Saperi

La complessa strada delle riforme

L’Italia ha sempre faticato a raggiungere l’obiettivo dello sviluppo del Sud. È una annosa questione tuttora irrisolta, come ben dimostrano due grandi figure del passato: da una parte Manlio Rossi-Doria, dall’altra Danilo Dolci. Due personalità, due approcci differenti. Condurre un’opera di educazione rivolta a rendere i contadini consapevoli delle loro opportunità di crescita economica e civile, o intraprendere una funzione di rottura anticapitalistica, avversa alla logica dello sviluppo? I destini dei due sembrarono a un certo punto incrociarsi, ma non si fece nulla

Alfonso Pascale

La complessa strada delle riforme

Manlio Rossi-Doria e Danilo Dolci ebbero modo di incontrarsi a metà del secolo scorso ma il loro contatto non sfociò in collaborazione. Li dividevano i differenti approcci ai temi dello sviluppo e soprattutto le diverse visioni del rapporto tra autogoverno della società civile e pubbliche istituzioni.

Il professore di Portici, Manlio Rossi-Doria, riteneva che lo sviluppo del Mezzogiorno poteva avvenire nel solco di una programmazione pubblica degli interventi e poi di una gestione concreta delle azioni da realizzare in un rapporto di collaborazione tra lo Stato e la società civile.

Danilo Dolci, il sociologo che dal Piemonte si era trasferito in Sicilia contrapponeva, invece, ad un modello di intervento dall’alto finalizzato allo sviluppo, una pianificazione dal basso affidata alla crescita degli strumenti dell’auto-educazione e della pedagogia attiva e militante. Decisero ad un certo punto dei loro percorsi, che si muovevano in parallelo, di verificare la possibilità di integrare i due diversi approcci, ma non ci riuscirono.

La scuola di Portici si proponeva l’ambizioso obiettivo di rinnovare il metodo di pianificazione territoriale, sperimentando la possibilità di dar luogo ad uno sviluppo a misura d’uomo. Aveva stretto un rapporto privilegiato con Angela Zucconi, fondatrice del Cepas, la scuola laica per assistenti sociali, e interloquiva costantemente con il movimento di Adriano Olivetti sui temi urbanistici. Nello stesso periodo, aveva avviato un intenso rapporto intellettuale con Ceriani Sebregondi della sezione sociologica della Svimez. Ma il vivo interesse di Rossi-Doria per le indagini sociali si era manifestato durante il soggiorno in Italia dell’antropologo americano, Edward Banfield, con cui aveva avuto diversi momenti di confronto nel corso delle ricerche che quest’ultimo aveva condotto in un comune della Basilicata.

Tuttavia, il professore di Portici non era tanto interessato alle questioni teoriche degli antropologi e sociologi statunitensi, quanto invece alle ricadute pratiche delle indagini sociologiche come mezzo per correggere i limiti applicativi delle politiche pubbliche. In tal modo l’approccio rossidoriano si avvicinava a quello di Albert Hirschman, che conduceva in quegli stessi anni le sue ricerche in Colombia e che cominciava a mettere in discussione i fondamenti dell’economia dello sviluppo.

Per entrambi gli studiosi non era scontato lo sviluppo lineare fondato sul nesso automatico tra investimenti pubblici e crescita del livello di democrazia del benessere. Il gruppo di Portici assegnava, pertanto, all’antropologia e alla sociologia rurale il compito di condurre un’opera di educazione rivolta a rendere i contadini consapevoli delle loro opportunità di crescita economica e civile, una funzione complementare alle riforme economiche e sociali, da esercitare mediante l’attivazione delle leve della democrazia, e non una funzione di rottura anticapitalistica, avversa alla logica dello sviluppo.

Negli stessi anni, Danilo Dolci aveva intrapreso una battaglia non violenta di ispirazione gandhiana per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul disagio economico e civile della popolazione di Trappeto e Partinico, comuni di una zona della Sicilia occidentale dove il sociologo si era trasferito. Praticando il digiuno e le forme dello “sciopero alla rovescia”, tentava di ottenere l’avvio dei lavori pubblici e dare risposta alla disoccupazione.

Nel febbraio del 1956 era stato arrestato, processato e condannato. Attorno all’iniziativa di Dolci si era mobilitata l’opinione pubblica internazionale ed era sorto un comitato che aveva raccolto il sostegno attivo delle principali associazioni di volontariato laico italiano ed estero. Dalle principali città del Nord si erano trasferiti a Partinico giovani appartenenti alla borghesia: richiamati dal fascino messianico esercitato da Dolci erano entrati a far parte del suo movimento gandhiano.

Tra il 1954 e il 1955 l’Italia aveva ottenuto dalla Banca mondiale la concessione di un prestito di 300 milioni di dollari per realizzare il cosiddetto “Schema Vanoni”, dal nome del ministro del Bilancio che lo aveva proposto. Lo Schema era finalizzato allo sviluppo del Sud e il finanziamento rappresentava l’investimento più importante della Banca mondiale in Europa.

Nel frattempo, era stata rinnovata la legge istitutiva della Cassa per il Mezzogiorno che assumeva lo Schema come principale strumento attuativo: in sostanza come piano nazionale per il coordinamento di piani regionali.

Rossi-Doria venne coinvolto nell’iniziativa di Dolci da Umberto Zanotti Bianco, fondatore dell’Animi – Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia, proprio mentre partiva la fase di attuazione dello Schema Vanoni e al gruppo di Portici veniva affidata la redazione del piano campano, che doveva fungere da modello per gli altri piani regionali.

L’economista agrario propose, pertanto, di ricondurre l’azione promossa da Dolci nel quadro della politica a favore delle zone depresse. Sicché, nell’estate del 1956, egli si recò in Sicilia, accompagnato da Angela Zucconi e Rocco Mazzarone, per una prima indagine e il 30 settembre consegnò una relazione in cui veniva posta l’esigenza di costituire un comitato nazionale per coordinare le energie del volontariato dirette dall’iniziativa individualista e disordinata di Dolci.

La relazione indicò, nel merito, l’opportunità di concentrare lo sforzo nel solo comune di Trappeto, centro più piccolo e governabile con le forze esistenti, che poteva assumere il ruolo di comune pilota. Inoltre, suggerì di promuovere un più stretto coordinamento tra l’iniziativa di intervento sociale con gli organi della regione siciliana e dello Stato.

Nel gennaio del 1957, in un incontro a Sermoneta, ospiti dei Caetani, un gruppo di sostenitori della causa di Dolci decise la costituzione dell’Associazione per l’iniziativa sociale (Ais). In rappresentanza del sociologo parteciparono Goffredo Fofi, Antonino Romano e Pietro Nuccio. La guida effettiva dell’Associazione fu assunta da Rossi-Doria, Angela Zucconi e Paolo Balbo, segretario dell’Animi. E fu decisa come prima tappa una nuova inchiesta in Sicilia per mettere a punto il precedente piano tecnico per poter integrare gli elementi socio-educativi con quelli economici.

Dolci rifiutò di rispondere alle direttive dell’Associazione perché non accettava di soggiacere ad alcuna autorità nella gestione della sua iniziativa locale. Non intendeva collaborare con la Regione Siciliana e con lo Stato, nei confronti dei quali voleva conservare il massimo di autonomia. E così il 3 giugno si riunì il comitato direttivo dell’Ais a Roma, nella sede dell’Animi, a Palazzo Taverna. Rossi-Doria, Angela Zucconi e Balbo si presentarono dimissionari.

Dolci fu irremovibile nella sua posizione. E così fu deciso con voto unanime di sciogliere l’Ais e di affidare all’Animi la gestione delle risorse raccolte dai diversi comitati. La collaborazione tra i tecnici agrari e gli operatori sociali si spostò in Abruzzo nel progetto pilota diretto dalla Zucconi. Gli operatori sociali avrebbero dovuto agire nell’ambito della pianificazione territoriale promossa dalle istituzioni. Il problema non si risolse nemmeno in questa nuova esperienza abruzzese. Nel frattempo, Rossi-Doria e Dolci si erano persi di vista definitivamente.

In apertura un’opera di Joan Miró in una fotografia di Olio Officina

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