Saperi

La lenta estate

Narrazioni. Il mondo dei genitori e dei parenti sembra un costante aggiustamento di problemi. Essere adulti è il problema a quanto pare. Non intendo dunque diventare grande ma non mi piace neppure essere piccola. Non esisti se sei una bambina

Stefania Morgante

La lenta estate

È estate. Non so di preciso cosa sia.

Non ho un orologio, non so leggere, ho un tempo tutto mio che ogni tanto si interseca con quello degli adulti.

Si scontra questo tempo: il mio è costruito dai bisogni – giocare, dormire, mangiare.

Quello dei grandi è una infinita discussione di ruoli che si alternano: una volta tua madre ha un problema e la zia offre una soluzione, un‘altra la zia ha un dilemma e la mamma si offre volontaria per sistemare le cose.

Tutto questo centuplicato tra madre e padre, tra nonni, zii, conoscenti, amici.

Il mondo dei genitori e dei parenti sembra un costante aggiustamento di problemi. Essere adulti è il problema a quanto pare. Non intendo dunque diventare grande ma non mi piace neppure essere piccola. Non esisti se sei una bambina.

Non pensi, non hai opinioni, i tuoi dilemmi sono infantili, la tua opinione non è determinante.

Hai delle regole da seguire, nessuno interferisce nella tua vita scolastica, devi organizzarti e gestirti da sola.

Una certa confusione ti assale. Sei piccola per qualsiasi cosa, mai per la scuola. Non è il mio problema. L’estate mi annoia, vorrei andare a scuola anche d’estate.

Non ho alternative, sono piccola, è estate.

E devo riempire il vuoto.

Il mondo degli adulti è noioso, un intersecarsi di regole e divieti. Ma sopratutto non fai parte di quello spazio.

A tavola devi tacere, a scuola devi ascoltare. Mai un‘opinione richiesta, una curiosità su di te, qualcuno che si accorga che esisti.

Sei piccola, non sei interessante.E fantastichi sabbie mobili, tigri che ti assaltano, sottomarini e piovre giganti.

Ma è meglio così.

Perché purtroppo ogni tanto si accorgono che ci sei.

E non nel modo che vorresti.

Accade durante la tavolata domenicale con nonni e zii dove sei relegata al tavolo dei bambini.Tavolo male assortito. Siamo bambini dunque sappiamo parlare fra di noi. Questa è la semplificazione e dunque la soluzione.

Ma se hai otto anni e accanto hai un commensale di tre, scopri gli abissi dell’incomunicabilità e il pranzo assume l’aspetto di un gioco dei mimi.

Dal tavolo degli adulti arriva sempre qualcuno che non ha niente di meglio da fare e punta l’attenzione su di te, la più timida, la più silenziosa chiedendoti con la voce che sovrasta quella degli altri: “allora, cosa vuoi fare da grande?”.

Forse è la noia della domenica, forse è sadismo parentale, ma so come andrà a finire.

Dirò che voglio fare la pittrice e arriveranno le risate di tutti. Alcune accompagnate da sguardi di tenerezza, altre di compassione.

Mia nonna non mi guarderà, ma dalle labbra strette capirò che non va affatto bene.

Come al solito.

È estate, ci si riunisce in campagna.

Non sono controllata da nessuno. Rivedo i cugini, con alcuni grande confidenza, con altri del tutto estranea. Ma formiamo un gruppo e possiamo spostare la soglia delle cose lecite.

Partiamo in giro per i campi. Le biciclette abbandonate alla fine della strada maestra, poi per sentieri che dividono le proprietà.

Mangiamo Fichi collosi con la buccia sbollentata dal sole.

Rubiamo le ciliegie che sporgono sui sentieri, ne raccogliamo qua e là per non denudare gli alberi, attenti a non essere sorpresi.

Mangiamo e sputiamo i semi, gareggiando sul lancio più lungo.

Poi le mandorle ancora fresche, piene di acqua, che schiacciamo con i sassi.

Ed è lì che ho impressa l’estate, in quelle pietre.

Rocce bianche e taglienti, sporche di terra rossa, sembrano insanguinate.

Una sopra l’altra formano i muretti a secco che perimetrano i campi.

Alcune sono un autentico tesoro. Hanno fossili di conchiglie incuneati. Fantastico sul mare che deve esserci stato anche lì, mentre ora solo terra rossa, grassa, pastosa.

I muretti sono come trampolini da cui saltiamo per sporcarci di terra sanguinolenta.

So già che mia madre non sarà contenta. Sono sporca, sudata, non ho neppure un indumento decente addosso. Tutto rovinato.

Ma questa terra è rossa, è marrone, si infiltra ovunque. Mi piace prenderla a manciate, strofinarla sulle braccia bianche, diventare una indiana d’America come nei film, tracciare segni tribali sulla faccia.

Terra che dà risalto all’argento degli ulivi, al verde cupo dei nespoli punteggiati di giallo, ai mandorli contorti, opachi e nodosi, carichi di gusci pelosi.

È estate. Le rocce e i fossili. La terra che filtra anche nelle orecchie, gli infiniti campi di grano.

Sono alta quanto una spiga, mi ci nascondo dentro e strappo fiordalisi e papaveri. Più tardi quando tornerò dagli zii, verrò regolarmente sgridata perché ho fatto tardi, sono sporca e ho raccolto i fiori troppo corti, rovinandoli.

“Non si possono mettere neppure in un bicchiere”.Come spiegare che li ho colti per vederli morire nelle mie mani, solo per osservare come deperivano.

Ho cercato la bellezza e la morte non l’utilità.

Lo so già, non esiste una sola volta che ciò che trovo bello o interessante da raccontare, collimi coi parametri degli adulti.

Essere alti come una spiga è confortante. Sei alla pari e puoi anche nasconderti all’occorrenza.

Il mondo è “io-tu”, alla pari.

Quante volte sottratta al tuo punto di vista, presa in braccio. Tu piccola, bassa, infinitesimale. L’altro dominante, alto, irraggiungibile.Una disparità paurosa, che ti metteva a tacere.

Non avevi più terra sotto i piedi, dovevi fidarti di chi ti teneva stretta: e se ti avesse fatto cadere?

Non ho mai amato essere presa in braccio, non eri padrona dell’aria.

L’estate, il grano alto dal tuo ombelico in su, i fossili terrosi trasportati sulla bici, le mandorle succose rubate.

Il sudore che incolla i capelli spettinati, il sangue sulle ginocchia lavato via con la saliva, i lividi delle cadute con le biciclette di fortuna prestate da qualcuno, i dialetti mescolati al tuo italiano che immediatamente ti etichetta come ragazzina di città.

Era un tempo senza fine. Enormi vuoti di noia. Migliaia di parole nella testa, sogni goffi e rimescolati. Una fatica immane per crescere. Solitudine, letture selvagge, adulti persi per altre vie. Non sapevi niente ed era spaventoso.

Un mondo vasto e una altezza irrisoria.

L’estate era un tentativo di ribellione repressa, che sarebbe scoppiata a settembre.

E invece no, a settembre tutto come prima.

Con una stanchezza dolorosa addosso. Voler essere altro, voler saltare oltre i timori. In cerca di un segno che dicesse qualcosa. E non arrivava mai.

In apertura, illustrazione di Stefania Morgante

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