Saperi

La deriva No Vax del cattolicesimo italico

Cattolici fino al più fiero integralismo, preferirebbero, a quanto, ragionevolmente, si è indotti ad arguire, essere sudditi dello zar delle Russie che membri di una società legata, nel sistema degli schieramenti mondiale, al potere Stars & Stripes, che, quindi , ambirebbero, se ne deve, per coerenza, desumere, ascoltare il Verbo divino, come lo ascolta il neo-zar, nella versione di Vladimir Michajlovič Gundjaev, in arte Kirill, il primo patriarca delle Russie che abbia dimostrato la certezza, assumendo il nome di uno dei due apostoli che introdussero il Cristianesimo nel mondo slavo, della propria beatificazione, che sarà certamente imposta, con i mezzi abituali, dal presidente Putin

Antonio Saltini

La deriva No Vax del cattolicesimo italico

Nella diocesi cui appartengo, combinazione di stato civile e diritto canonico, i devoti, che conosca, più prossimi al presule sono, dichiaratamente, No Vax, nemici dichiarati, cioè, delle scienze sperimentali, e, a udirne le elucubrazioni, altrettanto proclivi a versioni della storia, universale e nazionale, tanto suggestive quanto coloro che le professano risultano incapaci di menzionare, per le proprie asserzioni, una sola fonte, l’autore cui sarebbero debitori, se di storia si fossero mai occupati secondo le regole della storiografia, delle valutazioni che propongono, palesemente ricavate esaminando autori e testi nella notte “in cui tutte le vacche son nere”. Sono, indefettibilmente, antiamericani, odiano gli Stati Uniti, singolarmente, come li odiavano, ai tempi in cui ero bambino, i militanti del Partito Comunista, di cui ricordo, avevo da poco superato i dieci anni, gli altarini, con fiori e candele, disseminati, per le vie di Modena, alla morte del Piccolo padre (caratteristica espressione russa), di tutti gli operai languenti nei paesi assoggettati dal Capitalismo, alfiere del loro riscatto all’avvento del Comunismo prossimo venturo, ben lieti, peraltro, di riscuotere, dai capitalisti nei cui opifici operassero, buste-paga che in nessun paese comunista un’azienda “collettiva” avrebbe mai elargito.

I suddetti devoti (o bigotti) modenesi, sostengono, con certezza apodittica, la tesi secondo la quale, assalendo un piccol paese confinante, Putin avrebbe esercitato il più legittimo diritto di difesa contro l’espansione della Nato, che della Russia avrebbe posto a repentaglio il ruolo mondiale di luce civilizzatrice. Ho conversato, cinque minuti, con esponente emblematica della schiera filosovietica (mi scuso, filorussa) cercando di capire se non reputasse che paesi quali Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Germania (dal muro di Berlino a Kiel, sulle rive del Baltico), sudditi dell’Unione Sovietica dal 1945 all’avvento di Putin, non fossero liberi di preferire un regime diverso, che assicurasse la libertà di opinione e la scelta dei governanti attraverso libere elezioni, trasparenti quanto realisticamente possibile, comunque espressione della volontà collettiva più genuinamente che la nomina di deputati e amministratori locali da parte di un autocrate sostenuto da una cerchia esclusiva di gerarchi, a loro volta insediati per volere di un ristrettissimo consesso, periodicamente rinnovato, come nelle colonie batteriche, per gemmazione, in termini semplificati autoriproduzione.

Cattolici fino al più fiero integralismo, preferirebbero, a quanto, ragionevolmente, si è indotti ad arguire, essere sudditi dello zar delle Russie che membri di una società legata, nel sistema degli schieramenti mondiale, al potere Stars & Stripes, che, quindi , ambirebbero, se ne deve, per coerenza, desumere, ascoltare il Verbo divino, come lo ascolta il neo-zar, nella versione di Vladimir Michajlovič Gundjaev, in arte Kirill, il primo patriarca delle Russie che abbia dimostrato la certezza, assumendo il nome di uno dei due apostoli che introdussero il Cristianesimo nel mondo slavo, della propria beatificazione, che sarà certamente imposta, con i mezzi abituali, dal presidente Putin (in caso di premorienza dal successore). A celebrare i meriti ecclesiali del futuro beato non si può mancare di menzionare la sua titolarità, universalmente celebrata, di una collezione di orologi “storici” che, in una società occidentale, potrebbe possedere solo un tycoon multimiliardario, evidenziando l’immensità dell’abisso tra la pratica cristiana in un paese democratico ed in una monocrazia.

Abisso che chi scrive può misurare verificando che nella cattedrale cittadina che frequenta è perfettamente legittimo evitare le omelie dell’Arcivescovo, del medesimo calore del consuntivo annuale del Direttore delle Poste o del Provveditore agli studi, optando per quella del vecchio sacerdote che, dalla frase introduttiva all’augurio di una santa domenica, dimostra l’appassionata adesione alla lettera e all’ispirazione dei testi di Matteo, Luca, Marco e Giovanni. Che è impossibile confrontare con quelle che si udirebbero nei pochi edifici sacri sopravvissuti, a Mosca, alle centinaia preesistenti, il numero maggiore destinato alle fiamme dai padri del Comunismo, nei quali si è obbligati ad ascoltare quanto il Patriarca abbia convenuto, con l’erede di Stalin, essere congruente, nei Santi Evangeli, alle farneticazioni di Karl Marx.

Riconosco che il numero delle conversazioni dalle quali ho desunto la valutazione enunciata sul credo dei devoti più prossimi alla Curia geminiana non ha corrisposto a quello necessario, in termini probabilistici, alla certezza scientifica: non avendo mai percepito, nel coretto paesano, enunciazioni contrarie, e logicamente sostenibili, sono, malinconicamente, indotto a reputare che l’impressione non possa essere rigettata. Non conoscendo una sola persona che mi che mi abbia riferito del brano evangelico la cui comprensione le fosse stata assicurata da un’omelia ex cathedra, cioè in cattedrale, dal pulpito del relativo titolare, menziono la valutazione, che non posso bilanciare con altre di segno contrario, da chicchessia comunicatemi.

La dottrina politica sottostante la filosofia che pare doversi desumere dalla conversazione con i devoti modenesi risulta perfettamente consentanea, peraltro, a quella che traspare nelle manifestazioni dell’attuale pontefice, che non manca occasione per dimostrare la viscerale avversione alla cultura politica europea, la politica delle democrazie elettorali. Comunque ne abbia occasione, Sua Santità non manca di professare la cultura genuina del gesuitismo hispanico, una cultura le cui fondamenta teologiche contraddicono, inequivocabilmente, la dottrina politica di Tommaso d’Aquino, il quale, nelle pagine della Secunda Secundae, le più significative del sommo teologo, sono formulati i postulati in cui esegeti di riconosciuta autorevolezza hanno riconosciuto una delle fondamenta del pensiero, istituzionale e civile, dell’Occidente. Il rilievo impone di identificare, nella cultura politica dei devoti (bigotti?) modenesi, la cultura politica del continente dei caudillos, i governanti impostisi manipolando, in una terra in cui è consuetudine, elezioni di mera facciata.

Le espressioni di disinteresse, più precisamente di disprezzo, della cultura europea si sono moltiplicate, dalle origini del corrente pontificato, tanto da rendere risibile la supposizione che potessero costituire frutto di trasporto retorico, che fossero, quindi, incidentali. Dalla prima enciclica l’attuale pontefice ha dimostrato l’assoluta, consapevole, ignoranza della scienza sperimentale e dei suoi metodi, uno dei vanti della civiltà europea. Tema del messaggio apostolico era, nella circostanza, l’analisi dei rapporti, sul piano planetario, tra entità delle risorse disponibili e necessità delle società umane. La procedura per la redazione di un ammaestramento su tema tanto complesso avrebbe comportato, secondo la tradizione romana, la convocazione di una conferenza, di scienziati, cattolici, protestanti, non credenti, preparata da cardinali all’altezza del compito, presso la Pontificia Accademia delle Scienze, i cui risultati sarebbero stati esaminati dai medesimi prelati, assistiti da quanti e quali studiosi potessero decidere di interpellare, al fine di redigere una sintesi, la cui conversione in lettera apostolica sarebbe stata affidata, ancora, a cardinali scelti da Sua Santità, arbitro ultimo della pubblicazione.

La redazione del testo che avrebbe suggellato sua santità Francisco (pardon, Francesco) sarebbe stata rimessa, invece, ad un capocuoco di notoria incompetenza scientifica, ma di immenso successo come comunicatore di luoghi comuni à la page, il quale, con inverecondia che definire spudorata è sterile maquillage, si sarebbe proclamato autore del testo, una dichiarazione che non gli sarebbe stata consentita, palesemente, da qualunque predecessore sul Soglio apostolico, asserzione cui le autorità vaticane non avrebbero opposto, platealmente, alcuna obiezione. Palesando la cultura genuina del vaquero hispanico, anziché consultare scienziati di cui avrebbe, nella versione finale, modificato, inappellabilmente, le argomentazioni, chi siede sulla cattedra di Pietro avrebbe optato, in spregio alla scienza occidentale, per l’affidamento di oneri e onori dell’impresa all’alfiere del nulla scientifico, nel più radicale contrasto con i tomi dell’Aquinate, che non ha, verosimilmente mai sfogliato. Lo schiaffo, da parte della sottocultura dei gesuiti sudamericani, alla teologia delle relazioni tra Scienza e Fede enunciata, nel Seicento, da un gesuita, grande matematico iscritto nell’albo dei Santi, Roberto Bellarmino, non avrebbe potuto essere più plateale. Fosse dettato da autentico odio per la cultura europea, o da totale ignoranza della storia della civiltà occidentale, non è agevole decidere: probabilmente entrambe le componenti entravano nella paella della scelta pontificia.

Dopo la prima enciclica, accolta, dato il caporedattore, dal ludibrio della comunità scientifica, chi scrive non ha sciupato ore ulteriori nella lettura dei testi del corrente pontificato. È stato indotto a riconsiderare l’opzione quando un piccolo paese in lotta, per la propria indipendenza, contro il titano planetario della sopraffazione, ha dovuto convocare l’ambasciatore della Santa Sede per denunciare stupore e indignazione di un intero popolo per le allusioni alla possibile responsabilità del proprio Governo nell’assassinio di un’ideologa, e propagandista, dell’espansionismo leninista, delitto condannato, unanimemente, dalla stampa dei paesi civili, sui cui mandanti esperti internazionali hanno riconosciuto l’assoluta opinabilità delle troppo repentine spiegazioni dei manutengoli di Vladimir Putin, ma che, cogliendo l’occasione per manifestare l’odio per los Gringos di anticapitalista sudamericano, Sua Santità ha immediatamente ricalcato, attribuendo l’evento alla mano della Cia.

Ogni successore di Pietro ha il dono dell’infallibilità, secondo la dogmatica della Chiesa, ove si pronunci su quesiti teologici, un’autorità che assume valenze universali ove, convocato, in un’ora storica per la medesima, un concilio ecumenico, ne suggelli, in comunione con i padri che le hanno votate, le deliberazioni. Un amico di cui ammiro, con eguale sodalità, sensibilità religiosa e penetrazione storica, Alfonso Pascale, mi ha trasmesso il convincimento che, in anni in cui si assiste al crollo, in tutte le nazioni europee, della frequenza alla messa domenicale quanto della consuetudine del matrimonio religioso, la Chiesa di Cristo avrebbe assoluta necessità di un concilio, che si proponesse le medesime mete, a sei decenni di distanza, dello storico evento che volle e indirizzò Giovanni XXIII: rinnovare l’abito della Chiesa in un tempo in cui il senso della presenza di Dio, nell’anima di ogni uomo e di ogni donna, pare dissolversi da un anno a quello successivo, da un mese a quello seguente, da un giorno all’altro.

All’asserzione il medesimo amico ha unito la formulazione dell’ipotesi che suppone il Pontefice medesimo consapevole dell’urgenza, ma incapace dell’opzione per le evidenti difficoltà dell’impresa. Alfonso non mi ha illustrato quali siano, a suo giudizio, quelle difficoltà. Mi sono proposto il quesito, che non mi pare imponga, a chi ne cerchi risposta, l’acume di un teologo sommo. Francisco Bergoglio si riconosce, per ignoranza teologica, incultura politica, vacuità di percezione sociale, inadeguato all’impegno. E non sfida l’ignoto: la Chiesa è creatura di Cristo: provveda Lui, se ne è in grado. Un’asserzione che, se la suggestione fosse verosimile, corrisponderebbe singolarmente alla derisione di Cristo sulla croce da parte dei principi del Sinedrio: “Se è figlio di Dio scenda da quella croce”

Un pontefice aduso, per carriera, a compiacersi della presenza, in prima fila, ai riti natalizi e pasquali, dei caudillos ispanoamericani circondati dai comandanti della locale Mazorca, il titolo della compagnia per l’eliminazione dei dissidenti del maggiore dei paesi del Continente, di fronte alla bestiale aggressione russa alla piccola Ucraina si è espresso, con le ambiguità suggerite dalle circostanze, eppure inequivocabilmente, giustificando l’invasione come risposta all’ampliamento della Nato verso oriente, un’ argomentazione che non precisa che i paesi che si sono rifugiati, al crollo del regime sovietico, sotto l’ombrello atomico Nato, lo hanno deciso dopo un intero cinquantennio vissuto nell’impossibilità di esprimere un’opinione, politica, sociale, culturale, che avrebbe comportato l’immediato intervento dei colleghi di Putin, notoriamente incaricato, dal Kgb, del controllo del consenso nella Germania, allora sovietizzata da Lipsia al Baltico, quindi un’operazione speciale dei blindati del Kremlino. L’intervento di un, più o meno palese, sostenitore del boia diplomato alla maggiore scuola di sopraffazione e tortura del Pianeta non poteva manifestarsi in forma più consonante, seppure con modalità ambigue, ai proclami del sedicente successore di Pietro il Grande.

Dante Alighieri, che canta l’incontro, negli antri più oscuri dell’Inferno, del più estroso creatore di forme di tortura originali, per ciascuno degli avversari che riuscisse ad avere nelle mani, Ezzelino da Romano, destinò a quegli antri anche un pontefice ancora vivente, la cui condotta, ecclesiale e politica, era certo gli assicurasse la destinazione. Godendo, il candidato, della luce del sole, gli assegnò lo spazio disponibile nel cunicolo in cui la Giustizia divina aveva sepolto un predecessore altrettanto proclive al malaffare. Si proponesse, risorto, di aggiornare il proprio poema, non è immaginabile potesse omettere la menzione, in qualche girone infernale, del fautore del riconoscimento delle virtù evangeliche di Vladimir Putin.

Chi scrive ha trascorso, per studi agronomici, due settimane in Mexico. Ricorda la partecipazione a due messe domenicali in poveri villaggi di campagna: la chiesa gremita, uomini e donne, poverissimi campesinos, nel più decoroso abito da festa, l’omelia in un Castillano tanto elegante da imporre l’impressione di essere seduti nella cattedrale di Madrid: il medesimo incanto di assistere alla messa festiva nella chiesa madre di Trapani, anch’essa affollata, a quel tempo, di popolani in abito da festa. Mi sentii nella mia chiesa, tra i miei fratelli, un’impressione che non avrei più provato, nella mia città italica, alla messa in parrocchia, dalla morte del vecchio parroco, don Antonio ed un breve interludio, affidata a prete dalle palesi propensioni ereticali, manifeste nella negazione della sussistenza della colpa, perciò della conseguente pena, che avrebbe propagato a un intero cenacolo di giovani sacerdoti. Tutti gli eretici hanno bramato, nei secoli, di creare le proprie versioni degli ordini religiosi: Satana, secondo i Padri simia Domini, bertuccia dell’Onnipotente, avrebbe, nel corso della storia,  esperito cento conati per creare i propri ordini “irreligiosi”. Ignorando, con tenace persistenza, il verdetto del Salvatore, che destinò quei conati alla vergogna: “Portae Inferi non praevalebunt”.

Il più recente di quei conati a mia conoscenza sarebbe stato esperito nella parrocchia che frequentai, per anni, ai tempi di un santo prete. Conato, a quanto mi risulta, dai frutti copiosi, nell’assoluta acquiescenza, si è obbligati a presumere, del presule locale. Che dubito potrà godere, con il proprio superiore, la sorte celeste che certamente l’Onnipotente decreterà por el caluroso cura di un villaggio di campesinos della Valle de Tehuacán. Sorte diversa, se la mia fantasia si avvicinasse alla realtà, circostanza assolutamente incerta, comunque eventuale, nella sfera nuvolosa delle cose possibili.

 

In apertura, foto di Olio Officina©

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