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La bellezza degli atlanti

Si trovano insieme a vocabolari e dizionari. Anche l’Atlante degli oli italiani, scritto da Luigi Caricato ed edito da Mondadori ha il suo posto. Sfogliarlo è fare un viaggio a tappe. Lo scopo è di tenere il passo con la realtà, fornendocene l’immagine. Una recensione e un’intervista all’autore

Nicola Dal Falco

La bellezza degli atlanti

La bellezza degli atlanti è, innanzitutto, il conforto di averli a portata di mano, in uno scaffale vicino, tanto da poter solo allungare la mano e andare a colpo sicuro. Sono insieme a vocabolari e dizionari di vario genere un muro di carta gentile, sempre assolato, dove cresce un po’ di tutto come in certi chiostri e orti di semplici.

Anche l’Atlante degli oli italiani, scritto da Luigi Caricato e edito da Mondadori ha il suo posto.
Sfogliarlo è fare un viaggio con tappe solo superficialmente conosciute, seguendo i passi di una coltura antichissima, legata al grande passato greco-romano dell’Italia e a sorprendenti incursioni verso l’arco alpino che gli scivolamenti del clima ha favorito.
D’altra parte, la vite è tornata in Inghilterra, nel Kent e nel Sussex, dopo essere stata spazzata via verso la metà del XV secolo dall’arrivo della piccola era glaciale.
Prima di parlare della sua struttura, che è l’indiscutibile virtù del libro, vanno ricordati alcuni fatti, riportati nell’introduzione.

L’olio, nonostante gli sforzi e i successi di altri Paesi, è un prodotto immediatamente associato all’Italia. L’Italia è l’olio, sostanza e forma di un frutto, storia e costume, evocazione e marketing.
La terza penisola (la quarta è quella iberica) che si protende da est a ovest nel Mediterraneo (mare nereggiante di terre) accoglie 538 delle 1122 cultivar censite nel mondo.
Una supremazia che si avvicina a quella relativa alla densità di beni culturali.
Ed è ancora italiana, risalente ad una legge del 1960, la definizione merceologica di olio extra vergine di oliva, accettata a livello internazionale.

Altro fatto memorabile è la riconsiderazione dell’olio da olive come functional food, derivato da una ricerca epidemiologica americana, da cui sbocciò tutto l‘amore possibile nei confronti della dieta mediterranea che a chiamarla tout court italiana non sarebbe certo un furto.
Sorprende, quindi, apprendere che in Italia non si piantano più ulivi, un segno di impoverimento e, vista la lenta crescita dell’albero, anche e soprattutto un segno di sfiducia nel futuro prossimo (vedi domande in fondo, cosa ci risponde Luigi Caricato nel corso di una intervista).

Un atlante ha lo scopo di tenere il passo con la realtà, fornendocene l’immagine.
Il libro scritto dal più conosciuto oleologo italiano, ideatore di Olio Officina Food Festival, si basa su una lunga frequentazione del mondo dell’olio e sui dati Istat.
Avere riunito in un unico volume la propria lunga esperienza e la messe di informazioni disponibili fanno appunto la differenza tra un libro sull’olio e un atlante.

Veniamo, quindi, a come si articola. Si entra nel vivo della materia con il capitolo Olio di frutti, spiegando come dalla oliva, dal succo da olive – l’espressione più bella e precisa – si ottengano vari prodotti, tutti degni almeno di considerazione.
Si prosegue con Le dieci regole per il consumo consapevole, due esempi per tutte: Nessuna paura dell’amaro e L’equivoco della frittura.
L’importanza propedeutica del capitolo si conferma attraverso gli altri paragrafi: Vista, olfatto, gusto; Istruzioni per l’assaggio; L’assaggio dell’olio in dieci punti, corredato da un’eloquente disegno che elenca i gesti fondamentali.

Nonostante la sinteticità dei profili, un’altra sezione utile dell’atlante elenca le Famiglie dell’olio italiano. Un aspetto che in un paese distratto dove l’autostima pare, a volte, quasi un peccato da confessare, rimane sottotraccia.

E veniamo, finalmente, alla struttura del libro che illustra regione per regione lo stato dell’ulivo e dell’olio, evidenziando per ogni cartina sia l’area delle Dop sia le zone vocate all’olio.
Il testo introduttivo è seguito da un Focus in cui si elencano i dati generali, il patrimonio varietale, l’attestazione di origine, riportando anche la mappa sensoriale degli oli Dop, di quelli mono varietali regionali, più, a seconda dei casi, un caleidoscopio di curiosità, dai monumenti ai musei, dai toponimi alle ricorrenze.

Saltando alla fine, ecco l’ultima sezione, intitolata Apparati, in cui Caricato sceglie i suoi Cento oli regionali, gli oli che a suo giudizio meglio rappresentano lo stato dell’arte nei territori.
Segue ancora un utile glossario e una bibliografia divisa anche per regioni.

Vorrei, infine, soffermarmi su due osservazioni d’ordine estetico. Il primo è la presenza di alcune foto che per dimensioni e taglio permettono all’osservatore di cadere dentro, di “precipitare” in un certo scorcio.
La seconda è la buona abitudine di introdurre un luogo, in questo caso le regioni d’Italia, con le immagini, in prosa o in versi, di uno scrittore.
Certe parole in calce mostrano ancor di più come tutto si leghi nel pensiero e nell’azione e che la colla necessaria debba contenere un quid di bellezza.
Le citazioni sottolineano anche un nobile pettegolezzo, legato a questo Atlante.
Per scriverlo, ha confessato Luigi Caricato, l’estate del 2014 è stata totalmente assorbita dall’impresa, togliendo tempo e aria al progetto di un romanzo.

Atlante degli oli italiani
di Luigi Caricato
pagine 263
euro 39,90
Mondadori
2015

Intervista a Luigi Caricato

Quali sono in ordine di importanza i tre problemi dell’olio in Italia?
L’assenza cronica di olio. Lo stato di sudditanza del comparto produttivo e del mondo politico nei confronti di una organizzazione di categoria: Coldiretti. L’assenza di una visione culturale e una scarsa o comunque fortemente deficitaria conoscenza della storia.

Quali sarebbe, specularmente, le tre soluzioni, secondo lei?
Piantare più olivi e farlo con sistemi moderni, abbattendo i costi di produzione senza con ciò venir meno alla qualità, superando logiche passatiste che vedono la tradizione come fissità e non come sguardo aperto al futuro.
Sganciarsi dalle logiche da conventicola imposte storicamente da Coldiretti a danno di un sistema democratico già di per sé precario all’interno dell’agricoltura italiana tenuta in scacco da una associazione di stampo fascista, con visioni autarchiche, antistoriche e inattuali in una società e in un mercato globalizzati.
Oggi si è acquisita una cultura tecnica e una capacità di usufruire di una tecnologia all’avanguardia che ci ha permesso di ottenere oli di grande qualità, ma si è fortemente carenti in termini di conoscenze storiche ed economiche, al punto da essere incapaci di stare sul mercato, creando valore; il tutto, unito a una mancanza di strategie e di coesione, che ci fa allontanare sempre più dalla soluzione dei gravi problemi strutturali che stanno investendo il comparto oleario negli ultimi quarant’anni.

La parola, la legge, l’atteggiamento sull’olio da abolire per decreto?
La parola cui aspirare è: futuro. La parola da cancellare: immobilismo.
L’atteggiamento da abolire: la bulimia legislativa in materia di oli da olive, perché è proprio l’eccesso di leggi che rende il settore una palude, come d’altra parte scrisse Tacito, sostenendo come le troppe leggi portino inevitabilmente alla corruzione.

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La foto di apertura è di Alberto Martelli

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