Saperi

L’olio buono

Nel romanzo Leggenda privata di Michele Mari, edito da Einaudi, c’è un brano che costituisce una sorta di "pedagogia alimentare", in cui, per uno "smottamento della razionalità" di un componente della famiglia, il nonno dell’autore, persino l’olio di oliva, il sacro olio fonte di civiltà, venne rinnegato in favore dell'olio di semi

L. C.

L’olio buono

L’ultimo libro di Michele Mari, Leggenda privata, è con ogni certezza il più bel libro dell’autore. Una scrittura perfetta, congegnata alla perfezione, altamente letteraria. Al centro una storia familiare vera, bruciante, che disarma chiunque, tant’è che viene definita nella quarta di copertina una “autobiografia horror”.

Michele Mari è autore di libri impeccabili, in cui la letteratura viene messa in grande risalto. Non sono, per intenderci, romanzi che si fermano al puro racconto, ma scavano per davvero in profondità, e questo scavo viene effettuato con grande finezza stilistica e senza mai rinunciare all’autenticità.

Non è letteratura di consumo, buona per scalare le classifiche. I lettori di Mari quando iniziano a leggerlo, non perdono uno solo dei suoi libri, tutti editi da Einaudi, tranne alcuni.
Lo consigliamo come lettura estiva. È un romanzo di formazione che lascia un segno in chi lo legge.
Vi proponiamo un brano in cui vi è anche l’olio ricavato dalle olive per protagonista. Buona lettura.

(…) mio nonno (…) a un certo punto della sua vita, verso i settant’anni: una micragna galoppante! Peggiore di anno in anno, sempre più acuta: e sì che ne aveva guadagnati di soldi, nella sua lunga carriera di medico, e altri ne avrebbe guadagnati fin oltre gli ottant’anni: ma una crepa nel suo orizzonte, uno smottamento della razionalità lo portarono rapidamente alla fobia psicotica: non più i Comunisti, non più il crollo della Borsa, non più le possibili cause della povertà: ma la povertà stessa incausata, improvvisa: uno spettro. Onde risparmio, su tutto: a partire dal vettovagliamento. Lunghe spese nei più squallidi discount della Valtravaglia, marche di pasta sconosciuta a dieci chili alla volta, sotto-sottomarche di pelati, di dadi: tanto “c’è l’orto” (dato inoppugnabile: e il frutteto). Quanto alla carne, egli scoprì presto le virtù nutritive della soia, acquistata in grandi sacchi d 15 kg che ricordavano l’Eucanuba: affidata alle mani della Velia, abbondantemente contraffatta dalla cipolla, quella soia si sarebbe trasformata in un’imitazione di spezzatino: fibrosa e gommosa, e viscida, al netto delle sporcizie immessevi dalla cuoca. Persino l’olio di oliva, il sacro olio fonte di civiltà venne rinnegato in favore dell’olio di semi: Topazio, in lattine. Indignata da quel condimento, mia madre, per cui l’olio di oliva era un tale valore da non avercene privati nemmeno negli anni della miseria, ad esso affidando la miracolosa metamorfosi del pancotto in pancotto buono, rifornì la dispensa di due litri d’olio extravergine acquistato a proprie spese: olio che di tanto in tanto (ad esempio se veniva ospite l’Ippo) veniva parsimoniosamente usato, e che ben presto fu chiamato, e per noi per sempre rimase, “l’olio buona della Iela”. Agghiaccianti le domande della Velia, nel portare la zuppiera dell’insalata: “Dottore, porto l’olio normale oppure l’olio buono della Ièlla?”

(…)

(Zelo speciale della Velia, che facendo proprie le fobie del nonno incominciò, la sciagurata, a “farci risparmiare”; la sorpresi così a riempire il filtro della moka con il caffè già usato, riciclare ad infinitum l’olio fritto, briciole bruciate di pastella comprese; bagnare il pane secco e lasciarlo un po’ al sole per servirlo in tavola come fresco; usare la stessa spugna dei piatti per almeno due estati, fino a renderla una fonte autonoma di sugna; e così via: “Ordini del dottore”, si difendeva, ma io sapevo che ci metteva del suo).

Michele Mari, Leggenda privata, Einaudi

Le foto sono di Luigi Caricato

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