Saperi

J’accuse

Cosa c’è dietro il decadimento culturale degli italiani? La normalità come sottoclasse dell’intelligenza psicopatologica. La vita erotica diventata vita pornografica. Eros che ama la cripta, il sottoscala, il nascondiglio, l’enigma; la pornografia che abita la piazza, la nitida luce del giorno, la scena illuminata, in cui tutto sia presente nella sua interezza, senza spigoli, strappi, resistenze

Massimo Cocchi

J’accuse

Massimo Cocchi

“…Ho letto, è scritto con una ritmica incalzante, che assorda meglio del rock, però ti assicuro che ci sono battute non a tempo… certo rimane un mio problema di spostarti lo sguardo dal dito alla luna…”

Così mi scrive una mia amica, dopo averle inviato il testo del docente che rivolge pesantissime accuse ad alcuni conduttori televisivi per essere responsabili del decadimento culturale degli italiani.

Acuta osservazione, quella della mia amica, il cui desiderio principale è spostarmi dal dito alla luna.

Nel lungo cammino che ho fatto per recarmi dal dito alla luna, ho avuto modo di fare alcune considerazioni, lascio, poi, al mio amico Fabio, ormai compagno di tanti scritti, il compito di tradurre in nota filosofica questo decadimento degli italiani.

Ho letto attentamente quella lettera che in un lampo ha fatto il giro, come si suole dire, del Web.

Web, come è noto, vuol dire “ragnatela”, cioè quella mirabile opera architettonica, una perfetta geometria frattale, che l’uomo si è inventata per catturare, chi ci cade, in una melassa senza scampo.

In quella lettera si riconoscono alcune persone come responsabili del fenomeno, si riconosce alla loro abilità dialettica e persuasiva di indurre quel chiacchiericcio mediatico che avviluppa tutto e tutti in un’indistricabile sudditanza all’imbecillità.

E questo è il punto, sono proprio loro responsabili di tutto ciò?

Non credo, la loro intelligenza, fra quelle virgolette che non esprimo in segno (“ ”), non mi sembra adeguata a partorire un disegno così complesso e articolato, cioè, di sottomettere quell’altra intelligenza, quella più ingenua e popolare, a un completo asservimento.

Essi sono solo poveri strumenti mercenari che riproducono con fedele devozione il pensiero strategico di altri, ben più in alto nella scala dei poteri, nel tentativo di distrarre le anime più ingenue dall’essenziale del mondo, ivi compresi i suoi orrori.

La normalità come sottoclasse dell’intelligenza psicopatologica.

A tavolino, quindi, nasce quella miseria di immagini e di dialoghi che riempiono di niente una giornata altrettanto misera e inutile di gente bionda, con gli occhi azzurri, per alcuni/e con l’urgenza del tempo alla ricerca di un’illusione di vita già terminata da tempo.

A questa misera visione si sacrifica l’ultimo sprazzo di dignità, di quella dignità che nemmeno uno specchio magico sarebbe in grado di restituire, anche solo come mero riflesso

Amica cara, io non sono come te, cui è sufficiente uno sguardo per catturare l’essenza della parola, io ho bisogno di riflettere, di capire, di misurare i fenomeni; misurare il fenomeno dell’imbecillità, credimi, non è cosa facile, anche se ben altro, nelle mie ricerche, ho provato a misurare, ad esempio quella coscienza che è così mutevole da creare, talvolta, imbarazzanti interpretazioni.

La mia ignoranza si ferma a questo punto e mi affido, come al solito, all’amico Fabio, perché mi illumini su questa cosmica, misera imbecillità, ma soprattutto perché cerchi di spiegarmene il disegno.

Fabio Gabrielli

Caro Massimo, la questione è molto più complessa di quanto pensi la retorica dei buoni sentimenti, ma anche l’inveterata tendenza a semplificare la realtà che, di contro, è sempre magmatica, tumultuosa, sovente sconcertante.

In estrema sintesi, per evidenti ragioni reclamate da questo spazio che viene riservato, mi limito a due considerazioni: la logica del trattenere rispetto all’intrattenere, la logica dell’estrema trasparenza.

Per quanto riguarda la prima logica, gli spettacoli di intrattenimento non sono una novità, tuttavia intrattenere non è trattenere. Nel primo caso, il verbo rinvia a un “indugiare, stare in qualcosa, dimorare”; nel secondo caso, a un “obbligare, ghermire, possedere, costringere in qualcosa”.

Intrattengo, quando riservo uno spazio di tempo e di senso a un’attività, a una produzione, per poi lasciare andare verso altre forme di vita.

Trattengo, quando obbligo a concentrare la vita, tutta la vita, in un’unica forma che, naturalmente, finisce per imporsi come cifra esistenziale, senza alternativa alcuna.

Ora, queste trasmissioni hanno finito per concentrare l’umano in un solo punctum, scompaginando, disarticolando ogni logica che non ubbidisca allo stesso linguaggio, agli stessi gesti, alle stesse posture.

Per quanto riguarda la logica della trasparenza, essa riproduce compiutamente la nostra attuale modalità di stare al mondo: tutto deve essere esposto, reso visibile, quindi fruibile, controllabile.

La vita erotica è diventata vita pornografica.

Eros ama la cripta, il sottoscala, il nascondiglio, l’enigma; la pornografia abita la piazza, la nitida luce del giorno, la scena illuminata, in cui tutto sia presente nella sua interezza, senza spigoli, strappi, resistenze.

Eros intrattiene, la pornografia trattiene; essa non lascia mai andare, il suo sguardo, tutto il suo sguardo, è concentrato sulla nudità, ogni ripiegarsi della pelle nel mistero ne disturba la pratica intrusiva e violenta.

In un’epoca abbarbicata al trattenere e alla trasparenza, queste trasmissioni non fanno che riprodurne lo spirito.

La svolta dovrebbe essere, come sempre, culturale: ma si sa, la cultura implica ponderatezza, argomentazione, durata, pazienza.

E noi, quanta pazienza abbiamo in un tempo disorientato e disorientante, accelerato e pervasivo, incalzante e utilitaristico come il nostro?

Eppure, ci sono anche trasmissioni che promuovono la vita, la bellezza, probabilmente di nicchia.

Ma chi ha detto che la nicchia, gesto trasgressivo per eccellenza, non diventi forza rivoluzionaria, di scuotimento delle coscienze dal torpore delle logiche conservative, del pensa poco, ascolta molto, quello che ti dico io?

In apertura, una foto di Olio Officina

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