioni di categoria, mandando in campo i propri tecnici, così da favorire il processo di conversione delle aziende al biologico e aumentare l’offerta nazionale.
Sul fronte della comunicazione al consumatore, è necessario innanzitutto aumentare la consapevolezza della sostenibilità del biologico, comunicando i vantaggi dei suoi prodotti anche mediante il maggiore consumo nelle strutture pubbliche (mense, scuole, acquisti verdi nella P.A.). Miglioramenti in questa direzione possono derivare dall’assicurare una maggiore integrazione tra il consumo di prodotti biologici e di prodotti locali – possibile strategia di sviluppo delle aziende agricole e del territorio da realizzare anche mediante un aumento degli spazi e delle occasioni d’incontro tra produttori e consumatori del territorio -, mentre interventi di educazione alimentare potrebbero proporre uno stile dietetico biologico, fondato cioè su pasti completi a base di prodotti biologici.
c. Normativa, politiche e istituzioni
Riconoscendo la scarsa capacità innovativa delle attuali politiche a favore del settore biologico, si rimarca come queste andrebbero innovate in una logica di sistema e orientate a soddisfare i fabbisogni di innovazione non solo delle imprese ma soprattutto dei territori nei quali esse operano. Diversamente da come accade adesso, dove, ad esempio, alcuni PSR regionali sostengono fortemente l’agricoltura e la zootecnia biologiche mentre altri le ignorano completamente, vi è la necessità di garantire la formazione di un quadro di riferimento coeso e organico che possa spingere in tale direzione e verso una maggiore omogeneità delle scelte effettuate a livello regionale in vista di un reale sviluppo dell’agricoltura biologica.
Anche a livello istituzionale si avverte l’esigenza di un collegamento più efficace tra tutti i soggetti che operano nel settore biologico, pur essendo necessario riaffermare le responsabilità delle singole strutture riguardo all’azione esercitata e alla relativa efficacia.
E’ forte poi l’esigenza di una regolamentazione specifica a livello di comparto. La normativa esistente, ad esempio, spesso associa specie animali completamente diverse per fisiologia ed esigenze sotto un unico disciplinare. Sempre riguardo alla zootecnia, un capitolo specifico all’interno della normativa andrebbe dedicato all’omeopatia, riconoscendola come terapia medica, sia preventiva che curativa.
Si avverte anche il bisogno di armonizzare la normativa UE con quella dei Paesi terzi, problema sentito anche al di fuori del settore biologico (es. la certificazione HACCP è obbligatoria nell’UE e non in numerosi altri paesi con i quali scambiamo prodotti), mentre sul fronte interno si richiama la necessità di una semplificazione burocratica per il settore nel suo complesso e con particolare riferimento al sistema di certificazione/controllo al fine di aumentare l’efficienza e l’efficacia degli interventi. Semplificazione viene richiesta anche riguardo alle procedure legislative sui mezzi di controllo biologico.
E’ infine necessario ridefinire il quadro normativo dei mezzi tecnici utilizzati, con riferimento ai fertilizzanti, agli agro-farmaci e alle sementi per l’agricoltura biologica, rivedendo in particolare numero e tipo di vincoli posti e considerando che i vincoli scoraggiano gli investimenti. A questo riguardo, è necessario aumentare il finanziamento per la ricerca finalizzata allo sviluppo di mezzi di controllo e di produzione innovativi.
Vale infine la pena di sottolineare come le politiche dovrebbero intervenire per regolare tutto lo sviluppo del settore, intervenendo in coerenza con i fabbisogni degli operatori, anche nella direzione sopra delineata, a partire quindi dal rafforzamento dell’identità del biologico sulla base del modello agro-ecologico.
Proposte per migliorare gli interventi di diffusione delle innovazioni
Tra gli interventi diretti a facilitare l’introduzione di innovazioni in azienda vi è, innanzitutto, la creazione di una rete tecnica specializzata per l’assistenza alle aziende biologiche, attraverso l’istituzione di punti di consulenza per tutti i settori coinvolti nell’agricoltura e nella zootecnia biologiche, distribuiti in modo capillare sul territorio, che prevedano la presenza di tecnici specializzati – agronomi e veterinari omeopati – istituzioni pubbliche e private, comprese quelle con funzioni amministrative.
Vi è necessità, inoltre, di accorciare la filiera della ricerca che, attualmente, conta diversi passaggi (ricerca avanzata, ricerca applicata, trasferimento innovazioni, divulgazione, introduzione dell’innovazione da parte dei fruitori finali). Si tratterebbe, pertanto, di creare un legame più diretto tra mondo della ricerca e imprese di base e di trasformazione attraverso la costituzione di un sistema di ricerca/assistenza/divulgazione a cui partecipino a tutti i livelli anche gli operatori.
La diffusione delle innovazioni, inoltre, andrebbe favorita anche tramite la formazione di reti di scambio di innovazioni on farm nella prospettiva di un loro coordinamento nel quadro dei gruppi operativi/PEI (Partenariato europeo per l’innovazione).
Come già visto in precedenza, si dovrebbe promuovere infine l’organizzazione di aziende dimostrative e centri sperimentali locali, legati al territorio e al mondo agricolo, dove operino ricercatori e divulgatori, con cui gli operatori possano agevolmente interagire sia per proporre nuove sperimentazioni sia per ottenere risposte a specifici problemi.
La redazione del testo, e la proprietà intellettuale, è di Inea.
NOTE
[1] Salvo diversa indicazione, i dati sull’agricoltura biologica italiana sono di fonte MiPAAF-SINAB.
[2] Fonte: FiBL-IFOAM – The word of organic agriculture. Statistic and emerging trends 2012.
[3] Fonte: VI censimento dell’agricoltura, 2010, Istat
[4] Fonte: FIBL-IFOAM 2012
[5] Dati ISMEA/GFK-EURISKO.
[6] Dati BioBank.
[7] Dati MiPAAF-SINAB
[8] Sono presenti attualmente sul territorio italiano accademie di medicina omeopatica ma sono limitate ai piccoli animali da compagnia.
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